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Stalking: se un soggetto è stato già condannato, gli atti successivi sono collegabili ai precedenti solo se danno vita ad un reato completo in tutti i suoi elementi

Stalking

Cassazione penale sez. V, 15/01/2020, n.11925

In tema di atti persecutori, nel caso in cui un soggetto sia stato già condannato per tale delitto, gli atti successivi possono essere collegati a quelli precedenti, ai sensi dell'art. 81 c.p., solo nel caso in cui diano vita ad un reato completo in tutti i suoi elementi, ossia ad una serie di condotte da cui consegue uno degli eventi di cui all'art. 612-bis c.p. e ciò in quanto il delitto in questione, avendo natura di reato necessariamente abituale, non è configurabile nel caso di un'unica, per quanto grave, condotta di molestia e minaccia.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha riformato la sentenza del 18 luglio 2017 del Tribunale di Udine, che ha assolto B.S. dalla imputazione di atti persecutori ai danni di più persone residenti nello stabile ove abita il predetto imputato, al quale si contestava di avere commesso, dal (OMISSIS) in poi, una serie di molestie, ingiurie e minacce ai danni di alcuni abitanti nel medesimo condominio. La Corte di appello di Trieste, pronunciandosi a seguito di appello del Procuratore generale, ha invece affermato la penale responsabilità del B. per le condotte commesse successivamente al (OMISSIS) - in quanto per i fatti antecedenti era stato già giudicato con sentenza della medesima Corte di appello del 21 febbraio 2017, divenuta irrevocabile in data 11 febbraio 2018 - e, ritenuta la continuazione con i fatti per i quali era stato già giudicato, ha aumentato di quindici giorni di reclusione la pena inflitta con la sentenza già passata in giudicato. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso B.S., a mezzo del suo difensore, chiedendone l'annullamento ed affidandosi a sei motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell'art. 603 c.p.p., comma 3-bis. La Corte di appello era pervenuta al ribaltamento della decisione assolutoria adottata in primo grado a seguito di una diversa valutazione delle prove dichiarative assunte nel corso del primo grado di giudizio senza procedere alla loro rinnovazione, prescritta dalla disposizione sopra citata. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 593-bis c.p.p.. Sebbene il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste avesse proposto impugnazione avverso la sentenza di primo grado prima del 6 marzo 2018, data dell'entrata in vigore dell'art. 593-bis c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 3, tale disposizione, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, doveva ritenersi retroattiva con conseguente inammissibilità dell'appello del Procuratore generale. Sostiene il ricorrente che la predetta disposizione ha natura processuale, ma essa comporta conseguenze di particolare rilievo in ambito sostanziale; la modifica normativa è, quindi, equiparabile a quella di cui al D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, che ha inciso sulla procedibilità a querela di taluni reati, per la quale questa Corte di cassazione (Sez. 2, n. 225 del 08/11/2018, dep. 2019, Mohammad, Rv. 274734) ha affermato l'applicabilità retroattiva del nuovo regime in considerazione della natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela. Nel caso di specie l'art. 593-bis c.p.p., renderebbe inammissibile l'appello del Procuratore generale che ha condotto all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. Diversamente ragionando, si perverrebbe alla violazione dell'art. 3 Cost., in quanto negare l'applicazione retroattiva dell'art. 593-bis c.p.p., significherebbe applicare un diverso regime all'appello del pubblico ministero a seconda che l'impugnazione abbia ad oggetto una sentenza emessa prima o dopo il 6 marzo 2018, con effetti differenti per l'imputato. 2,3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 649 c.p.p. e la mancanza della querela prevista dall'art. 612-bis c.p.p., comma 4. La Corte di appello ha applicato il principio del ne bis in idem in relazione ai fatti anteriori al (OMISSIS) e ha condannato il B. per i fatti successivi a tale data, ma non sussistono atti persecutori commessi dal B. successivamente e tale circostanza è dimostrata dalla sottoposizione del B. alla misura cautelare del divieto di avvicinamento in data (OMISSIS), misura che non risulta essere stata mai violata. In ogni caso, anche laddove fossero ritenuti esistenti atti persecutori successivi al (OMISSIS), per essi non risulta essere stata proposta alcuna querela, non potendo la querela del (OMISSIS) estendere ad essi i suoi effetti. Dalle deposizioni dei testi non emergevano atti persecutori posteriori al (OMISSIS). In mancanza di fatti successivi al (OMISSIS), l'affermazione della penale responsabilità del B. violava l'art. 649 c.p.p.. 2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'applicazione dell'art. 649 c.p.p. e alla sussistenza della querela. Nello specifico, deduce che la Corte di appello non ha precisato quali sarebbero i fatti successivi al (OMISSIS) che integrerebbero il delitto di atti persecutori; essi avrebbero dovuto essere menzionati e valutati ai fini dell'accertamento della sussistenza del delitto oggetto di contestazione. Anche in ordine alla sussistenza della condizione di procedibilità la sentenza è immotivata. 