La massima
In tema di reati tributari, la natura fungibile del denaro non consente il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta delle somme depositate sul conto corrente bancario di una società dichiarata fallita, corrispondenti alle rimesse effettuate dal curatore fallimentare successivamente alla data di consumazione del reato da parte del legale rappresentante della stessa, in quanto esse, non derivando dal reato, non ne possono costituire il profitto. (Fattispecie relativa al reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate ex art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - Cassazione penale , sez. III , 29/09/2020 , n. 31516).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. III , 29/09/2020 , n. 31516
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata ordinanza, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 3, n. 17749 del 17 dicembre 2018, che aveva riconosciuto la legittimazione attiva del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi dell'art. 324 c.p.p., rigettava l'istanza di riesame presentata dai curatori fallimentari nell'interesse della (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione avverso il decreto emesso in data 15 febbraio 2018 dal G.i.p. del Tribunale di Nola, che aveva disposto, tra l'altro, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del saldo attivo dei rapporti di conto corrente e dei rapporti finanziari intestati alla predetta società fino alla concorrenza della somma di 1.081.554,62 Euro, quale indebito risparmio conseguito dalla società per avere il legale rappresentante della medesima, T.F., omesso il versamento, in relazione all'anno di imposta 2013, delle ritenute dovute quale sostituto d'imposta entro il termine previsto per la presentazione della relativa dichiarazione annuale.
2. Avverso l'indicata ordinanza, i curatori del fallimento della società (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione, per il tramite dei difensori di fiducia nonchè procuratori speciali, propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Assume la curatela ricorrente che il Tribunale cautelare, pur avendo correttamente sintetizzato i motivi dell'istanza di riesame sub 4) e 6) riguardanti, rispettivamente il fatto che il sequestro si riferisca a somme rese disponibili sul conto corrente solo successivamente al momento di consumazione del reato e che tali somme, pertanto, non rappresentino il profitto del reato avrebbe poi omesso di esaminare detti motivi, non essendo sufficiente valorizzare la natura fungibile del denaro per qualificare come profitto l'oggetto del sequestro, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (si indica, al proposito, Sez. 3, n. 22061 del 23/01/2019 - dep. 21/05/2019, Moroso, Rv. 275754).
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis e 322-ter c.p.. Lamenta la curatela ricorrente che il Tribunale avrebbe errato nell'interpretazione del concetto di profitto, il quale, nel contestato reato omissivo ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-bis, non si identifica per importi superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari e/o postali di cui il contribuente disponeva alla scadenza del termine per il pagamento, nè per somme di danaro acquisite successivamente alla consumazione del reato; tale conclusione non si pone in contrasto con i principi affermati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (sentenze n. 10561, Gubert e n. 31617, Lucci), che riguardano le diverse ipotesi in cui "le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute" della somma che costituisce il profitto del reato; nel caso in esame, invece, si sarebbe in presenza di un mero risparmio d'imposta che non è "accrescitivo".
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis e art. 322-ter c.p..
Ad avviso della curatela ricorrente, il Tribunale cautelare avrebbe errato nel ritenere che integrino il profitto del reato le somme di denaro frutto dell'attività di recupero credito da parte del curatore fallimentare dopo la consumazione del reato medesimo e depositate su un conto corrente intestato al fallimento.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, art. 322-ter c.p., art. 42 L. Fall., artt. 322,322-bis e 325 c.p.p.. Assume la ricorrente che, nel caso di specie, la disponibilità dei beni sarebbe in capo non alla società fallita, ma alla curatela, essendo il fallimento stato dichiarato prima del sequestro, come si desume dall'art. 42 L. Fall., con la conseguenza che il fallimento è da considerarsi "terzo" rispetto all'autore del reato. Pertanto, ove, come nella specie, sia intervenuta la sentenza di fallimento e, di conseguenza, la persona giuridica abbia perso la disponibilità dei beni in favore della curatela, il sequestro non è più ammissibile, anche considerando che si tratta di somme di denaro frutto dell'attività recuperatoria posta in essere dal curatore.
Evidenzia inoltre la ricorrente che sarebbe irrilevante la circostanza, valorizzata dal Tribunale, secondo cui si tratta di confisca obbligatoria, sia perchè non è il carattere obbligatorio della confisca che determina la pericolosità intrinseca della res, sia perchè il fallito non aveva più la disponibilità dei beni.
