RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 ottobre 2015 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado con cui è stata applicata a C.R. la pena di giustizia per il reato di atti persecutori ai danni di C.M.C..
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore l'imputato ha proposto ricorso per cassazione affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè violazione di legge penale in ordine ai requisiti soggettivi ed oggettivi della fattispecie contestata.
Lamenta il ricorrente che la condotta contestata è riferibile ad un solo messaggio lasciato nella segreteria telefonica nonchè all'invio di due precedenti messaggi sul profilo facebook della persona offesa nella giornata del (OMISSIS). Tenuto conto che l'episodio riferito dal sig. S. - l'imputato sempre in quel giorno, in stato di alterazione alcoolica, aveva manifestato l'intento di recarsi dalla persona offesa e di "fare casino" - è frutto di un fraintendimento di quest'ultimo, le condotte contestate al ricorrente non integrano gli estremi dello stalking. Difetta il requisito della reiterazione delle minacce o molestie e della ripetizione delle condotte, proprie di un reato abituale, oltre al perdurante e grave stato di ansia ingenerato nella persona offesa.
Il ricorrente si duole altresì che la sentenza impugnata ha omesso totalmente di motivare sulla riqualificazione dello stalking nel reato di cui all'art. 612 c.p. e/o art. 595 c.p., difettando la reiterazione delle condotte.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all'art. 133 c.p., essendo stata inflitta una pena eccessiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile.
Non vi è dubbio che il ricorrente, nel contestare la ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata, muova delle censure di fatto in quanto finalizzate ad una rivalutazione del materiale probatorio operata dai giudici di merito, come tali inammissibili in sede di legittimità. La Corte di merito ha, infatti, evidenziato con argomentazioni articolate e coerenti gli elementi di fatto e di diritto in virtù dei quali ha accertato la penale responsabilità del prevenuto per il reato ascrittogli.
In particolare, posto che il reato di "atti persecutori" di cui all'art. 612 bis c.p. è stato introdotto nel nostro ordinamento a tutela della libertà morale della persone e ha ad oggetto condotte reiterate di minaccia e molestia che determinano nella vittima, alternativamente:
- un perdurante e grave stato di ansia o paura;
- un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque affettivamente;
- la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita, la sentenza impugnata ha analizzato la realizzazione di almeno due dei tre tipici eventi delineati dalla norma in esame, evidenziando che il ricorrente, già condannato per un delitto di atti persecutori ai danni della stessa persona offesa, dopo aver finito di scontare la pena, nell'immediatezza, ha ripreso la propria condotta persecutoria nei confronti della vittima, effettuando in una sola giornata chiamate registrate sulla segreteria telefonica e sul telefonino del figlio ed inviando messaggi ricevuti sul profilo face book, aventi tutti contenuto gravemente minatorio, provocando conseguentemente nella persona offesa il riaffiorare prepotente di quello stato d'ansia e di timore per la propria incolumità che in precedenza la aveva attanagliata, documentato dall'annotazione di P.G. e dallo stesso essersi precipitata a denunciati gli episodi di stalking la stessa giornata del (OMISSIS) in cui si sono verificati.
Correttamente, inoltre, la Corte di merito ha ritenuto sussistente il reato ascrittogli nonostante gli atti persecutori siano stati perpetrati in una sola giornata, rilevando in tale vicenda la reiterazione delle condotte, l'autonomia dei singoli atti, che non possono peraltro essere valutati in modo avulso rispetto al contesto di quelli pregressi (già riconosciuti giudizialmente come stalking) ed il rilievo che proprio tale reiterazione, pur concentrata in un brevissimo intervallo temporale, ha rappresentato la causa effettiva degli eventi sopra evidenziati considerati dalla norma incriminatrice (vedi Sez. 5, n. 33563 del 16/06/2015, Rv. 264356).
Alla luce di tali osservazione, pienamente condivisibile è stato l'inquadramento giuridico della condotta del ricorrente nel reato di cui all'art. 612 bis c.p., non sussistendo conseguentemente i presupposti per una diversa qualificazione, o derubricazione nei reati di cui agli artt. 612 e 595 c.p..
2. Il secondo motivo è inammissibile.
Il giudice di secondo grado ha congruamente e coerentemente motivato la mancata concessione delle attenuanti generiche in relazione all'evidente rilievo che la pregressa condanna non aveva sortito effetto deterrente alcuno nonchè in considerazione dei suoi precedenti penali sintomatici di una indole violenta ed aggressiva.
Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 1.000,00 Euro.
A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 deve disporsi l'oscuramento dei dati identificativi delle parti.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dispone l'oscuramento dei dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2016