2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato. Il B. aveva proposto appello incidentale chiedendo di essere assolto per insussistenza del fatto, evidenziando che sulla base delle imprecise deposizioni rese da testi inattendibili non poteva pervenirsi all'affermazione della sua penale responsabilità. La Corte di appello aveva omesso di motivare sulle censure formulate con l'atto di appello incidentale e con la memoria depositata in udienza. In particolare, la Corte di appello non aveva chiarito quali fatti, oltre ad un episodio isolato intervenuto in data (OMISSIS), integrassero il delitto per il quale era stata pronunciata condanna, considerato che i fatti anteriori al (OMISSIS) erano coperti dal giudicato e non potevano essere nuovamente considerati. 2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta difetto di motivazione in ordine al rigetto dell'appello incidentale con il quale era stata lamentata l'assenza dell'elemento oggettivo del reato. Con l'appello incidentale si era dedotto che solo l'episodio del (OMISSIS) era stato commesso entro i sei mesi anteriori alla querela, ma trattandosi di un episodio isolato, esso era inidoneo ad integrare il delitto di atti persecutori. Sul punto la Corte di appello aveva omesso di pronunciarsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte. 2. Il secondo motivo di ricorso, che deve essere esaminato con priorità in quanto il suo accoglimento renderebbe superfluo l'esame degli altri motivi di ricorso, è manifestamente infondato. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado in data 8 novembre 2016, ossia molto tempo prima dell'entrata in vigore dell'art. 593-bis c.p.p.. Questa disposizione, introducendo una norma di natura esclusivamente processuale, non ha efficacia retroattiva e non determina l'inammissibilità sopravvenuta dell'appello del Pubblico ministero. Nè può sostenersi che tale disposizione, limitando la sua applicazione alle sentenze emesse successivamente alla sua entrata in vigore, violi l'art. 3 Cost., non potendo ravvisarsi alcuna disparità di trattamento tra imputati condannati prima e dopo il 6 marzo 2018, atteso che tale disposizione incide esclusivamente sulle modalità di esercizio della facoltà del pubblico ministero di proporre appello la cui disciplina rientra nella discrezionalità del legislatore. L'eccezione risulta, quindi, manifestamente infondata. 3. Il primo motivo di ricorso è infondato. Nel caso di condanna in appello, non sussiste l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado non già in base al diverso apprezzamento circa l'attendibilità di una prova dichiarativa, bensì all'esito di una differente valutazione giuridica della fattispecie concreta (Sez. 5, n. 47833 del 21/06/2017, Terry, Rv. 273553, che ha ritenuto priva di censure la decisione dei giudici di appello che avevano ricostruito il fatto storico - relativo alla riduzione in schiavitù delle vittime - in modo diverso dai giudici di primo grado, senza però rivalutare le dichiarazioni delle persone offese; vedi anche Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471, secondo la quale non sussiste l'obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell'assoluzione, quando l'attendibilità della deposizione è valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice). Neppure, ha già affermato questa Corte di cassazione, sussiste l'obbligo di rinnovazione della istruttoria dibattimentale nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado basata su una diversa interpretazione della fattispecie concreta, alla luce della valutazione logica e complessiva dell'intero compendio probatorio e non sulla base di un diverso apprezzamento della attendibilità di una prova dichiarativa decisiva (Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, Esposito, Rv. 275133). Nel caso di specie la Corte di appello non è pervenuta alla affermazione della penale responsabilità dell'odierno ricorrente attraverso una diversa valutazione delle prove dichiarative assunte nel corso del giudizio di primo grado. La valutazione di tali prove è, infatti, rimasta invariata, così come invariati sono rimasti i fatti accertati sulla base di tali prove. Il Tribunale ha, infatti, assolto l'imputato ritenendo che i fatti narrati dalle persone offese non fossero di per se stessi idonei a suscitare in esse quel grave e perdurante stato di ansia che integra uno degli eventi del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. e ha conseguentemente ritenuto insussistente il dolo, mentre la Corte di appello, fermi restando i fatti oggetto di accertamento, li ha considerati pienamente idonei a determinare tale evento e ha ritenuto che il B. avesse agito nella piena consapevolezza di tale loro idoneità e che quindi ricorresse il dolo generico del delitto contestato. In applicazione dei principi sopra esposti, non risulta violato l'art. 603 c.p.p., comma 3-bis. 4. Il terzo e il quarto motivo, nella parte in cui si lamenta difetto di motivazione in ordine alla sussistenza della querela, dell'elemento oggettivo del reato e violazione dell'art. 612-bis c.p., comma 4, ed il sesto motivo di ricorso, in cui si lamenta la mancanza di motivazione in ordine all'elemento oggettivo del reato, che sono strettamente connessi tra loro e possono essere trattati unitariamente, risultano fondati. La Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere per i fatti contestati nel presente procedimento e commessi dall'imputato sino al (OMISSIS) in quanto per essi il B. è già stato giudicato con sentenza ormai passata in giudicato. In tale parte, la decisione della Corte di appello non è stata