RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata emessa il 16 settembre 2019 dalla Corte di appello di Firenze nei confronti di D. F., condannata in primo grado alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno dal Tribunale di Arezzo, che l'aveva giudicata colpevole di atti persecutori ai danni della nipote (figlia della sorella V.), Z.P., reato aggravato L. 5 febbraio 1992, n. 104, ex art. 612-bis, comma 3 e art. 3 per aver commesso il fatto ai danni di una persona con disabilità, siccome affetta da sclerosi multipla, e dalla recidiva specifica ed infraquinquennale.
Decidendo sull'appello principale dell'imputata e sull'appello incidentale della parte civile, la Corte di appello ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Arezzo, nel senso che:
- ha corretto in bonam partem il calcolo della pena, applicando il disposto di cui all'art. 63 c.p., comma 4 al doppio aumento per la recidiva e per la circostanza aggravante di cui all'art. 612-bis c.p., comma 3;
- ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena ma, trattandosi della seconda concessione, lo ha subordinato al pagamento di una provvisionale quantificata in 10.000 Euro, provvisionale sulla cui negazione da parte del Giudice di prime cure verteva l'appello incidentale della parte civile;
- sempre in accoglimento dell'appello incidentale della parte civile, ha incrementato la liquidazione delle spese affrontate dalla parte civile in primo grado in 3500,00 Euro.
2. Contro l'anzidetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputata, affidando le proprie censure a due motivi, preceduti da una premessa che indugia sulla contestualizzazione della vicenda sub iudice nel conflitto familiare in atto all'interno della famiglia F. per la gestione di alcuni beni ereditari.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), e si compone di censure cui si accompagna la trascrizione di brani delle dichiarazioni della persona offesa e della prevenuta.
2.1.1. In un primo segmento del motivo, sostiene la ricorrente che gli elementi valorizzati dalla Corte di appello per la condanna - rectius, per la conferma della condanna - non proverebbero nè l'elemento materiale, nè quello psicologico del reato. Evocando Corte Cost. n. 172 del 2014 sulla fattispecie di cui all'art. 612-bis, c.p., la ricorrente ricorda che, ai fini dell'integrazione del reato, occorre la reiterazione delle condotte e l'idoneità di esse a generare uno degli eventi indicati nella norma incriminatrice. Nel caso di specie, la Corte di appello non avrebbe valutato che le condotte addebitate alla F. non erano nè minacciose, nè moleste. La stessa persona offesa ha dichiarato di non avere avuto alcun rapporto con la zia nè qualsivoglia contatto fisico con la medesima e la Corte territoriale avrebbe altresì ignorato che gli avvenimenti erano sporadici e che l'imputata li aveva sempre puntualmente chiariti. Non basta il semplice verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, nè basta l'astratta idoneità della condotta dell'agente a cagionarla, ma occorre dimostrare il nesso causale tra quest'ultima e il turbamento della vittima. L'ansia che integra la fattispecie deve essere necessariamente "grave e perdurante" e la parte civile non l'aveva mai evidenziata, come non aveva lamentato l'alterazione delle proprie abitudini di vita ovvero il timore per l'incolumità propria o di un proprio prossimo congiunto. La prova in tale senso era derivata dalle sole dichiarazioni del fidanzato dell'epoca della persona offesa.
2.1.2. In un secondo segmento del motivo di ricorso, la parte assume di soffermarsi sulla dedotta carenza dell'elemento materiale del reato, affermando che la sentenza impugnata mancherebbe di una specifica delineazione delle condotte minacciose o moleste.
2.1.3. Un terzo snodo del primo motivo di ricorso indulge sul profilo soggettivo, sostenendo che la pronunzia avversata avrebbe omesso di soffermarsi sulla consapevolezza della F. di cagionare uno degli eventi della fattispecie incriminatrice. Questa parte si conclude con il ribadire il difetto motivazionale della sentenza impugnata in punto di coefficiente soggettivo e con il lamentare un travisamento della prova quanto alla spontanee dichiarazioni dell'imputata.
