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Invasione di edifici: configurazione del reato, natura permanente e subordinazione della sospensione condizionale al rilascio (Giudice Raffaele Muzzica)

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Tribunale Nola, 19/05/2022, n.1048

Il reato di invasione di edifici (art. 633 c.p.) è configurabile anche in assenza di ingresso violento, qualora l'occupazione dell'immobile sia arbitraria e priva di legittimo titolo. La natura permanente del reato comporta che la prescrizione decorra dal momento della cessazione dell'occupazione, ossia dall'allontanamento dell'occupante o dal rilascio forzato dell'immobile. La sospensione condizionale della pena può essere subordinata al rilascio dell'immobile occupato.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
L'imputato Po.An. veniva citato a giudizio, con decreto emesso dai Pubblico Ministero sede il 3/5/2021, per rispondere all'udienza del 4/11/2021 del reato in rubrica contestato.

In quell'udienza il Giudice dava atto del mancato perfezionamento della notifica del decreto che dispone giudizio nei confronti dell'imputato e ne ordinava la rinnovazione ai sensi dell'art. 161 co. 4 c.p.p. essendo il Po.An. domiciliato e difeso di fiducia. Il difensore delle persone offese si riservava la costituzione di parte civile, il GM rinviava all'udienza del 17/3/2022.

In quella sede il Giudice dichiarava l'assenza dell'imputato, ricorrendone i presupposti di legge. Il difensore delle persone offese Ca.Bi. e Sg.Gi. depositava atto di costituzione di parte civile in favore delle stesse e, nulla osservando le altre parti, il GM la ammetteva. In assenza di ulteriori questioni o eccezioni preliminari il Giudice dichiarava aperto il dibattimento, ammettendo i mezzi di prova richiesti dalle parti, in quanto legittimi, non manifestamente superflui o irrilevanti. Si procedeva all'esame della persona offesa Ca.Bi. e, con il consenso delle parti, veniva acquisita la denuncia querela sporta dalla persona offesa il 23/10/2018. Il Pubblico Ministero rinunciava all'escussione del teste Sg.Gi. e, nulla osservando le altre parti, il GM revocava l'ordinanza ammissiva della prova sul punto. Si proseguiva con l'escussione del teste Si.Gi., il PM produceva la denuncia sporta da quest'ultimo e il Giudice l'acquisiva con il consenso delle parti. Si rinviava all'udienza del 19/5/2922 per l'esame dell'imputato e la discussione. Alla presente udienza, non essendo comparso l'imputato né avendo lo stesso reso interrogatorio ex art. 513 c.p.p., il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento ed invitava le parti a a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe. La parte civile non rassegnava le sue conclusioni scritte.

Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza con redazione contestuale dei motivi.

Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che l'istruttoria dibattimentale ha pienamente confermato l'ipotesi accusatoria, con la conseguenza che l'imputato Po.An. va dichiarato colpevole del reato ascritto in rubrica.

Giova sul punto evidenziare che gli elementi di prova portati al vaglio di questo Giudice sono costituiti dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa Ca.Bi. e dal teste Si.Gi., dagli atti acquisiti con il consenso delle parti, segnatamente, il verbale di denuncia-querela sporta da Ca.Bi. e Sg.Gi. il 23/10/2018 e il verbale di denuncia presentata da Si.Gi. il 17/9/2018 nonché dalle prove documentali in atti rappresentate dall'atto di donazione relativo all'immobile sito in S. Sebastiano al Vesuvio alla via (...) e dalla comunicazione effettuata dal Se. S.p.A. relativa alla fornitura di energia elettrica del predetto immobile.

Dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa Ca.Bi. emergeva che quest'ultima rivestiva la qualità di usufruttuaria per il 20% dell'immobile sito in S. Sebastiano al Vesuvio alla via (...), il cui diritto di nuda proprietà spettava per l'intero al figlio Sg.Gi., come comprovato dall'atto di donazione dell'immobile versato in atti. Poiché l'appartamento era stato lasciato libero dal precedente inquilino, la Ca. ed il figlio conferivano mandato all'agenzia immobiliare Gi. s.r.l.s., di cui era amministratore Si.Gi., affinché ricercasse un nuovo locatario. L'agenzia consentiva all'odierno imputato, Po.An., di avere accesso all'immobile in questione per poter verificare lo stato del cespite e la corrispondenza alle sue aspettative. Il sig. Po.An. consegnava all'agenzia, a conferma del suo interesse e della sua solvibilità, un assegno di conto corrente postale tratto a sua firma sulle Po. dell'importo di Euro 2400,00. L'agenzia immobiliare consegnava lui le chiavi affinché potesse effettuare una seconda visita, ma il Po.An. occupava l'appartamento trasportandovi del mobilio e trasferendo ivi i propri familiari. La Ca. e lo Sg. provavano ad incassare il titolo di credito ma dalle Po. apprendevano che la firma era difforme da quella depositata e che il contratto di conto corrente dal quale era tratto l'assegno era intestato a persona diversa dal Po.. La Ca. dichiarava che il marito aveva tentato più volte di riappropriarsi dell'immobile, ma che il Po.An. non aveva neppure aperto la porta, o aveva escogitato diversi stratagemmi per potersi sottrarre al confronto con i due coniugi. Così ricostruita la deposizione della persona offesa, nella valutazione della stessa questo Giudice segue l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. V del 14 giugno -18 settembre 2000n. 9771, e da ultimo Cass. Sez. II 16 giugno - 11 settembre 2003 n. 35443), che, ormai da tempo ed in modo consolidato, hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice deve adottare quando la prova sia rappresentata, anche in via esclusiva, dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato. Sul punto è necessario premettere che la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile, alla stregua di un qualunque testimone - tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 n. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile -, viene collocata, dalla giurisprudenza, in una posizione diversa rispetto a quella del testimone, e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà.

Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.

Ne deriva che se in relazione alla deposizione resa dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimemente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dalla semplice dichiarazione del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità; con riferimento, invece, alla deposizione resa dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca della deposizione, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno la detta deposizione (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II del 19 novembre 1998 n. 12000).

Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché la sua deposizione possa essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporla ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.

Si tratta di un canone di valutazione, quello appena esposto, che presuppone che la persona offesa e soprattutto la parte civile si collochino, nel quadro delle prove dichiarative, tra la figura del testimone puro e semplice, che non ha interessi privati da far valere nell'ambito del processo e che è quindi, rispetto alle parti processuali in una posizione di estraneità, e la figura del testimone assistito (da sentire con le modalità di cui all'art. 197 bis c.p.p.) e dell'indagato da esaminare ai sensi dell'art. 210 c.p.p., i quali, per le posizioni rispettivamente ricoperte nel processo e per il coinvolgimento più o meno intenso nei fatti da esaminare, si collocano in una posizione estrema, con la conseguenza che se per gli uni (i testimoni semplici) è sufficiente soffermarsi sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, nei confronti degli altri (ossia i testimoni assistiti e gli indagati o imputati ex 210 c.p.p.) è necessario che le loro dichiarazioni siano riscontrate da altri elementi di prova, che ne confermino l'attendibilità.

In conclusione, dunque, quando la fonte principale di prova sia, come nel caso in esame, la persona offesa, sarà in primo luogo necessario vagliare in modo rigoroso la credibilità del dichiarante e l'attendibilità intrinseca della dichiarazione e, inoltre, andranno verificati gli elementi di conforto cosiddetti estrinseci alla dichiarazione della persona offesa.

Nel caso di specie, le dichiarazioni della Ca., oltre ad essere chiare e precise, nonostante il lasso temporale trascorso dai fatti, sono state connotate da un sufficiente grado di attendibilità estrinseca, come si deduce dal fatto che durante l'escussione la Ca. non si è mostrata astiosa o vendicativa nei confronti dell'imputato. Inoltre, le dichiarazioni della persona offesa hanno trovato integrale conferma nell'escussione del teste Si.Gi., nonché nelle prove documentali acquisite agli atti.

Dall'esame dibattimentale di Si.Gi., amministratore unico dell'agenzia di mediazione immobiliare Gi. S.r.l.s. - della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, stante la precisione del narrato del teste escusso, esente da incongruenze o di altri vizi logici, il quale, avendo direttamente preso parte alle vicende narrate, a differenza della Ca., ricostruiva con precisione quanto accaduto sotto 3a sua diretta percezione - emergeva che Ca.Bi., unitamente al proprio figlio Sg. Gi. nell'anno 2018 gli conferivano incarico per procedere alla allocazione dell'immobile di loro proprietà sito in San Sebastiano al Vesuvio alla via (...) numero 32.

