RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Bologna in accoglimento dell'appello proposto dal PM ai sensi dell'art. 310 c.p.p., avverso l'ordinanza reiettiva del GIP del Tribunale di Bologna, ha disposto l'applicazione della misura interdittiva della sospensione dal servizio (art. 289 c.p.p.) per la durata di sei mesi nei confronti dei Marescialli dell'Arma dei Carabinieri, M.P. e R.G.L., in relazione alle imputazioni provvisorie di atti persecutori (artt. 110 e 612 bis c.p., capo A) commessi ai danni dell'avv. A.A., del Foro di Bologna nonchè di depistaggio (artt. 110 e 375 c.p.) delle indagini inizialmente demandate allo stesso M. volte all'individuazione dei responsabili delle condotte persecutorie.
Secondo l'accusa la materialità del reato di atti persecutori si sarebbe sostanziata nell'effettuare false prenotazioni di prodotti alimentari (pizze) da recapitare al domicilio della parte offesa, nell'iscrizione del suo nominativo in siti di agenzie matrimoniali e infine nella manomissione, anche in ora notturna, dei campanelli dell'abitazione dell' A. per mera finalità di disturbo della sua quiete.
Quanto all'ipotesi di depistaggio, si contesta:
a) ad entrambi di avere indotto l' A. a modificare il contenuto di un atto di integrazione della querela, omettendo di menzionare una serie di telefonate anonime ricevute in un certo arco temporale;
b) al solo M. di avere indirizzato una nota all'autorità giudiziaria in cui si escludeva in via categorica la possibilità di individuare gli autori delle condotte denunciate, pur essendo emersi nel corso delle indagini spunti investigativi utili in tal senso.
2. Avverso il provvedimento hanno proposto disgiuntamente ricorso per cassazione gli indagati, che formulano i motivi di censura rispettivamente sotto indicati.
2.1 Ricorso M.;
Con un primo motivo, il ricorrente deduce vizi cumulativi di motivazione in ordine alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza del reato di atti persecutori. L'ordinanza impugnata li ritiene pacificamente sussistenti, limitandosi, peraltro, ad approfondire solo i fatti relativi all'ordinazione delle pizze, mentre in ordine a tutte le altre condotte moleste si limita ad affermare che, benchè non si abbia prova documentale o di altro tipo per attribuirle soggettivamente, le stesse vanno ascritte agli indagati poichè si collocano in un momento temporaneamente compatibile con il quadro d'insieme della condotta persecutoria.
Con un secondo motivo deduce la nullità dell'ordinanza per violazione dell'art. 375 c.p., commi 1 e 8, con riferimento alla condotta di depistaggio rappresentata dalla richiesta alla parte offesa di espunzione della menzione di quattro telefonate dalla querela del 28 febbraio 2019.
Riguardo a questa, infatti, il reato non è configurabile:
a) in primo luogo perchè al momento del fatto non era stata ancora presentata la querela, da cui l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 375 c.p., comma 8, da ravvisare, infatti, proprio in relazione alle condotte antigiuridiche poste in essere prima della proposizione della querela e non esclusivamente riguardo a quelle - come opinato dal Tribunale - in cui la querela manchi del tutto (tesi di fatto abrogatrice del dettato normativo);
b) in secondo luogo perchè difetta la materialità del reato, mancando la immutazione artificiosa del corpo del reato o dello stato dei luoghi e tanto meno il rilascio di false dichiarazioni a fronte di richieste poste dall'autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria.
Con un terzo motivo deduce la nullità dell'ordinanza per violazione dell'art. 375 c.p., con riferimento alla condotta di depistaggio rappresentata dalla nota di servizio n. 15/17-17 dell'11 giugno 2019.
La nota in questione non è mai stata depositata presso la Procura della Repubblica; trattasi in ogni caso di atto secondo l'accusa ideologicamente falso, che non può, tuttavia, integrare gli estremi del reato in questione, difettando ogni precedente richiesta di informazioni da parte dell'autorità giudiziaria o l'affidamento di deleghe di indagini, da ritenere quali presupposti necessari ed elementi costitutivi del reato di cui all'art. 375 c.p., comma 1 lett. b).
Con un quarto e ultimo motivo si deducono, infine, vizi cumulativi di motivazione in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari riferite ad entrambi i reati di provvisoria imputazione in rapporto alla personalità di un indagato incensurato e in possesso di uno stato di servizio ineccepibile; il pericolo di reiterazione delle condotte ritenuto dal Tribunale è, dunque, solo congetturale e deriva dall'averne confuso la mera possibilità fisica con la concreta attualità giuridica.
2.2 Ricorso R.;
Con un primo motivo il ricorrente deduce vizi cumulativi di motivazione quanto alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato di atti persecutori, non sussistendo tra l'altro alcuna prova concreta per ascrivergli la condotta di iscrizione del nome della parte offesa in siti matrimoniali nonchè quella del blocco del campanello.