3. In data 23 settembre 2020, il curatore fallimentare e il difensore della parte ricorrente hanno depositato memoria, con cui insistono per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In primo luogo va rilevato che, nelle more, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, le quali, nel comporre un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il principio secondo cui il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale (Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019 - dep. 13/11/2019, Fallimento Di Mantova Petroli s.r.l. in liquidazione, Rv. 277257).
Alla curatela fallimentare, pertanto, deve riconoscersi, come già ritenuto dalla sentenza rescindente, la legittimazione ad impugnare, con ricorso per cassazione, l'ordinanza del Tribunale distrettuale che abbia rigettato l'istanza di riesame ex art. 322 c.p.p..
2. Ciò posto, il primo motivo è fondato, con assorbimento dei motivi residui.
3. La questione posta dal ricorrente è se sia possibile, nei confronti della società dichiarata fallita, il sequestro diretto su somme di denaro frutto dell'attività recuperatoria di crediti posta in essere dal curatore fallimentare, evidentemente dopo la commissione del reato, e depositate su in conto corrente intestato al fallimento.
4. Il Tribunale cautelare ha risposto affermativamente, sul presupposto, per un verso, che i crediti vantati dalla società fallita ineriscono all'attività economica da questa svolta e, quindi, rappresentato risorse finanziarie riconducibili al patrimonio economico della società illecitamente accresciuto in conseguenza del reato, e, per altro verso, che la società fallita perde il potere di gestione e di disposizione dei propri beni, ma non la loro titolarità.
5. Si tratta di un'argomentazione non persuasiva, per l'assorbente ragione che alle somme di denaro oggetto dell'intervenuto sequestro non può riconoscersi la natura di profitto del reato.
6. Premesso che l'addebito mosso al legale rappresentante della società, in tesi accusatoria, si sarebbe perfezionato in data 20 settembre 2013, è incontroverso che la misura abbia attinto somme presenti sul conto corrente intestato al fallimento e, più in particolare, la somma di Euro 1.080.548,59 non sussistente al momento di consumazione del reato, bensì ivi solo successivamente riversata dal curatore fallimentare, quale recupero crediti.
7. Ora, è esatto, come ricordato dal Tribunale cautelare, che questa Corte a Sezioni Unite ha affermato che ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. Un., n. 10561 del 30/01/2014, dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258647 nonchè Sez. Un., n. 31617 del 26/06/2015, dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264437); e ciò, implicitamente, proprio perchè la natura fungibile del bene, che, come sottolineato dalle Sezioni Unite Lucci, si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto, ed è tale da perdere - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica, rende superfluo accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito sia stata spesa, occultata o investita; "ciò che rileva", proseguono le Sezioni Unite, è che "le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo".
8. Ma, proprio in ragione di ciò, ed in senso esattamente corrispondente, seppure a contrario, al principio enunciato dalle Sezioni Unite, ove si abbia invece la prova che tali somme non possano proprio in alcun modo derivare dal reato (come appunto nel caso in cui le stesse, come nella specie, siano corrispondenti a rimesse effettuate dal curatore fallimentare successivamente alla scadenza del termine per il versamento delle ritenute), di talchè le stesse neppure possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (ovvero, in altri termini del "risparmio di imposta" nel quale la giurisprudenza ha costantemente identificato il profitto dei reati tributari), le stesse non sono sottoponibili a sequestro, difettando in esse la caratteristica di profitto, pur sempre necessaria per potere procedere, in base alle definizioni e ai principi di carattere generale, ad un sequestro, come quello di specie, in via diretta. E ciò, a maggior ragione ove le somme siano rinvenute, in connessione con la stessa ragione della loro corresponsione, in un conto corrente intestato non già alla società, bensì al fallimento.
9. In altri termini, il denaro versato successivamente alla data di consumazione del reato non può essere ritenuto "profitto" del reato, ma rappresenta un'unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, eventualmente aggredibile con un provvedimento ablativo se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente.
10. Si tratta di una conclusione in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo cui, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell'illecito (Sez. 3 n. 41104 del 12/07/2018, dep. 24/09/2018, Vincenzini, Rv. 274307; Sez. 3 n. 6348 del 04/10/2018, dep. 11/02/2019, Torelli, Rv. 274859).
11. Per i motivi indicati, l'ordinanza impugnata e il decreto di sequestro di sequestro preventivo devono essere annullati senza rinvio limitatamente all'importo eccedente la somma di Euro 1.006,03 Euro, disponendone la restituzione agli aventi diritto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e il decreto di sequestro preventivo limitatamente all'importo eccedente la somma di Euro 1.006,03 Euro, disponendone la restituzione agli aventi diritto.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p..
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020