2.1.4. Prosegue la ricorrente - in un'ulteriore parte del primo motivo di ricorso - che la Corte di appello avrebbe omesso un'approfondita valutazione delle dichiarazioni della parte civile, valutazione che avrebbe addirittura imposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per chiarire il conflitto con quelle della prevenuta; non avrebbe motivato circa la credibilità dei testi di accusa rispetto a quelli della difesa; avrebbe, inoltre, pretermesso le dichiarazioni spontanee della F.. Prosegue il ricorso ritornando sul tema del conflitto familiare - in tesi pretermesso dalla Corte di appello - e assumendo che la parte civile aveva avuto contezza degli incontri con l'imputata solo perchè le erano stati raccontati e che le dichiarazioni della F. erano state sottovalutate.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione in relazione all'art. 612-bis c.p. e art. 192 c.p.p..
2.2.1. In primo luogo, la ricorrente lamenta che la Corte di merito non avrebbe motivato circa lo stato d'ansia e l'alterazione delle abitudini di vita della persona offesa, siccome reputate comprovate dalle sole dichiarazioni del fidanzato della vittima.
2.2.2 In secondo luogo, la sentenza impugnata sarebbe carente, perchè aveva solo enunciato la non significatività delle prove a discarico, e contraddittoria rispetto all'istruttoria dibattimentale.
2.2.3. A proposito della provvisionale (intanto corrisposta alla parte civile con riserva di ripetizione), la Corte di merito avrebbe errato nel limitarsi a stabilirne apoditticamente la congruità.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha sostenuto l'infondatezza complessiva del ricorso. Ha rimarcato la parte pubblica che la ricorrente aveva in sostanza invocato una rivalutazione delle fonti di prova e che il secondo motivo di ricorso non coglie nel segno laddove lo stato d'ansia della persona offesa era stato adeguatamente giustificato dalla Corte di merito, che aveva altresì smentito l'attendibilità dei testi a discarico.
4. L'Avv. Gian Luca Castigli, per la parte civile, ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha sostenuto quanto segue.
- Le doglianze circa l'elemento materiale, il coefficiente soggettivo e la maggiore affidabilità accordata alle prove addotte dal pubblico ministero sarebbero inedite, in quanto non promosse con l'appello;
- tali censure sarebbero inammissibili altresì perchè versate in fatto;
- il tema dell'ansia era stato adeguatamente trattato dalla Corte di appello, oltre che dal Tribunale;
- integrerebbero il reato di stalking anche condotte mediate, portate cioè verso persone vicine alla vittima, con la consapevolezza che queste ultime ne metteranno a parte la persona offesa;
- la sentenza impugnata sarebbe adeguatamente motivata quanto al dolo della fattispecie (censura comunque inedita)
- la Corte di appello aveva affermato come i testi escussi avessero confermato le dichiarazioni della persona offesa;
- i comportamenti persecutori non sarebbero stati sporadici, contrariamente a quanto opinato dalla ricorrente;
- il Tribunale aveva posto in luce tutti i comportamenti persecutori;
- la provvisionale era stata adeguatamente giustificata.
5. L'Avv. Carlo Zingarelli per l'imputata, nel concludere per iscritto, ha insistito per l'accoglimento del ricorso, valorizzando l'ammissibilità del primo motivo di ricorso - siccome diretto verso la motivazione della sentenza impugnata - e la fondatezza del secondo, diretto verso il percorso ricostruttivo e valutativo dell'evento del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Va preliminarmente precisato che l'istanza di trattazione orale presentata dal difensore della ricorrente è stata disattesa dal Presidente titolare di questa sezione in quanto intempestiva, siccome non presentata entro i termini di legge.
A questo riguardo, va ricordato che il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, aveva disciplinato lo svolgimento dei procedimenti pendenti in Cassazione prevedendo, quale regola generale, la trattazione senza la partecipazione delle parti, limitando la celebrazione dell'udienza partecipata ai soli casi in cui la discussione orale fosse stata richiesta da una delle parti nel termine di 25 giorni prima dell'udienza fissata.