Con un secondo motivo, deduce falsa applicazione dell'art. 375 c.p., sotto il profilo del fatto tipico di cui alla lett. a) del comma 1.
Ferma la distinzione di natura sostanziale dei ruoli attribuiti ai due indagati, l'unica condotta ascrittagli riguarda, infatti, l'induzione dell'avv. A. ad eliminare la menzione di alcune telefonate dalla sua querela, condotta che certamente non può ricondursi ad una delle modalità tipiche di realizzazione del delitto di cui all'art. 375 c.p., comma 1 lett. a).
In astratto la stessa potrebbe rientrare nell'ipotesi prevista dal dell'art. 375, comma 2 di artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento utile alla scoperta del reato o al suo accertamento, ma è di tutta evidenza che questa costituisce mera aggravante rispetto ad uno dei fatti tipici indicati al comma 1, non potendo, perciò, avere autonoma valenza incriminatrice, come reso manifesto dalla clausola iniziale; "se il fatto è commesso mediante...".
Con un terzo motivo, deduce violazione dell'art. 375 c.p., con riferimento alla sussistenza del dolo del reato di depistaggio.
Il ricorrente, come meglio è emerso in prosieguo di indagini, non è stato l'autore delle telefonate anonime indirizzate alla parte offesa e quindi non aveva alcun interesse ad intralciare le indagini, perseguendo quello più modesto che non emergessero irregolarità nell'uso del telefono di servizio in suo possesso, talora adoperato per chiamate personali e senza anteporre il prefisso idoneo a distinguerle come tali.
Con un ultimo motivo deduce, infine, vizi congiunti di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari sotto il profilo dell'assenza di pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione criminosa.
2.3 Successivamente alla proposizione del ricorso, con atto del 01/07/2020 il difensore del R. ha comunicato la sopravvenuta carenza d'interesse alla coltivazione dell'impugnazione in conseguenza della revoca disposta dal GIP del Tribunale di Bologna in data 05/06/2020 della misura interdittiva applicata dal Tribunale del Riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della comune rilevanza dei formali motivi dedotti, sono fondati e come tali vanno accolti.
2. A prescindere dalla questione della sussistenza di un residuo interesse alla impugnazione da parte del ricorrente R., nei cui confronti la misura interdittiva risulta esser stata revocata da parte del GIP procedente, il Collegio rileva come nei fatti descritti dal capo A) dalla provvisoria imputazione non possano ravvisarsi gli estremi del delitto di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p..
Gli elementi costitutivi della figura di reato in questione sono, infatti, rappresentati sul piano oggettivo da condotte che possono estrinsecarsi in varie forme di minaccia ovvero di molestie, mentre sul piano soggettivo attengono alla condizione psichica della persona offesa, che in conseguenza di quelle condotte deve sviluppare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero nutrire timore per l'incolumità propria, di familiari o di persone legate affettivamente; a tali elementi essenziali e indefettibili (Sez. 5, sent. n. 29872 del 19/05/2011, L., Rv. 250399) può, inoltre, accompagnarsi la costrizione per la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita onde sottrarsi alla reiterazione di quelle condotte.
Ciò premesso, la complessiva fattispecie descritta dall'imputazione evidenzia sicuramente comportamenti riconducibili al reato di molestie (art. 660 c.p.), in cui tuttavia l'obiettiva consistenza e l'intento goliardico da cui risultano all'evidenza connotati - compatibile quest'ultimo con i rapporti di amicizia intercorsi tra il M. e la parte offesa A. - impediscono ipso facto di poterle considerare atti persecutori rilevanti ai fini del reato e ciò a prescindere dal profilo sia della soggettiva riferibilità agli indagati sia della sussistenza di un lacunoso quadro di gravità indiziaria, come dedotto in ricorso.
Quanto alle conseguenze determinate da tali condotte sullo stato psichico della persona offesa, il Tribunale ha indicato lo stato di prostrazione in cui sono caduti l'avv. A. e la moglie derivante:
a) dall'avere dovuto fronteggiare le contemporanee richieste di pagamento dei fattorini che recavano le pizze ordinate da terzi;
b) dall'avere dovuto, con inevitabile perdita di tempo, rispondere ai messaggi lasciati dalle agenzie matrimoniali in cui l' A. risultava iscritto;
c) dall'aver dovuto sopportare l'innegabile fastidio causato dalla manomissione notturna del campanello dell'abitazione
Quanto, inoltre, più propriamente allo stato misto di ansia e rabbia riferito dal denunciante nelle sue querele (pag. 6 ordinanza), è d'obbligo osservare che la rabbia che sovente le molestie provocano alla vittima è cosa diversa dall'ansia e non comporta necessariamente l'insorgenza di quest'ultima, derivando tale ulteriore effetto dalla particolare sensibilità del soggetto o dalle peculiari modalità con cui le molestie stesse possono palesarsi.
