top of page

Stalking: può concorrere con i reati di lesioni ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Stalking

Cassazione penale sez. V, 08/06/2016, n.54923

Il delitto di atti persecutori può concorrere con quelli di lesioni ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, avendo oggetto giuridico diverso; ne deriva che l'aggravante dell'uso di armi può sussistere in relazione a ciascuno dei suddetti reati concorrenti, fermo restando che il relativo aumento di pena, qualora questi ultimi siano avvinti dalla continuazione, verrà applicato in relazione al reato più grave.

Atti persecutori: la reiterazione delle condotte produce un evento unitario di danno desumibile dal turbamento psicologico della vittima

Atti persecutori: perché l’attenuante della provocazione è esclusa

Recidiva nello stalking: obbligo di contestazione specifica per ogni reato

Atti persecutori: rilevanza giuridica dei messaggi assillanti anche sui social

Atti persecutori: le condotte reiterate configurano il reato anche con lunghe pause

Atti persecutori: il grave turbamento si desume anche senza certificato medico

Stalking: il riavvicinamento episodico non interrompe la continuità del reato

Stalking o maltrattamenti? Come distinguere i reati dopo la separazione

Atti persecutori o molestie? Le differenze tra i due reati

Fine convivenza: maltrattamenti in famiglia o atti persecutori? Ecco quando si configurano

Sospensione condizionale e percorsi di recupero in caso di stalking: quando si applica la legge del 2019

Maltrattamenti o atti persecutori? Cosa succede dopo la fine della convivenza

Hai bisogno di assistenza legale?

Prenota ora la tua consulenza personalizzata e mirata.

 