impugnata dal Pubblico ministero e, essendo anch'essa passata in giudicato, non è contestabile nell'ambito del presente giudizio. Dal passaggio in giudicato della sentenza che ha condannato il B. per i fatti commessi sino al (OMISSIS) discendono conseguenze rilevanti anche ai fini della sussistenza del diverso reato per il quale il B. è stato condannato con la sentenza impugnata in questa sede. Questa Corte di cassazione ha già affermato che il delitto di atti persecutori, in quanto reato necessariamente abituale, non è configurabile in presenza di un'unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia, neppure unificando o ricollegando la stessa ad episodi pregressi oggetto di altro procedimento penale attivato nella medesima sede giudiziaria, atteso il divieto di bis in idem (Sez. 5, n. 48391 del 24/09/2014, C, Rv. 261024). Laddove un soggetto sia stato condannato per il delitto di atti persecutori, gli atti successivi a quelli per i quali egli è già stato giudicato non possono essere più collegati a quelli precedenti, ma devono dare vita ad una nuova serie di atti che sia causa di uno degli eventi contemplati dall'art. 612-bis c.p.. Una serie di condotte capaci di integrare il reato abituale può ritenersi cessata per effetto di sentenza di condanna e, se ripresa successivamente a questa, può anche dare luogo ad una situazione di continuazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 81 c.p., purchè la nuova serie di condotte sia tale da delineare una nuova ed autonoma fattispecie di reato abituale. Se si è in presenza di due reati diversi, da unificare nel vincolo della continuazione, è necessario che ciascuno di essi sia completo di tutti i suoi elementi. Diversamente ragionando, laddove per integrare gli elementi costitutivi del secondo reato debba farsi ricorso ad elementi del primo reato già giudicato, l'agente verrebbe condannato due volte per il medesimo fatto, in violazione dell'art. 649 c.p.p.. Per effetto del passaggio in giudicato dell'altra sentenza di condanna a carico del B. si è, quindi, venuta a creare una cesura tra i fatti commessi sino al (OMISSIS) ed i fatti successivi che devono essere valutati autonomamente e non possono essere più collegati ai precedenti al fine di affermare la sussistenza del reato. Nel caso di specie, dalla motivazione delle due sentenze di merito non risulta possibile stabilire quali siano gli specifici atti persecutori che, commessi successivamente al (OMISSIS), integrano la nuova serie di condotte e se questa serie sia tale da integrare il delitto di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p.p.. Nelle due sentenze si afferma genericamente che sussistono atti successivi alla data sopra indicata, ma non si precisa ai danni di chi, tra i vari condomini, essi sono stati commessi ed in cosa precisamente consistano; conseguentemente neppure è possibile stabilire se essi fossero idonei a cagionare uno degli eventi contemplati dalla norma incriminatrice. Ad analoghe considerazioni deve pervenirsi in relazione alla condizione di procedibilità. Deve ribadirsi in questa sede che, come più volte affermato da questa Corte di cassazione, il carattere del delitto di atti persecutori quale reato abituale improprio rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che nell'ipotesi in cui la reiterazione concerna anche condotte poste in essere dopo la proposizione della querela, la condizione di procedibilità si estende a queste ultime, le quali, unitariamente considerate con le precedenti, integrano l'elemento oggettivo del reato (Sez. 5, n. 31996 del 05/03/2018, S, Rv. 273640; Sez. 5, n. 41431 del 11/07/2016, R, Rv. 267868). Nell'affermare tale principio, questa Corte di cassazione ha osservato che il reato di atti persecutori è un reato abituale in cui la condotta è caratterizzata da una pluralità di atti che, nel loro complesso, realizzano l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice; pertanto, ai fini della proposizione della querela, il termine inizia a decorrere con la consumazione del reato, coincidente con la verificazione di uno degli eventi contemplati dall'art. 612-bis c.p.; tuttavia, per la struttura unitaria del reato, "una volta intervenuta la condizione di procedibilità essa si estende anche alle condotte poste in essere dall'imputato successivamente, poichè queste, unitariamente considerate con le precedenti, integrano l'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 612-bis c.p." (Sez. 5, n. 41431 del 11/07/2016, R, Rv. 267868). Tale principio postula, però, la natura unitaria del reato, pur a fronte della pluralità degli atti che integrano la condotta, mentre nel caso di specie, essendo intervenuto il giudicato in relazione alle condotte anteriori, per la sussistenza di un nuovo e diverso reato di atti persecutori per effetto delle condotte successive al (OMISSIS) occorre che queste siano considerate autonomamente, non potendo essere più collegate a quelle precedenti al fine di affermare la sussistenza del reato. Nel caso di specie la Corte di appello non ha chiarito se fosse stata sporta una querela avente efficacia anche per la nuova serie di atti costituita dalle condotte successive a detta data, cosicchè la motivazione della sentenza impugnata risulta carente anche in relazione alla condizione di procedibilità. 5. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste. Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020. Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2020
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