Se è poi indiscutibile che le dichiarazioni rese dalla vittima giocano un rilievo ai fini della prova della sussistenza del reato (Sez. 5, sent. n. 17795 del 02/03/2017, S, Rv. 269621; Sez. 6, sent. n. 50746 del 14/10/2014, PC e G, Rv. 261535), esse vanno pur sempre correlate alla natura obiettiva delle condotte molestatrici, pena la scomparsa di ogni distinzione tra la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. ed il delitto di più recente conio.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, già affermato il principio che le molestie suscettibili di integrare il delitto di cui all'art. 612 bis c.p., sono quelle che cagionano uno stato d'ansia in ragione della loro ampiezza, durata e carica spregiativa all'indirizzo della vittima (Sez. 5, sent. n. 29826 del 05/03/2015, P, Rv. 264459 in fattispecie di invio l'invio ad una coppia di coniugi di lettere e messaggi sms nonchè di reiterata diffusione sul luogo di lavoro e presso la scuola frequentata dai figli, di scritti diffamatori concernenti i rapporti extraconiugali dei predetti), volendo con ciò significare che è necessario che esse trasmodino da un livello strettamente emulativo all'indirizzo della vittima per attaccarne e lederne in qualche modo la figura morale.
Conclusivamente, deve riscontrarsi sulla base della mera imputazione e delle risultanze dell'ordinanza impugnata l'insussistenza di uno degli elementi costitutivi sul piano oggettivo del reato di cui all'art. 612 bis c.p..
3. Ancora più problematica si presenta la possibilità di ricondurre le condotte descritte nel capo b) dell'imputazione provvisoria al delitto di depistaggio di cui all'art. 375 c.p..
Senza volere affrontare i gravi e irrisolti problemi di inquadramento generale nonchè di delimitazione dell'ambito soggettivo di applicabilità di detta figura di reato introdotta dalla L. 11 luglio 2016, n. 133, va subito rilevato che colgono nel segno le doglianze difensive che lamentano un palese difetto di tipicità nelle condotte in addebito.
Riassumendo, ad entrambi i ricorrenti si ascrive di avere indotto la parte offesa a non citare alcune telefonate, pacificamente provenienti dal telefono cellulare del Mar. R., in una integrazione alla querela che l'avv. A. si accingeva a depositare e che in affetti avrebbe presentato in data 28/02/2019; al solo M. s'imputa anche la preparazione di una nota informativa per l'autorità giudiziaria poi materialmente sottoscritta da un collega (ma il profilo risulta irrilevante per quanto si dirà) in cui escludeva in termini recisi di poter addivenire alla identificazione degli autori delle molestie.
Tanto premesso, la prima di siffatte condotte dovrebbe (il condizionale è d'obbligo poichè il Tribunale è impreciso sul punto) integrare il reato secondo le modalità declinate dall'art. 375, comma 1, lett. a), mentre la seconda viene dal Tribunale espressamente ricondotta al novero delle modalità di consumazione di cui alla lett. b) dello stesso comma 1 (pag. 7 ordinanza).
In tale prospettiva si reputa scontato che l'induzione a modificare il contenuto della querela rappresenti condotta rilevante ai sensi dell'art. 375 c.p., sostenendo il Tribunale che "il depistaggio (...) può avere ad oggetto il tentativo di impedire la presentazione di una denuncia o querela, tramite l'immutazione dello stato delle cose o false dichiarazioni".
L'assunto interpretativo non è, tuttavia, condivisibile.
Come è agevolmente verificabile, l'art. 375 c.p., comma 1, lett. a), costituisce la sostanziale riproduzione dell'art. 374 c.p. (frode processuale) nella parte in cui descrive le condotte punibili, consistenti nella immutazione artificiosa dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato, cui nell'art. 375 è aggiunta la menzione dello stesso corpo del reato.
In altri termini l'art. 375 c.p., lett. a), configura una forma speciale di frode processuale nel processo penale, tale per effetto sia della qualifica soggettiva dell'agente (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) sia del dolo specifico di voler impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale.
Gli elementi specializzanti non tolgono, tuttavia, che le condotte materiali fraudolente siano sostanzialmente quelle descritte dall'art. 374 c.p. e che l'attività di immutazione, intesa come modificazione materiale idonea a generare il pericolo di inganno (per tutte si rinvia a Sez. 6, sent. n. 9956 del 04/02/2016, Orlando e al., Rv. 266732) debba riguardare il corpo del reato, lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connesse al reato.
Pare allora evidente come la condotta provvisoriamente contestata non abbia integrato alcuna immutazione di cose o persone nei termini ora descritti.