Grazie

oppure

PHOTO-2024-04-18-17-28-09.jpg

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 giugno 2015 la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della pronunzia di primo grado emessa dal G.U.P. del Tribunale della stessa città, esclusa l'aggravante ex art. 61 c.p., n. 2 contestata con riferimento al reato di cui al capo C), ha ridotto la pena inflitta a V.S., che era stato condannato per il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. aggravato dall'uso delle armi (capo A), di cui all'art. 337 c.p. (capo B), di lesioni volontarie aggravate (capo C) e del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sempre aggravato dall'uso delle armi (capo D). La Corte territoriale ha confermato nel resto la sentenza di primo grado, condannando la parte civile appellante al pagamento delle spese processuali, nonchè l'imputato alla rifusione delle spese in favore della stessa parte civile, previa parziale compensazione. 2. L'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, ha proposto ricorso articolato in quattro motivi, con i quali si denunziano violazione di legge e correlati vizi motivazionali. In via generale il ricorrente si duole del fatto che già il giudice di primo grado non aveva tenuto in alcun conto della portata probatoria della documentazione acquisita su richiesta della difesa quale condizione per la scelta del giudizio abbreviato, finalizzata soprattutto ad evidenziare l'inattendibilità della persona offesa e, di conseguenza, l'insussistenza del reato più grave di cui all'art. 612 bis c.p., nonchè delle aggravanti contestate e, per converso, la concedibilità delle attenuanti di cui all'art. 62 c.p., nn. 2 e 6. 2.1. Con il primo motivo si sostiene l'insussistenza degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori (segnatamente la condotta necessariamente abituale, la sua idoneità causale a produrre l'evento e l'elemento psicologico) e l'inattendibilità della persona offesa. A tal fine sono stati dedotti una serie di elementi già indicati nell'atto di appello e che non sarebbero stati adeguatamente valutali dalla Corte territoriale. 2.2. Con il secondo motivo, oltre a ribadire l'insussistenza dell'uso di un'arma da sparo (essendo stato accertato che l'unica arma trovata in possesso dell'imputato era una pistola giocattolo), il ricorrente sostiene pure che non sussisterebbe l'aggravante dell'uso dell'arma da punta e da taglio (coltello) con riferimento al reato di lesioni, giacchè il coltello non era stato impiegato secondo la sua funzione specifica, ma come "oggetto incandescente". Sostiene altresì che l'aggravante dell'uso dell'arma non avrebbe potuto applicarsi in relazione a tutti e tre i delitti contestali(atti persecutori, lesioni e esercizio arbitrario delle proprie ragioni), invocando a tal fine un "ne bis in idem sostanziale". Assume, quindi, che, quando l'aggravante dell'uso di armi è contestata sia per il reato di atti persecutori che per quello di lesioni e/o di ragion fattasi in esso contemplato (in quanto reato abituale e/o complesso), la circostanza oggettiva può essere valutata solo una volta come circostanza a effetto speciale (ex art. 612 bis c.p.). 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della mancata applicazione dell'art. 131 bis c.p. in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale, avendo l'imputato fatto verbalizzare in sede di interrogatorio le sue scuse ai pubblici ufficiali e non risultando a suo carico precedenti specifici. 2.4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza per difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. 3. E' Stato depositato atto di remissione di querela a firma della persona offesa Andreea Sorina Bejian, con contestuale accettazione dell'imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato, mentre l'intervento della remissione di querela della persona offesa dei reati di cui ai capi A), C) e D) comporta l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all'art. 393 c.p., contestato al capo D), essendo gli altri delitti (di atti persecutori e lesioni) aggravati e, conseguentemente, procedibili di ufficio. 1. Con tutte le doglianze proposte, in buona parte reiterative dei motivi di appello, il ricorrente contesta in primo luogo il giudizio sulla attendibilità della persona offesa Andreea Sorina Bejian, nonchè la sussistenza degli elementi costitutivi dell'art. 612 bis c.p.e la ricorrenza delle aggravanti dell'uso dell'arma. Si duole altresì dell'omessa motivazione sull'esclusione della particolare tenuità del fatto di resistenza a pubblico ufficiale, contestato al capo B), e della motivazione sul trattamento sanzionatorio. 