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Occupazione abusiva di alloggi pubblici: i limiti dello stato di necessità (Giudice Federico Somma)

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Tribunale Napoli sez. VI, 13/11/2014, (ud. 10/11/2014, dep. 13/11/2014), n.15419

L'occupazione sine titulo di un alloggio di edilizia popolare non è scriminata dallo stato di necessità qualora non sia dimostrata una situazione di assoluta ed inevitabile emergenza, non risolvibile attraverso i canali legali previsti per l'assegnazione degli alloggi pubblici. Il disagio abitativo, se non connotato da caratteri di urgenza indifferibile, non giustifica l'arbitrio individuale.

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La sentenza integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione diretta emesso il 14-6-2013, F.C. è stata tratta a giudizio per rispondere del reato riportato nella rubrica del presente provvedimento.

All'udienza del 19-5-2014, dopo la dichiarazione di contumacia dell'imputata, regolarmente citata e non comparsa, è stato disposto rinvio preliminare per la necessaria rinnovazione della notifica alla persona offesa dell'atto introduttivo. Alla successiva udienza del 06-10-2014 si è proceduto all'apertura del dibattimento e all'ammissione delle richieste istruttorie delle parti, con contestuale esame del teste di lista della pubblica accusa S.L.; all'esito, su richiesta del difensore e previa sospensione del corso della prescrizione (per un periodo di un mese e quattro giorni), è stato disposto rinvio per eventuale esame dell'imputata e discussione.

All'udienza del 10-11-2014, dopo la dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale e di utilizzabilità di tutti gli atti, le parti sono state invitate a formulare le rispettive conclusioni, in epigrafe riportate, ed il giudice si è ritirato in camera di consiglio, decidendo di seguito dando lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. Dalle risultanze in atti appare provata la responsabilità dell'imputata in ordine al reato ascrittole.

Il teste S.L., in servizio presso la Polizia Municipale di Napoli, ha riferito di essersi portato in data 29-6-2010 - a seguito di richiesta di modifica della residenza anagrafica promanante da tal Z.A., che aveva dichiarato di aver trasferito la propria residenza in Napoli alla via G. presso l'immobile indicato - per verificare se effettivamente la persona vi abitasse; all'atto dell'accertamento veniva trovata la nonna dello Z., F.C., che, richiesta di esibire un titolo di sorta che legittimasse la propria disponibilità dell'appartamento, di proprietà dell'I.A.C.P., non era in grado di esibire alcun documento legittimante la propria occupazione dell'immobile.

Dal certificato anagrafico dell'imputata risulta, peraltro, che la stessa, vedova di Z.N., risulta risiedere proprio presso l'immobile in questione.

Possono pertanto ritenersi configurabili nel caso di specie tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di reato in contestazione. Appare del tutto evidente che nel caso di specie l'occupazione è avvenuta sine titulo, protraendosi quindi nel tempo, attesa la natura permanente del reato in contestazione, almeno fino al momento dell'accertamento.

La condotta in oggetto non puo', inoltre, ritenersi scriminata per l'operare della causa di giustificazione dello stato di necessità, derivante dall'indisponibilità di altri luoghi da adibire ad abitazione da parte dell'imputata. La giurisprudenza ha infatti precisato che - alla luce dell'estensione del concetto di danno grave alla persona, nel quale rientrano anche situazioni che pongono in pericolo solo indirettamente l'integrità fisica in quanto attentano alla sfera dei beni primari collegati alla personalità e tra i quali deve essere ricompresa anche l'esigenza di un alloggio - è necessario, per ritenere configurata la citata scriminante, che venga svolta un'attenta e penetrante indagine giudiziaria, diretta a circoscrivere la sfera di azione della esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità e della inevitabilità del pericolo, tenuto conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate (Cass. pen., II, 19-3-2003, n. 24290). L'invocata scriminante, quindi, non opera in quelle situazioni di comune disagio abitativo che la normativa in materia di assegnazioni di alloggi pubblici tende, appunto, a tutelare e che potrebbero essere superate mediante altre possibilità prive di disvalore penale, quali appunto la richiesta d'inserimento negli elenchi dei soggetti cui assegnare un alloggio. Infatti, come osservato dai giudici di legittimità, "proprio l'intensa importanza sociale della materia puo' condurre e spesso conduce a situazioni conflittuali tra i singoli e gli enti preposti all'attuazione di tali finalità. Ma proprio questa funzione sociale comporta che il cardine di tutta la disciplina dell'edilizia popolare poggia sull'inderogabile principio che l'assegnazione degli alloggi deve avvenire secondo criteri prefissati dagli organismi pubblici e da questi verificati attraverso idonee procedure; nessuna rilevanza puo' avere l'arbitrio del singolo, pur bisognoso" (così Cass. pen., II, 25-9/09-10-2007, n. 37139).

Nel caso di specie, oltre ad un generico disagio desumibile dalla situazione constatata dagli operanti e dalla condizione di giovane madre di due figli molto piccoli, non è emersa la sussistenza di una situazione di assoluta e non procrastinabile emergenza tale da rendere inevitabile il ricorso alla occupazione dell'alloggio di proprietà pubblica.

Appare in ogni caso possibile ritenere il fatto di non particolare gravità, postulandosi così, anche in considerazione del comportamento collaborativo tenuto dalla stessa nel corso dell'accertamento nonché della sua corretta condotta processuale (concretatasi nel consenso alla diretta utilizzabilità degli atti procedimentali, con innegabile vantaggio in termini di economia processuale), il riconoscimento all'imputata delle circostanze attenuanti generiche nella massima possibile estensione. Tanto premesso, considerati tutti i criteri di cui all'art. 133 cod. pen. (ed in particolare quelli dianzi evidenziati), si ritiene equa la pena di euro cento di multa, determinata previa riduzione di un terzo rispetto alla pena base di euro centocinquanta di multa. Appaiono ricorrere, in mancanza di specifici elementi ostativi di ordine formale o sostanziale, i presupposti per la concessione alla stessa del beneficio della sospensione condizionale della pena, ostando invece al riconoscimento dell'ulteriore beneficio della non menzione della condanna prevalenti ragioni di pubblica conoscenza della condotta illecita posta in essere dall'imputata. Alla condanna segue per legge l'obbligo di pagare le spese processuali.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533-535 c.p.p., dichiara F.C. colpevole del reato a lei ascritto e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di euro cento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione.

Napoli, 10 novembre 2014

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