La querela, infatti, non costituisce in genere corpo del reato, a meno che essa non veicoli una falsa incolpazione integrante il delitto di calunnia (Sez. 6, sent. n. 51721 del 03/11/2016, PM in proc. Martina, Rv. 268756) evenienza che, però, non ricorre nella fattispecie.
Viene, dunque, a difettare l'elemento oggettivo del reato ipotizzato, senza il quale ogni considerazione sull'elemento soggettivo (dolo) risulta superfluo.
Alle medesime conclusioni deve giungersi con riferimento alla condotta ascritta esclusivamente al ricorrente M. e concernente la redazione, per quanto contestata dall'interessato, di una nota informativa volta secondo l'accusa a distogliere da sè i sospetti di essere uno degli autori delle condotte moleste in danno dell'avv. A., in tal modo sviando il corso delle indagini.
Prima di svolgere le considerazioni che seguono è, però, d'obbligo un breve cenno alle ragioni di politica criminale alla base della introduzione del delitto di depistaggio.
Storicamente la previsione del nuovo art. 375 c.p., nasce come molto tardiva reazione dell'ordinamento a gravi e reiterati episodi di resa di false e reticenti testimonianze da parte di membri dei servizi di informazione (deviati o meno) all'autorità giudiziaria negli ultimi decenni del secolo scorso nel corso di importanti processi per reati di eversione dell'ordine costituzionale, terrorismo e materie affini.
Caduto oggi il riferimento a qualsiasi tipo di reato presupposto, resta che l'art. 375 c.p., lett. b), configura una ipotesi speciale di illecito penale rispetto sia al delitto di false informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale (art. 371 bis c.p.) che di falsa testimonianza (art. 372 c.p.), dei quali condivide le modalità di consumazione (afferma il falso o nega il vero, rende dichiarazioni false ovvero tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene interrogato e/o sentito), potendo in aggiunta consumarsi anche dinanzi alla polizia giudiziaria all'atto di rendere le informazioni sommarie di cui all'art. 351 c.p.p..
Riguardo alle citate figure di reato base, la specialità deriva più che dalla qualità soggettiva dell'agente di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, i quali possono ben rendersene responsabili, dall'intento (dolo) perseguito di voler ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale.
Ora a parte ogni considerazione circa la coerenza di un così ampio ambito applicativo rispetto all'intento originario del legislatore, la condotta materiale indicata dalla pubblica accusa e ascritta al ricorrente M. appare insuscettibile di integrare il delitto di depistaggio, non solo non venendo indicata nell'ordinanza alcuna formale richiesta proveniente dall'autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria cui il ricorrente avesse l'obbligo di rendere dichiarazioni ma soprattutto non configurandosi alcuna delle situazioni tipiche e indefettibili ai fini della consumazione del reato (comparizione come persona informata sui fatti dinanzi al pubblico ministero ai sensi dell'art. 362 c.p.p. o alla polizia giudiziaria ex art. 351 c.p.p., comparizione dinanzi al giudice in qualità di testimone).
Ribadito che l'art. 375 c.p., lett. b), configura un'ipotesi speciale dei predetti delitti, resta impregiudicato se la condotta ascritta al ricorrente possa astrattamente integrare altri delitti contro la amministrazione della giustizia o contro la pubblica amministrazione, quali la calunnia (art. 368 c.p.) o l'abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), il cui accertamento richiede, però, apprezzamenti di fatto incompatibili con la funzione del giudizio di legittimità.
Alla luce del predetto inquadramento dogmatico appare, infine, superfluo soffermarsi - come a fini di completezza argomentativa sollecita la difesa del ricorrente - sulla valenza della condotta di formazione o artificiosa alterazione di un documento da impiegare come elemento di prova, quale sarebbe nella fattispecie la nota informativa approntata dal ricorrente.
E' sufficiente sul punto rilevare la correttezza dell'osservazione difensiva secondo cui difettando le condotte tipiche descritte dagli artt. 371 bis e 372 c.p., come trasfuse nell'art. 375 c.p., comma 1, lett. b), quelle apprezzabili esclusivamente ai fini dell'aggravante descritta dall'art. 375 c.p., comma 3 (in cui rientrerebbe a pieno titolo la condotta sopra descritta) non possono esplicare autonoma valenza ai fini dell'integrazione del reato.
4. L'accoglimento delle doglianze principali concernenti la sussistenza stessa del delitto di depistaggio comporta, infine, l'assorbimento di quelle riguardanti la procedibilità (art. 375 c.p., comma 8) di una parte delle condotte e impone, unitamente alle considerazioni sopra svolte quanto al delitto di atti persecutori, l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.
P.Q.M.
annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.
Così deciso in Roma, 10 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020