2. In relazione al delitto di atti persecutori giova premettere, in via generale, che con l'introduzione della fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p. il legislatore ha voluto, prendendo spunto dalla disciplina di altri ordinamenti, colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorchè non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima. Il legislatore ha preso atto però che la violenza (declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale) spesso è l'esito di una pregressa condotta persecutoria; pertanto, mediante l'incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell'incolumità fisio-psichica attraverso l'incriminazione di condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibili in all'unafattispecie penalmente rilevante o in fattispecie per così dire minori, quali la minaccia o la molestia alle persone. E' peraltro utile ricordare come, per il consolidato insegnamento di questa Corte, integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte tra quelle descritte dall'art. 612 bis c.p., come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (ex multis Sez. 5, n. 46331 del 5 giugno 2013, D. V., Rv. 257560). Invece, un solo episodio, per quanto grave e da solo anche capace, in linea teorica, di determinare il grave e persistente stato d'ansia e di paura che è indicato come l'evento naturalistico del reato, non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma in esame, potendolo essere, invece, alla stregua di precetti diversi: e ciò in aderenza alla volontà del legislatore il quale, infatti, non ha lasciato spazio alla configurazione di una fattispecie solo "eventualmente" abituale (Sez. 5, n. 48391 del 24/09/2014, C, Rv. 261024). Il delitto, inoltre, è configurabile anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice. (Sez. 5, n. 33563 del 16/06/2015, B, Rv. 264356). Trattandosi di reato abituale è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tal senso l'essenza dell'incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo. E' dunque l'atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l'appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell'evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato in più occasioni e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata, giacchè alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell'art. 612 bis c.p.. Indubbiamente l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262636). Va detto, peraltro, che, ai fini della individuazione dell'evento cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportale(Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014, G, Rv. 260580). 3. Fatte le suesposte precisazioni in diritto, risultano non fondate le censure alle sentenze dei giudici di merito che hanno ritenuto integrata la fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p.. Invero, è emerso che il V., non accettando la fine di una storia sentimentale con la suindicata persona offesa, che all'epoca dei fatti svolgeva l'attività di prostituzione, e sentendosi tradito nelle aspettative che si era creato, avendo anche effettuato dei consistenti regali alla donna, ha cominciato a controllarla, ad importunarla per telefono, ad inveire contro di lei fino ad aggredirla, anche fisicamente e con l'uso di armi, e a condizionarne pesantemente la vita a causa anche del suo morboso stato ossessivo ed inarrestabile. I giudici di merito hanno ricostruito in maniera logica e congrua i gravi fatti oggetto della contestazione di cui al capo A), dando specifico conto della valutazione in ordine alla attendibilità della persona offesa (si veda in particolare pag. 8 della sentenza di appello, avendo la Corte territoriale risposto alle analoghe censure proposte dall'imputato con l'atto di appello). Quindi la ricostruzione dei fatti è stata operata dai giudici di merito sulla base delle risultanze Processuali, di cui si è dato conto in maniera congrua e logica, sia nella sentenza di appello che in quella di primo grado (emessa all'esito di giudizio abbreviato), alla quale la prima ha fatto anche legittimamente rinvio. Sia il G.U.P. che la Corte territoriale hanno dato altresì conto delle risultanze in base alle quali hanno ritenuto provata anche la sussistenza dell'evento del reato contestato. E' infatti emerso che la persona offesa, in conseguenza delle reiterate molestie subite, aveva avvertito un forte senso di ansia e si era sentita perseguitata, tanto da temere fondatamente che l'uomo potesse andare oltre e commettere atti di violenza più gravi di quelli già posti in essere con l'aggressione di cui all'episodio del (OMISSIS), quando il V. utilizzò anche un coltello arroventato sulla fiamma per spaventare e provocare alla donna lesioni (capo C). D'altronde va ricordato che, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto irrilevante il fatto che la persona offesa non avesse riferito espressamente di essere impaurita, alla luce dei certificati medici delle lesioni subite, delle annotazioni di polizia giudiziaria sul suo stato di esasperazione e spavento, e dei messaggi sms di minaccia) (Sez. 5, n. 47195 del 06/10/2015, P.M. in proc. S., Rv. 265530). Peraltro non ci sono dubbi anche sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato di atti persecutori. In proposito, va detto che, trattandosi di reato abituale di evento, il dolo è da ritenersi senz'altro unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica; ma ciò non significa affatto che l'agente debba rappresentarsi e volere fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi, ben potendo il dolo realizzarsi in modo graduale e avere ad oggetto la continuità nel complesso delle singole parti della condotta. Si tratta, peraltro, di dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di Minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260411). I giudici di merito hanno evidenziato quanto emerso nell'istruttoria dibattimentale in ordine all'elemento soggettivo, sottolineando anche che il V. non aveva desistito dalla sua condotta persecutoria sebbene fosse stato sottoposto a misura cautelare. 