RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello di Genova ha confermato la decisione del Tribunale in sede del 14 febbraio 2015, che aveva condannato F.G. per i reati di atti persecutori e lesioni in danno di M.I., oltre accessori.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l'imputato, per mezzo del difensore, avv.to Micaela Calzetta, articolano sei motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione in riferimento al difetto di correlazione ex art. 521 c.p.p., per avere la corte territoriale confermato l'affermazione di responsabilità in relazione ad un evento del reato - sub specie di mutamento delle abitudini - non contestato e diverso da quello ritenuto nella sentenza di primo grado, limitato al rilievo di un perdurante stato d'ansia e di timore, peraltro insussistente, con conseguente violazione del diritto di difesa e preterizione della doglianza svolta con il gravame limitatamente alla configurazione del reato.
2.2. Con il secondo motivo, deduce, in plurima declinazione, vizio della motivazione riguardo l'elemento soggettivo del reato, sub specie di travisamento della prova, in presenza di una duplice declinazione, congiunta o alternativa, della posizione della parte civile, che comunque trascura di considerare il disorientamento indotto nell'imputato dall'atteggiamento conciliativo della M. e le inevitabili ricadute sul dolo.
2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione in riferimento al nesso di causalità, in presenza di una condizione emotiva della persona offesa non riconducibile alla condotta dell'imputato quanto, piuttosto, alle implicazioni psicologiche della separazione.
2.4. Con il quarto motivo, si censura violazione della legge processuale in riferimento al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria in appello attraverso l'esame di testi idonei a comprovare l'assenza di pedinamenti nell'antefatto dell'episodio del (OMISSIS), tanto da ricondursi al fortuito l'incontro tra le parti, avendo al riguardo la corte territoriale illogicamente travisato la prospettiva probatoria, erroneamente interpretandola quale dimostrazione contraria dei fatti, peraltro non contestati, e non nel senso delineato nell'atto di gravame.
2.5. Il quinto motivo lamenta vizi della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, determinato oltre il minimo edittale alla stregua di una inammissibile rivalutazione in pejus della durata della condotta persecutoria, oltre che apparentemente giustificato con il richiamo e mere clausole di stile.
2.6. Il sesto motivo articola analoga doglianza quanto al riconoscimento della provvisionale ed alla sua determinazione, avulsa dalla indicazione di elementi obiettivamente verificabili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Non è fondata la questione proposta con il quarto motivo di ricorso, con il quale si censura violazione della legge processuale in riferimento al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria in appello.
1.1. La corte territoriale ha dato atto della sostanziale irrilevanza delle circostanze prospettate a fondamento della richiesta di prova in riferimento alla dimostrazione del fatto sub a), rispetto al quale anche l'occasionalità dell'incontro tra l'imputato e la persona offesa il (OMISSIS) non è stata ritenuta decisiva con ragionamento che si sottrae a censure nella presente sede di legittimità.
Invero, solo in ipotesi di deduzione, in appello, della violazione dell'art. 495 c.p.p., comma 4, il giudice deve decidere sull'ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall'art. 190 cit. codice (per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte), mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado (V. Sez. 6, n. 48645 del 06/11/2014, G., Rv. 261256, N. 26885 del 2004 Rv. 229883, N. 761 del 2007 Rv. 235598), trattandosi di provvedimento incidente sul diritto alla prova contraria - garantito all'imputato dall'art. 495 c.p.p., comma 2, in conformità all'art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e attualmente anche dall'art. 111 Cost., comma 3.
Siffatta deduzione non è stata, tuttavia, esplicitata con l'atto di gravame nel senso indicato, di guisa che la corte territoriale ha rigettato l'istanza di rinnovazione, come formulata, in applicazione dei principi di diritto che assegnano carattere eccezionale alla rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, in considerazione della presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, ed alla quale può farsi ricorso esclusivamente allorchè il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 2016, Ricci, Rv. 266820).
Ed il provvedimento di rigetto, nella parte in cui richiama la natura delle circostanze dedotte, non appare censurabile in questa sede, non potendo il sindacato del giudice di legittimità svolgersi sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, dovendo lo stesso esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3, Sentenza n. 7680 del 13/01/2017, Loda, Rv. 269373, N. 37624 del 2007 Rv. 237689).
1.2. L'omessa rinnovazione istruttoria in appello non è, infine, censurabile neppure sotto il residuale profilo di cui all'art. 603 c.p.p., comma 3.
E', difatti, sindacabile in sede di legittimità l'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello necessaria al fine di superare dubbi sulla qualificazione giuridica del fatto o anche sulla sussistenza di circostanze, influenti sul trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 17607 del 31/03/2016, Palombo, Rv. 266623). Nella delineata prospettiva, il concetto di dubbio rilevante - e dunque cogente - non si risolve nella alternativa prospettazione della difesa, ma implica l'apprezzamento di una intrinseca ed oggettiva frammentarietà ed ambiguità del quadro probatorio che si riflette, con derivazione immediata e diretta, sulla logica sostenibilità di tesi antagoniste sulla qualificazione giuridica del fatto o sugli elementi sostanziali, tra le quali il giudice potrà formulare una ragionevole opzione solo in seguito all'acquisizione di elementi dotati - alla stregua di una valutazione prognostica ex ante ed in concreto - della necessaria attitudine dirimente, in quanto idonei ad incidere in maniera determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio.
