RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Catania confermava la pronuncia di condanna di primo grado dello Sc.Gi. per il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. commesso in danno dell'ex convivente.
2. Avverso la richiamata sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, con il difensore di fiducia, articolando due motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia erronea interpretazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo previsto dall'art. 612-bis cod. pen., lamentando che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto integrato il dolo assumendo, erroneamente, che non sarebbe stato a tal fine indispensabile che il soggetto agente voglia cagionare turbamento nella persona che subisce la sua condotta, né che le minacce non abbiano avuto seguito.
E a quest'ultimo riguardo sottolinea che avrebbe dovuto essere considerato che egli, pur abitando a soli 500 metri di distanza dal domicilio dell'ex convivente, non avrebbe mai posto in essere condotte violente in danno della stessa.
2.2. Mediante il secondo motivo l'imputato deduce illogicità della motivazione sulla mancata sussistenza di elementi utili per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., evidenziando che la Corte territoriale avrebbe omesso a tal fine di considerare elementi positivi favorevoli quali la condotta processuale consistente nell'ammissione dell'invio dei messaggi alla persona offesa e nel rispetto delle prescrizioni impostegli.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La decisione impugnata, nel ritenere prive di rilievo le circostanze che il ricorrente non si sarebbe reso conto del tenore gravemente minaccioso dei propri messaggi (asserzione che, peraltro, correttamente la pronuncia ha sottolineato essere rimasta indimostrata) e che non avrebbe poi dato corso alle stesse ponendo in essere atti di violenza nei confronti dell'ex convivente, ha fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, in virtù del quale nel delitto di atti persecutori l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (v., ex ceteris, Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, Rv. 279726 - 01; Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, Rv. 265230 -01).
2. Il secondo motivo è inammissibile.
Vero è che la possibilità di concedere le circostanze attenuanti generiche costituisce una modalità per il giudice di rendere la pena effettivamente proporzionata nel rispetto dei principi costituzionali espressi dall'art. 3 e 27 Cost.
Nondimeno, il giudice, quando nega la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma può limitarsi a fare riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
Orbene, non è manifestamente illogica la motivazione della decisione impugnata laddove ha ritenuto di non valorizzare l'ammissione dello Sc.Gi. circa l'avvenuto invio dei messaggi, a fronte di un vaglio di peculiare gravità delle condotte poste in essere dallo stesso, in quanto gravi e reiterate per svariati mesi e nonostante fosse già stata formulata richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti in un altro procedimento per condotte di maltrattamenti in famiglia verso l'ex compagna ed i figli prima della cessazione della convivenza e sebbene il giudice civile avesse adottato un provvedimenti di protezione dei minori, con allontanamento dalla casa familiare e divieto di frequentare i luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese (pag. 8 sentenza impugnata).
3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
4. Il ricorrente deve inoltre essere condannato al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in questo grado di giudizio dalle parti civili, liquidate nell'importo di Euro 3.696,00, oltre accessori di legge.
5. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge, stante la natura dei fatti di reato e i rapporti tra le parti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.696/00, oltre accessori di legge;
Così deciso in Roma l'8 agosto 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2024.