5. A fronte di tali risultanze le doglianze difensive si rivelano finalizzate solo ad una diversa ricostruzione dei fatti. A questa Corte, però, non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., lett. e); la modifica normativa di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia infatti inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Solo attraverso l'indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567). Nel caso in esame è stato genericamente dedotto un travisamento della prova, ma va ribadito che l'analisi del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, proprio con riferimento alla valutazione sia delle risultanze processuali, dalle quali emerge la responsabilità dell'imputato, sia della conseguente infondatezza delle argomentazioni difensive. La Corte territoriale, infatti, ha puntualmente riportato gli esiti delle risultanze processuali, dando atto in particolare delle dichiarazioni dei soggetti escussi in sede di indagini preliminari e della attendibilità della persona offesa, il cui racconto risulta riscontrato. Peraltro, la Corte di Appello ha assolto compiutamente all'obbligo di motivazione, in quanto non si è limitata al mero richiamo delle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, ma ha specificamente valutato le doglianze contenute nell'atto di appello, in particolare in ordine alla valutazione delle prove e alla conseguente ricostruzione dei fatti (Sez. 6, n. 9752 del 29/01/2014, Ferrante, rv. 259111; Sez. 1, n. 43464 del 01/10/2004, Perazzolo, rv. 231022). 6. Queste stesse considerazioni servono anche per confutare l'assunto secondo il quale la valutazione delle prove fatta dalla Corte di appello sarebbe frutto di un ragionamento giustificativo dell'affermazione di colpevolezza errato. E' opportuno evidenziare per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", presente nel testo dell'art. 533 c.p.p., che ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione. Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacchè, in precedenza, il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell'art. 530, comma 2, sicchè non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (Sez. un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, Rv. 222139), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato (sez. 2, n. 19575 del 21 aprile 2006, Serino ed altro, Rv. 233785; sez. 2, n. 16357 del 2 aprile 2008, Crisiglione, Rv. 23979; sez. 2, n. 7035 del 9 novembre 2012, De Bartolomei ed altro, Rv. 254025). Orbene, come si è già detto, la valutazione delle prove da parte della Corte territoriale è espressione corretta dei suddetti principi, giacchè è approdata a un convincimento basato su più elementi, seguendo la regola metodologica dell'art. 192 c.p.p., di cui ha dato ampiamente e logicamente conto. 7. Nessun dubbio può nutrirsi sul concorso materiale del reato di atti persecutori e quello di lesioni, avendo essi oggetto giuridico diverso ed essendo evidente che la condotta tipica descritta dall'art. 612 bis c.p. contempla solo la reiterazione di minacce e molestie. Del concorso di tale delitto con altri reati si dirà meglio in seguito (paragrafo 8.2.). 8. Manifestamente infondate sono le censure del ricorrente sull'insussistenza delle aggravanti dell'uso delle armi. 8.1. In ordine all'uso della pistola nessuna rilevanza ha il fatto che il V. sia Stato trovato in possesso solo di un'arma giocattolo. Nessun dubbio può aversi infatti sulla configurabilità nel caso in esame dell'ipotesi prevista dal terzo e dall'ultimo comma dell'art. 612 bis c.p., ovvero mediante minacce reiterate nei modi di cui all'art. 612 c.p., comma 2; e, in proposito, va ricordato che, in tema di minaccia, ricorre l'aggravante dell'arma anche nel caso di una pistola-giocattolo, in quanto qualsiasi oggetto che abbia all'apparenza le caratteristiche intrinseche di un'arma può provocare nel soggetto passivo un effetto intimidatorio più intenso (Sez. 5, n. 6608 del 16/05/1973, Molfino, Rv. 125102). Non può trascurarsi, peraltro, che nella specie l'uso della pistola giocattolo è stato accompagnato da frasi di tenore inequivoco in ordine alla gravità della minaccia. E con l'espressione "minaccia grave" contenuta nel capoverso dell'art. 612 c.p. il legislatore ha inteso dare rilievo all'entità del turbamento psichico che l'atto intimidatorio può determinare sul soggetto passivo; a tal fine, non è necessario che la minaccia di morte sia circostanziata, potendo benissimo, anche nel modo generico come viene pronunciata, produrre un grave turbamento psichico, avuto riguardo alle personalità dei soggetti (attivo e passivo) del reato e alle modalità di estrinsecazione della Condotta posta in essere. 8.2. Destituite di qualsiasi fondamento sono anche le deduzioni in ordine alla insussistenza dell'aggravante dell'uso del coltello in relazione al reato di lesioni. Sostiene il ricorrente che "l'utensile da cucina....