Con la conseguenza che anche la sollecitazione all'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio ex art. 603 c.p.p., comma 3, deve rispondere all'onere di analitica specificazione delle ragioni fondanti l'assoluta necessità del mezzo di prova da assumere in relazione al compendio istruttorio già formatosi nel caso concreto (V. Sez. 3, n. 5441 del 19/09/2017 - dep. 2018, G., Rv. 272573).
Il quarto motivo di ricorso è, pertanto, infondato.
2. Non colgono nel segno le censure articolate nei primi tre motivi di ricorso in relazione agli elementi costitutivi del reato.
2.1. Non sussiste la prospettata immutazione dell'evento del reato censurata nel primo motivo.
L'accentuazione del mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, in stretta correlazione con lo stato emotivo indotto dalla condotta contestata, risulta nella sentenza impugnata puntualizzata proprio per contrastare le censure difensive che, sul punto, erano state proposte con l'atto d'appello (ff. 8 ss.gg.), dimostrando, di per ciò solo, l'estensione delle questioni sottoposte al contraddittorio ed il pieno esplicarsi sul punto del diritto di difesa.
Nel delitto previsto dell'art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale improprio a reiterazione necessaria delle condotte, l'evento - che non è necessario la vittima individui e descriva nell'ambito delle conseguenze del reato (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272086) - deve essere il risultato dell'azione persecutoria nel suo complesso (Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, C.), mentre la norma incriminatrice descrive eventi tra loro alternativi, ma anche progressivamente declinati, laddove allo stato d'ansia e di paura - ex se sufficiente all'integrazione del reato - consegua il mutamento delle abitudini di vita. In altri termini, se è vero che ai fini dell'integrazione del reato di atti persecutori è necessario e sufficiente il verificarsi anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis c.p., nondimeno gli stessi possono progressivamente integrarsi procedendo dall'uno all'altro, in rapporto di continenza, mentre non lede il diritto di difesa il ritenere comprovato uno specifico evento, diverso e causalmente caratterizzato rispetto ad altro, ove l'imputato abbia potuto difendersi anche nella prospettiva delle più incisive conseguenze del reato accertate.
Deve, pertanto, affermarsi il principio per cui, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione dell'evento del reato di atti persecutori effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce della regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), ove l'imputato abbia sulla stessa potuto difendersi, consentendosi, peraltro, al medesimo di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, Adinolfi, Rv. 273204, N. 2341 del 2012 Rv. 254135 - 01, N. 17782 del 2014 Rv. 259564 01).
L'enucleazione di una forma di evento in concreto diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'art. 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'art. 111 Cost., comma 2, e dell'art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione dell'evento fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono (V. Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438), mentre - nel caso in esame - il focus dell'atto d'appello si è concentrato sulla negazione di modifiche delle abitudini di vita indotte dalla condotta contestata, che la sentenza impugnata ha riaffermato con percorso argomentativo incensurabile nella presente sede di legittimità.
Il primo motivo di ricorso è, pertanto, infondato.
2.2. Sono, del pari, inconducenti le censure rivolte all'elemento soggettivo del reato.
Nel delitto di atti persecutori, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C., Rv. 260411).
Sul punto, le conformi sentenze di merito descrivono una condotta progressivamente consapevole del condizionamento prodotto sulla persona offesa, laddove la medesima ha mostrato di non gradire e tollerare le reiterate richieste di ricomposizione del rapporto, sino ad evitare - limitando la propria libertà di autodeterminazione - l'indesiderata presenza e intromissione dell'ex coniuge.
E siffatta consapevolezza, che investe tanto la reiterazione di comportamenti dotati di efficacia causale che l'evento come conseguenza della condotta persecutoria nel suo complesso (Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, C., Rv. 275381), non può ritenersi esclusa dagli episodi di temporanea riconciliazione sui quali il ricorrente incentra la pretesa assenza dell'elemento soggettivo.
La censura è, difatti, inconducente laddove pretende di minimizzare la condotta dell'imputato mediante il richiamo ad un rapporto di sostanziale reciprocità delle posizioni delle parti e di una sorta di consensuale corrispondenza della persona offesa, sia sul piano comunicativo che sentimentale, impropriamente riconducendo, in tal guisa, l'assoggettamento emotivo della persona offesa in conseguenza della condotta persecutoria ad un preteso equilibrio della relazione sentimentale, invece argomentativamente escluso dai giudici di merito.