Nel mese di agosto del 2018 egli veniva in contatto con un probabile locatario. Po.An., che contattava l'agenzia per visionare l'immobile. A seguito della visita constatava che l'immobile era di suo gradimento, quindi, l'odierno imputato si recava in agenzia per finalizzare la locazione, chiedendo tuttavia di potersi recare previamente presso l'immobile per una seconda visita, allo scopo di prendere delle misure per il mobilio all'interno della casa. Il Po.An. chiedeva di poter avere le chiavi della casa per effettuare tale sopralluogo e, a fronte del rifiuto dell'agente, proponeva di pagare la somma di 2400 Euro a titolo di cauzione mediante assegno in favore dei sigg. Ca. e Sg.. Contestualmente a tale versamento, il Si. riferiva che l'imputato firmava una proposta di locazione immobiliare dalla quale tuttavia non sarebbe dipeso l'immediato trasferimento dell'immobile, subordinato alla successiva accettazione dei legittimi proprietari. L'agente, quindi, contattava i proprietari per avvertirli di tale proposta, mandava loro l'assegno e consegnava le chiavi al Po.An. per consentirgli di visionare nuovamente l'immobile e prendere le misure. Poco tempo dopo, il Si. riceveva una telefonata dai proprietari dell'immobile con la quale questi ultimi gli comunicavano la presenza di difformità nell'assegno, firmato da un soggetto diverso rispetto all'intestatario del conto. L'agente contattava immediatamente il Po.An. per farsi restituire le chiavi e per chiedere spiegazioni in merito alle difformità dell'assegno. A fronte di tali domande l'imputato asseriva di aver semplicemente sbagliato a prendere il libretto degli assegni all'interno della borsa, rassicurando il Si. che avrebbe subito provveduto ad effettuare il pagamento. Dopo diversi giorni e svariate telefonate il Si. si recava più volte presso l'immobile bonariamente per tentare di farsi restituire le chiavi, ma il Po.An. da un certo punto in poi cominciava a non rispondere più al telefono, a non aprire più la porta e ad occupare l'immobile abusivamente. A domanda del P.M. il Si. precisava che l'occupazione abusiva era cominciata il 10 agosto del 2018 e che nessun assegno era stato ulteriormente effettuato in favore della Ca. e dello Sg.. Le uniche volte in cui, inizialmente, il Po.An. aveva aperto la porta di casa al Si., quest'ultimo aveva potuto notare delle buste con diversi oggetti all'interno dell'immobile, segno che l'imputato si stava trasferendo. Oltretutto, in qualche occasione il Si. era passato di sera ed aveva notato le luci accese presso l'appartamento occupato dal Po.An.. Tale circostanza appare riscontrata dalla comunicazione effettuata dal Se. S.p.A. alla Ca. e allo Sg. con la quale la società attestava il servizio di vendita di energia elettrica era stato erogato in favore dell'occupante dell'immobile sito in San Sebastiano al Vesuvio alla via (...) essendo obbligatoria per legge la fornitura di energia elettrica in favore di chiunque ne facesse legittimamente richiesta.

Il Si., infine, dichiarava che il contratto di locazione definitivo non era mai stato stipulato, a causa del comportamento del Po.An. che si era appropriato dell'immobile e non aveva più consentito all'agente né ai proprietari di accedervi. Alla luce dell'istruttoria emersa l'imputato va dichiarato colpevole del reato ascritto in rubrica.

L'art. 633 c.p. punisce la condotta del soggetto che arbitrariamente invade edifici altrui al fine di occuparli o di trarne profitto. La condotta tipica consiste nella invasione dall'esterno di un edificio altrui, del quale non si abbia il possesso o la detenzione: la norma non è posta a tutela di un diritto, ma di una situazione di fatto tra il soggetto e la cosa, per cui tutte le volte in cui si sia entrati legittimamente in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato (Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 2337 del 01/12/2005 Ud. (dep. 19/01/2006) Rv. 233140). Al concetto di invasione risulta estranea qualsiasi accezione di un ingresso attuato in maniera violenta, rilevando ai fini della fattispecie in esame, per costante giurisprudenza, il comportamento di colui che si introduce "arbitrariamente" e cioè, contro ius, in quanto privo del diritto d'accesso.