è stato adoperato come oggetto incandescente e non già secondo la sua funzione specifica (o meglio propria): la punta o il taglio". Da ciò deriverebbe la insussistenza dell'aggravante, perchè il coltello sarebbe stato usato in maniera non conforme alla sua funzione di strumento idoneo e destinato all'offesa dell'incolumità personale. E' del tutto evidente la infondatezza dell'assunto difensivo. In primo luogo va detto che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che sussiste l'aggravante di cui all'art. 585 c.p.p., comma 2, n. 2, anche nel caso di lesioni personali provocate da un coltello "multiuso", cioè dal coltello che, oltre alla lama da taglio, incorpora altre funzioni (forbice, apribottiglie, cacciavite ecc.), trattandosi di strumento che, al di là della sua diffusione e dell'ordinario impiego per scopi pacifici ed innocui, può, in determinate circostanze, essere usato per offendere e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di arma di cui all'art. 585 c.p., comma 2, n. 2, (Sez. 5, n. 51237 del 04/07/2014, Basile, Rv. 261729; Sez. 5, n. 32966 del 24/04/2008, P.G. in proc. Raifer, Rv. 241168). D'altronde è pacifico che ricorre la circostanza aggravante del fatto commesso con armi quando la vittima delle lesioni è aggredita con un coltello da cucina, che rientra nella nozione di "arma", in cui sono ricompresi tutti gli strumenti atti ad offendere dei quali è vietato il porto senza giustificato motivo (Sez. F, n. 29549 del 27/07/2006, Mascolo, Rv. 235306). Del tutto irrilevante rimane il fatto che il coltello da cucina utilizzato dal V. abbia provocato lesioni da ustioni sulla vittima e non lesioni da taglio. E' noto, infatti, che sussiste l'aggravante prevista dall'art. 585 c.p., comma 2, n. 2, anche nel caso in cui le lesioni personali siano stalecagionate alla vittima con l'uso di un'arma impropria, dovendo considerarsi tali tutti gli strumenti che, in particolari circostanze di tempo o di luogo, possono essere utilizzati per l'offesa alla persona (tra le tante Sez. 5, n. 41284 del 24/04/2015, P.G. in proc. Airoldi, Rv. 265090; Sez. 5, n. 44864 del 07/10/2014, P.G. in proc. Agazzi, Rv. 261315). Allora è ancor più ovvio che l'uso di un'arma da punta o da taglio, come il coltello, non possa che rientrare nell'ipotesi aggravata di cui alla citata norma. D'altronde questa Corte ha avuto modo di chiarire, in tema di lesioni personali, che anche la circostanza aggravante del fatto commesso con armi da sparo, prevista dall'art. 585 c.p., comma 1, u.p., ricorre quando l'oggetto è usato conformemente alla sua funzione di strumento idoneo e destinato all'offesa dell'incolumità personale (Sez. 1, n. 8481 del 14/12/2012, Guidobaldi, Rv. 255300). In tale pronunzia la Cassazione ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante sul rilievo che l'imputato aveva utilizzato un'arma comune da sparo secondo la sua destinazione naturale, lo sparo appunto, provocando alla vittima lesioni da abrasione dell'epidermide causate dal contatto dell'arma surriscaldata volontariamente tenuta premuta sulla fronte della persona offesa. Nel caso in esame il fatto che il V. abbia provocato solo delle lesioni da ustioni per aver prima arroventato sulla fiamma il coltello non incide affatto sulle modalità dell'uso dell'arma da punta e da taglio, ove si consideri la ricostruzione dei fatti come operata dai giudici di merito: "..."imputato prendeva un coltello da cucina e lo arroventava sul fuoco dicendo..." "adesso ti rovino la faccia per tutta la vita...."" A quel punto il V. cercava di colpire al volto la donna, che tuttavia si copriva con le mani che venivano ustionate al contatto con la lama, e poi appoggiava la lama incandescente sul fianco della vittima" (pag. 4 della sentenza di primo grado). E' evidente, allora, che l'imputato abbia usato la lama del coltello per sfregiare il volto della vittima (dopo aver reso ancora più lesiva l'arma, arroventandola), non riuscendovi in ragione della disperata difesa della donna e così provocando prima lesioni da ustione alle mani e poi in diverse parti del corpo. E' davvero arduo allora sostenere - come fatto dalla difesa - che il coltello non sia stato usato in tutta la sua potenzialità offensiva. 8.3. Manifestamente infondato è pure il motivo con il quale il ricorrente censura le sentenze di merito per aver ritenuto le aggravanti dell'uso delle armi in relazione ai tre reati contestati ai capi A, C e D, in violazione del ne bis in idem "sostanziale". L'assunto parte da un dato erroneo ovvero che il delitto di atti persecutori non possa concorrere con quelli di lesioni e di ragion fattasi. In ordine al reato di lesioni si è già detto (paragrafo 7). Tuttavia va ulteriormente evidenziato in diritto che il reato di atti persecutori può concorrere con altre fattispecie di reato, che tutelano beni giuridici diversi da quello finalizzato alla protezione del singolo da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni è paure, ovvero costringendo a modificare comportamenti ed abitudini di vita (per questo, può dirsi che il reato di cui all'art. 612 bis c.p. è rivolto alla tutela della persona nel suo insieme, piuttosto che della sola libertà morale). Partendo da tale assunto la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, proprio perchè di tratta di reati che tutelano beni giuridici diversi, "in quanto l'art. 