Dalla sentenza impugnata, così come integrata dalla motivazione della conforme decisione di primo grado richiamata, risultano ricostruite plurime condotte vessatorie - consistite in telefonate insistenti e reiterate, appostamenti e richieste di incontri, minacce e violenze fisiche - poste in essere dall'imputato in danno della M., determinando nella medesima uno stato emotivo tale da indurne il mutamento delle abitudini di vita, in quanto anche transitori momenti di benevola rivalutazione del passato e di desiderio di pacificazione da parte della vittima non solo non incidono sulla sussistenza del reato (Sez. 5, n. 5313 del 16/09/2014 - dep. 2015, S. Rv. 262665, N. 41040 del 2014 Rv. 260395), ma ne possono costituire l'in sè quando rappresentino forme di manifestazione dell'assoggettamento psicologico indotto dalla posizione dominante di uno dei partner in danno dell'altro.
2.3. Il delitto di atti persecutori, quale reato abituale improprio a reiterazione necessaria delle condotte, si caratterizza in quanto l'evento nella triplice declinazione alternativa prevista dalla norma incriminatrice deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, nel cui ambito la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, G., Rv. 269081, N. 51718 del 2014 Rv. 262636), non incidendo sulla struttura del reato episodiche riconduzioni del rapporto ad apparenti condizioni di stabilità e reciprocità.
Ai fini della configurabilità del reato, bastano almeno due atti qualificabili come persecutori ed è sufficiente la determinazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis c.p. (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, PM in proc. A., Rv. 265231, N. 39519 del 2012 Rv. 254972, N. 18999 del 2014 Rv. 260411), anche quando lo status di soggezione della vittima si attenui temporaneamente in virtù della iniziativa compiacente del partner dominante che, tuttavia, riprenda - dopo averla interrotta - la sequenza delle condotte vessatorie, riallacciando la catena degli eventi, rimasti latenti, previsti dalla norma incriminatrice; eventi che non è necessario la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272086, N. 47195 del 2015 Rv. 265530), considerando tanto la loro astratta idoneità a causare l'evento, quanto il profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S. Rv. 269621, N. 14391 del 2012 Rv. 252314, N. 24135 del 2012 Rv. 253764, N. 20038 del 2014 Rv. 259458, N. 50746 del 2014 Rv. 261535).
2.4. La corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi.
Attraverso il richiamo alle numerose deposizioni testimoniali ed agli elementi documentali, la corte di merito ha dato conto della serie ininterrotta delle condotte vessatorie dell'imputato, sostanzialmente caratterizzate dal rifiuto di accettazione dell'epilogo del rapporto ed estrinsecatesi in contatti telefonici, incontri spesso trasmodati in aggressioni fisiche e verbali, imposizione di una complessiva coartazione della libertà morale esclusivamente condizionata dall'iniziativa della figura dominante del rapporto che, in considerazione dello status indotto nella persona offesa, integra gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612-bis c.p..
E dalla motivazione della sentenza impugnata risulta come siffatta complessiva condotta abbia inciso sulle abitudini di vita della M., costringendola ad evitare occasioni di incontro rinunciando anche ad uscire dall'ufficio nella pausa pranzo ed a frequentare la abituale palestra e, comunque, a temere la presenza dell'imputato nei pressi dei luoghi frequentati per ragioni di lavoro o di svago, nella non irragionevole previsione della reiterazione di analoghe condotte abusive, non richiedendosi uno stato patologico ed essendo, invece, sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612-bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (Sez. 5, n. 18646 del 17/02/2017, Rv. 270020, N. 16864 del 2011 Rv. 250158).
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono, pertanto, infondati.
3. Sono infondate, ai limiti dell'inammissibilità, le censure articolate nel quinto motivo di ricorso in relazione al trattamento sanzionatorio.
Risulta solo genericamente adombrata la valutazione peggiorativa, asseritamente accolta nella sentenza d'appello, dell'arco temporale dei fatti ritenuti integranti il delitto di atti persecutori, così come la sottovalutazione dell'estemporaneità della condotta lesiva sub b), comunque incontestatamente avvinta in continuazione, di guisa che il complessivo trattamento sanzionatorio non s'appalesa abnorme o ingiustificato, anche in riferimento all'aumento ex art. 81 cpv. c.p..
Deve essere, pertanto, ribadito il principio per cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti a titolo di continuazione, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; v. Sez. 4, n. 48546 del 10/07/2018, Gentile, Rv. 274361).
4. Sono, del pari, infondate le doglianze rivolte al punto della sentenza relativo al riconoscimento ed alla quantificazione della provvisionale.
Al riguardo, l'ampia congerie degli elementi probatori acquisiti e gli ulteriori indicatori che concorrono alla determinazione del danno morale in riferimento al reato di atti persecutori - idoneità della condotta a determinare pregiudizio alla libertà morale, turbamento psichico cagionato e conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi - non consentono di ritenere l'entità della liquidazione congetturale, o comunque abnorme, con conseguente incensurabilità nella presente sede di legittimità.
La valutazione del giudice, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, è, difatti, censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria (Sez. 5, Sentenza n. 35104 del 22/06/2013, RC. Istituto Città Studi, Rv. 257123).
5. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione alla parte civile delle spese del grado, come liquidate in dispositivo.
6. In caso di diffusione del presente provvedimento, debbono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione in favore della parte civile delle spese del grado che liquida in Euro 2.200 in favore dell'Erario.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2019