La conseguente "occupazione" deve ritenersi pertanto l'estrinsecazione materiale della condotta vietata, sebbene la giurisprudenza assolutamente dominante configuri il reato come eventualmente permanente, con ciò che ne consegue in termini di consumazione dello stesso ("Il delitto di invasione di edifici, di cui all'art. 633 cod. peri., ha natura permanente quando l'occupazione si protrae nel tempo, determinando un'immanente limitazione della facoltà di godimento spettante al titolare del bene, con la conseguenza che il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui cessa l'occupazione, con l'allontanamento dell'occupante dall'edificio. (Fattispecie in cui il "dies a quo" di decorrenza del termine di prescrizione è stato individuato nel momento in cui l'immobile veniva riconsegnato al legittimo proprietario)" (Cass. Sez. 2, n. 46692 del 02/10/2019 - dep. 18/11/2019, Rv. 27792901). "Nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 cod. pen. la nozione di "invasione" non si riferisce all'aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colai che si introduce "arbitrariamente", ossia "contra ius" in quanto privo del diritto d'accesso, cosicché la conseguente "occupazione" costituisce l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva invasione; nel caso in cui l'occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l'allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell'invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell'occupazione" (Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019 - dep. 08/07/2019, Rv. 27701901).

Nel caso di specie, a differenza di quanto sostenuto dal difensore in sede di requisitoria, è evidente che il Po.An. non fosse munito di alcun titolo legittimante la detenzione o il possesso dell'immobile, atteso che la contrattazione relativa alla locazione dello stesso si era fermata al solo stadio delle trattative - peraltro, con tutta probabilità, truffaldine - avendo l'imputato redatto una proposta contrattuale rivolta ai legittimi proprietari che non veniva tuttavia accettata da quest'ultimi. Ed invero, l'imputato attraverso un espediente fraudolento - ed in ciò emerge con nettezza l'arbitrarietà della sua invasione, nel senso prima descritto dalla giurisprudenza citata - consistito nel consegnare al mediatore immobiliare un assegno tratto da un contratto di conto corrente intestato ad altra persona, con firma diversa da quella depositata, a titolo di mera "cauzione" - riusciva a farsi consegnare le chiavi per un accesso momentaneo finalizzato alla valutazione delle misure dell'immobile, per poi appropriarsene in maniera definitiva.

Il Po.An., dunque, senza aver firmato alcun contratto di locazione e senza aver ricevuto il consenso neppure verbale del locatore, grazie ad un raggiro perpetrato nei confronti dell'agenzia, induceva in errore il Si. per occupare l'immobile sine titillo ed invito domino.

L'istruttoria dibattimentale, infatti, non ha dimostrato la precedente immissione in un possesso pacifico e tollerato del bene da parte del Po.An., secondo quanto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità ("Non integra il delitto di invasione di terreni o di edifici la condotta di chi continui a possedere un bene altrui (nella specie demaniale) per essere subentrato nel possesso di esso a un ascendente" Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 36733 del 23/09/2010 Cc. (dep. 14/10/2010) Rv. 248293; tra le altre, si veda, nell'ambito di ipotesi di subentro nel possesso di immobili assegnati a persone decedute legate da vincoli di parentela o affinità, Cass. Pen., Sez. 2, Sentenza n. 23756 del 04/06/2009 Ud. (dep. 08/06/2009) Rv. 244667; Cass. Pen., Sez. 2, Sentenza n. 43393 del 17/10/2003 Ud. (dep. 12/11/2003) Rv. 227653).

Né vi sono dubbi sull'elemento soggettivo del Po.An., che veniva invitato a lasciare l'immobile sia telefonicamente sia mediante visite personali da parte del marito della Ca. e dello stesso agente immobiliare Si.Gi., che più volte insisteva affinché l'occupante sgomberasse l'appartamento, senza alcun risultato.

La gravità del fatto, desumibile dalle modalità fraudolente adoperate dal Po.An. per assicurarsi le chiavi dell'immobile e dalla diuturna occupazione in uno le conseguenze della condotta, che producono un danno non trascurabile nei confronti dei proprietari dell'immobile, impediscono di ritenere il fatto non punibile per particolare tenuità.