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione; mentre l'art. 612 bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme - che costituisce condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della predetta volontà" (così Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014, C, Rv. 262727). Così pure si è ritenuto che il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di diffamazione anche quando la condotta diffamatoria costituisce una delle molestie costitutive del reato previsto dall'art. 612 bis c.p. (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262635). Ed ancora, si è affermato che la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., che mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata, integra fattispecie distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p. in cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati (Sez. 1, n. 19924 del 04/04/2014, Napolitano, Rv. 262254). Ne deriva che può configurarsi anche il concorso tra il reato di atti persecutori e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giacchè quest'ultimo certamente contempla un bene giuridico diverso, in quanto finalizzato a tutelare l'interesse dello Stato ad impedire che la privata violenza si sostituisca all'esercizio della funzione giurisdizionale in occasione dell'insorgere di una controversia (si veda in motivazione Sez. 5, n. 20696 del 29/01/2016, R, Rv. 267148). Infatti, ciò che caratterizza il reato di cui all'art. 393 c.p. è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato e la pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico (ex multis, Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, Angelotti, Rv. 263589). Nè può trascurarsi il fatto che, diversamente dal reato di cui all'art. 393 c.p., il delitto di atti persecutori è reato ad evento di danno (Sez. 5, n. 39519 del 05/06/2012, G., Rv. 254972). Va ribadito, infine, che nel reato di ragion fattasi restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo astrattamente per sè stessi reato, rappresentino elementi costitutivi o circostanze aggravanti del primo, come il danneggiamento nell'ipotesi di cui all'art. 392 c.p., ovvero la minaccia o le semplici percosse nell'ipotesi di cui all'art. 393 c.p.. Ogni fatto che ecceda tali limiti non resta assorbito ma dà vita a responsabilità autonoma, determinando, eventualmente, un concorso di reati (Sez. 5, n. 12244 del 15/10/1980, Frau, Rv. 146729). Fatte queste precisazioni è evidente che in relazione ai singoli fatti di reato (atti persecutori, lesioni ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni) possa e debba essere ritenuta sussistente l'aggravante dell'uso delle armi, salvo, ovviamente (e come correttamente avvenuto nel caso di specie), applicare il relativo aumento solo con riferimento al reato più grave nell'ambito della unificazione degli stessi reati nel vincolo della continuazione. D'altronde, proprio tale circostanza rende inammissibili per carenza di interesse le censure in ordine alla ritenuta sussistenza delle aggravanti dell'uso delle armi in relazione ai delitti di lesioni ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Infatti, in tema di impugnazioni, l'interesse richiesto dall'art. 568 c.p.p., comma 4, sussiste solo se il gravame sia idoneo a determinare, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente; pertanto è inammissibile per carenza di interesse l'impugnazione proposta dall'imputato che deduca l'insussistenza di un'aggravante relativa al solo reato satellite, in quanto tale circostanza è priva di efficacia rispetto alla determinazione finale della pena, autonomamente calcolata con un aumento fino al triplo della pena prevista per il reato più grave (Sez. 6, n. 47498 del 22/09/2015, HV, Rv. 265242). 9. Generico risulta il motivo di ricorso con il quale si contesta la mancata applicazione dell'art. 131 bis c.p. in relazione al reato di cui all'art. 337 c.p.. Sul punto la Corte territoriale ha reso congrua ed esaustiva motivazione (pag. 12 della sentenza), sottolineando anche che il fatto di per sè non può ritenersi occasionale giacchè maturato nel contesto del programma persecutorio. 10. Infondato è il motivo relativo al trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, nel rimodulare la pena complessiva inflitta, ha evidenziato comunque la gravità dei fatti e il giudizio negativo già espresso dal giudice dell'udienza preliminare in ordine ai presupposti per applicare le attenuanti generiche. In proposito, si rileva che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Va qui ulteriormente detto che la motivazione articolata dalla Corte di Appello consente di ritenere ampiamente giustificata sia l'entità della pena irrogata sia la mancata concessione delle attenuanti generiche, giacchè si tratta di un giudizio di fatto, sottratto al controllo di legittimità e che può ben essere giustificato implicitamente attraverso l'esame esplicito dei criteri di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell'Anna e altri, Rv. 227142; Sez. 4, n. 2840 del 21/02/1997, La Legname e altro, Rv. 207668). Nè può trascurarsi che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142; precedenti conformi: n. 481 del 1992, Rv. 188951; n. 829 del 1995, Rv. 200641; n. 1182 del 2008, Rv. 238851). 11. Va dunque annullata senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 393 c.p. ed eliminata la relativa pena di mesi sei di reclusione. Il reato di atti persecutori impone l'oscuramento dei dati. P.Q.M. La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo D) perchè estinto per remissione di querela ed elimina la relativa pena di mesi sei di reclusione. Rigetta nel resto. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 195 del 2003, art. 52 in quanto disposto d'ufficio. Così deciso in Roma, il 8 giugno 2016. Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016
bottom of page