Il periodo di vigenza della suddetta disciplina non era individuato autonomamente, bensì era direttamente collegato al termine dell'emergenza pandemica inizialmente fissata, in base al D.L. 25 marzo 2020, n. 19, art. 1 e alla modifica recentemente apportata dal D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, art. 1 al 31 gennaio 2021.
Ai sensi del D.L. n. 2 del 2021, art. 1, comma 1, (in vigore dal 14 gennaio 2021 ai sensi dell'art. 6), tale termine è stato sostituito da quello del 30 aprile 2021, sicchè la normativa processuale emergenziale, così come inizialmente introdotta dal D.L. n. 137 e 149 del 2020, nonchè dalla successiva legge di conversione L. n. 176 del 2020, deve ritenersi attualmente applicabile fino al 30 aprile 2021.
Da tutto quanto sopra consegue che l'istanza di trattazione orale andava presentata nel termine di 25 giorni antecedenti all'udienza del 16 febbraio 2021, termine che non è stato rispettato dalla parte richiedente.
2. Venendo al ricorso, occorre rilevare che diversi sono gli indici della sua inammissibilità, che si ritrovano in entrambi i motivi.
2.1. In primo luogo, l'impugnativa indulge su critiche generiche e prive di confronto con la sentenza impugnata, omettendo di censurare i passaggi di quest'ultima da cui emergerebbero i vizi motivazionali lamentati. Queste critiche sono riproposte nel ricorso in maniera ripetitiva, ma sempre priva del necessario affiato critico rispetto alla sentenza sub iudice.
Un argomento ricorrente nell'impugnativa è quello della collocazione delle condotte contestate nell'ambito di un conflitto familiare per questioni ereditarie, senza che si comprenda come questa situazione - peraltro ritenuta sussistente anche dalla stessa Corte territoriale - possa influire sul costrutto argomentativo dei Giudici di appello. Piuttosto, nell'indugiare ripetutamente su tale tema, il ricorso non si confronta, in tale parte, con l'enunciato che si legge a pag. 8 della sentenza impugnata, laddove il Collegio di merito ha rimarcato che, ad onta della conflittualità familiare, la persona offesa era apparsa attendibile, tanto da ammettere che non aveva avuto rapporti con la zia; il che - sia detto per inciso ed a smentire gli accenni del ricorso - non significa che la Z. non fosse stata vittima delle condotte assillanti della prevenuta, condotte che non presupponevano rapporto alcuno tra vittima ed autore del fatto, trattandosi di persecuzioni via internet ovvero di pedinamenti, nonchè di atteggiamenti di ostentata derisione e di enfatizzazione della portata invalidante della malattia della persona offesa prevalentemente tenuti in presenza di persone vicine alla ragazza ed a quest'ultima veicolate.
A quest'ultimo riguardo, il Collegio condivide ed intende dare seguito agli insegnamenti di questa Corte secondo cui integra il delitto di atti persecutori il sorvegliare o il farsi comunque notare, anche saltuariamente, nei luoghi di abituale frequentazione dalla persona offesa, indipendentemente dal fatto che la stessa si trovi presente o assista a tali comportamenti, nonchè il porre in essere una condotta minacciosa o molesta nei confronti di soggetti diversi dalla vittima, ancorchè ad essa legati da un rapporto qualificato, ove l'autore del fatto agisca nella consapevolezza che la stessa certamente sarà posta a conoscenza della sua attività intrusiva e persecutoria (Sez. 3, n. 1629 del 06/10/2015, dep. 2016, V., Rv. 265809). A giudizio del Collegio, tale principio trova la sua razionale giustificazione nella circostanza che l'autore del fatto, laddove attui le proprie condotte assillanti in presenza di soggetti vicini alla vittima ovvero comunichi a questi ultimi messaggi relativi alla persona offesa di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio - a fortiori laddove ciò accada non solo in più occasioni, ma anche verso più destinatari - agisca nella ragionevole convinzione e con la volontà che quest'ultima ne venga informata e nella consapevolezza dell'idoneità del proprio comportamento a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, consapevolezza richiesta, in generale, per la configurazione del reato in parola (sul coefficiente soggettivo del reato di atti persecutori, cfr. Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726; Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C., Rv. 260411).