Non sussistono, inoltre, i presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., in ragione delle modalità, truffaldine e smaliziate con cui l'imputato si è procurato il possesso dell'immobile, nonché del suo comportamento successivo al fatto, assolutamente non resipiscente. Valutati dunque i criteri fissati dall'art. 133 c.p., ovvero la gravità del fatto, desunta dalla durata dell'occupazione, le modalità della condotta, premeditate e truffaldine, l'intensità del dolo del Po.An., incensurato ma per nulla resipiscente, stimasi equo comminare la pena (calcolata secondo la cornice edittale attuale, ancorché più severa, in ragione della perdurante permanenza del reato) di anni uno di reclusione e 200 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

L'incensuratezza dell'imputato e l'applicazione di una pena severa e detentiva, di per sé dotata di efficacia persuasiva, inducono a ritenere concedibile il beneficio della sospensione condizionale della pena. Tuttavia, la tipologia del reato commesso e le modalità del fatto, in uno con la diuturna occupazione di un bene dotato di elevato valore come un immobile, impongono la necessità di subordinare l'effetto della pena sospesa al preventivo rilascio dell'immobile in favore dei legittimi titolari, da effettuarsi non oltre il trentesimo giorno dal passaggio in giudicato della presente sentenza ("In tema di invasione di terreni, la subordinazione della sospensione condizionale della pena al rilascio del terreno in favore della P.A. è provvedimento legittimo e conforme al dettato dell'art. 165 cod. pen., perché la restituzione della "res" assolve alla funzione di impedire la prosecuzione della situazione dannosa posta in essere dall'imputato, accertata in modo definitivo con la sentenza di condanna. Peraltro, l'occupazione abusiva del demanio impedisce l'uso dell'area da parte della collettività o l'utilizzazione secondo le finalità che la P.A. intende conseguire" (Sez. 2, n. 5070 del 31/01/2006 - dep. 09/02/2006, Fa., Rv. 23323301).

Per quanto concerne la costituzione di parte civile, è pur vero che il difensore di queste ultime non compariva in udienza e, dunque, non depositava le conclusioni scritte e la nota spese.

Tuttavia, ritiene questo Giudice che nel caso di specie non si verta nell'ambito applicativo dell'art. 82 c.p.p., in ragione del fatto che, dalla lettura dell'atto di costituzione, è possibile desumere egualmente il petitum risarcitorio, ancorché mirante ad una condanna meramente generica ("...ai fine di ottenere, una volta accertata la penale responsabilità dello stesso, il risarcimento di tutti i danni morali e materiali subiti e derivanti dalla commissione del reato"). Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "Non determina revoca implicita della costituzione l'assenza della parte civile all'udienza di discussione nel giudizio di primo grado, se le conclusioni siano state in precedenza formulate in forma scritta" (Sez. 4, Sentenza n. 3746 del 21/01/2020 Ud. (dep. 29/01/2020) Rv. 278285 - 02).

Ai sensi dell'art. 538 ss. c.p.p., a seguito dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, dunque, deve emettersi sentenza di condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, nei confronti delle costituite parti civili Ca.Bi. e Sg.Gi..

Non luogo a provvedere, invece, in ordine alle spese, non potendo questo Giudice liquidarle d'ufficio ("In tema di spese relative all'azione civile, il giudice di appello non può liquidare d'ufficio le spese processuali sopportate dalla parte civile che non sia comparsa in udienza e non abbia presentato le conclusioni in forma scritta e la nota spese di cui all'art. 153 disp. att. cod. proc. pen.. difettando il requisito della presentazione di una specifica domanda sul punto" (Sez. 2, Sentenza n. 16391 del 01/04/2021 Ud. (dep. 29/04/2021) Rv. 281122 - 01).

P.Q.M.
Letti gli artt. 533, 535 c.p.p.,

dichiara Po.An. colpevole del reato ascritto e per l'effetto lo condanna alla pena di anni uno di reclusione e 200 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 165 c.p.,

Concede il beneficio della sospensione condizionale della pena in favore dell'imputato Po.An., subordinandola al previo rilascio, da effettuarsi non oltre il trentesimo giorno dal passaggio in giudicato della presente sentenza, dell'immobile oggetto di occupazione in favore dei legittimi titolari.

Letto l'art. 538 c.p.p., condanna l'imputato Po.An. al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede a favore delle costituite parti civili Ca.Bi. e Sg.Gi..

Motivi contestuali.

Così deciso in Nola il 19 maggio 2022.

Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2022.

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