A questo riguardo, oltre che richiamare l'accenno della Corte territoriale alla frase pronunziata dall'imputata quando, vedendo la nipote aiutata dai familiari per scendere dall'autovettura, aveva affermato di "godersi lo spettacolo", va ricordato che la pronunzia di prime cure ha operato un ampio riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, della zia delle sorelle F., P.P., del padre della parte civile Z.A. e del fidanzato B.L.; nonchè alla lettura dei messaggi postati dalla prevenuta su Facebook, oggettivamente irridenti rispetto alla malattia della nipote, ancorchè non nominata. Nel quadro complessivo come ricostruito grazie all'apporto di più fonti di prova, va ritenuto - anche a tenore della sentenza di primo grado - che il riferimento, più volte evocato dalla ricorrente, alla mancanza di rapporti con la zia riferita dalla parte civile attenesse non già all'assenza di condotte persecutorie, ma alla mancanza di interlocuzioni dirette e, anche, di rapporti personali, data la frattura di lunga data tra la madre e la famiglia di origine a causa della scelta di F.V. di andare a vivere con Z.A..
2.2. Anche altre riflessioni militano per l'inammissibilità del ricorso, che si aggiungono alle osservazioni appena svolte.
2.2.1. Quanto alle conseguenze sulla persona offesa, il ricorso non smentisce l'impostazione aspecifica che lo caratterizza, in quanto l'incidenza sulla psiche della ragazza è argomento adeguatamente trattato dalla Corte di merito, che ha dato atto di come gli atteggiamenti assillanti dell'imputata e la sua particolare attenzione verso la malattia che affliggeva la persona offesa, le avevano provocato uno stato d'ansia (tanto che il B. aveva anche fatto riferimento alla necessità di P. di assumere degli psicofarmaci, cfr. sentenza di primo grado).
2.2.2. Il ricorso è altresì inammissibile quando si rivolge al profilo del coefficiente soggettivo anche perchè il tema è inedito, siccome non affrontato nell'atto di appello. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso perchè non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l'art. 606 c.p.p., comma 3, quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 - 01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Di Domenica).
2.2.3. Riguardo al più volte agitato tema della conflittualità familiare - e sempre senza ricevere una critica puntuale da parte della ricorrente - la Corte di merito ha rimarcato come non fosse significativo il contributo dei testi della difesa - che si erano limitati a parlare dell'odio tra le sorelle F. - nel contempo rimarcando che tale querelle non giustificava l'apporto informativo a carico proveniente dal fidanzato della persona offesa.
2.3. Ulteriori indici di inammissibilità del ricorso si colgono nell'impostazione della denunzia dei vizi di legittimità.
Va, infatti, rimarcato che la stessa tecnica censoria utilizzata, in particolare, nel primo motivo di ricorso, è fallace, laddove fonda sull'analisi di singoli brani di prove dichiarative, giacchè devono ritenersi inammissibili i motivi contenenti trascrizioni parziali di singoli brani di prove dichiarative, brani adoperati, nella loro visione atomistica, scevra dal necessario inquadramento di insieme, per sostenere le proposte censure motivazionali (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552).
Ancora, l'accenno ad un presunto travisamento della prova mostra di non cogliere la natura del vizio lamentato, dal momento che censura - peraltro in termini marcatamente assertivi e generici la difformità tra la sentenza impugnata e l'istruttoria dibattimentale svolta, che attiene al ragionamento probatorio. Il travisamento della prova, invece, si configura quando il Giudice utilizzi un'informazione inesistente o ometta la valutazione di una prova e sempre che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nella motivazione; si ricorda altresì che tale vizio, intanto può essere dedotto, in quanto siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate e sempre che il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni e non ne abbia adottato una lettura atomistica, scevra da un inquadramento di insieme (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552).
2.4. Quando poi la parte contesta la condanna al pagamento della provvisionale - censurandone la congruità - incorre nell'inammissibilità perchè investe un tema che non può essere oggetto di ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536).
3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. (come modificato ex. L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). L'odierna decisione comporta, altresì, la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di cassazione dalla parte civile, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
4. La natura dei rapporti oggetto della vicenda impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3500,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021