RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Roma riformava la decisione del locale Tribunale, che aveva riconosciuto l'imputato colpevole del delitto di cui all'art. 646 c.p. per aver posto all'incasso un assegno bancario dell'importo di Euro 9.167,00, rilasciatogli da C.V. a garanzia del pagamento delle provvigioni maturate dal T., titolare dell'omonima agenzia immobiliare, in relazione all'acquisito di un'unità immobiliare in (OMISSIS), condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento del danno liquidato in via equitativa in favore della parte civile.
La Corte d'Appello, dopo aver ricostruito in fatto la vicenda, evidenziava che - all'atto della sottoscrizione della proposta d'acquisito dell'appartamento, con previsione della stipula del preliminare non oltre il (OMISSIS) - il C. aveva rilasciato tre assegni a garanzia delle provvigioni spettanti all'agente immobiliare con scadenza rispettivamente al (OMISSIS), (OMISSIS), da non porsi all'incasso prima delle date indicate e da restituire in ipotesi di inadempimento della parte venditrice. Il (OMISSIS), a fronte di sopravvenuti problemi inerenti il condono dell'immobile,il promissario acquirente chiedeva mediante telegramma la restituzione degli assegni e il 1 agosto successivo le parti convenivano con apposita scrittura privata che la riscossione degli stessi sarebbe dovuta avvenire dopo la stipula del preliminare, il cui originario termine veniva dilazionato. Il (OMISSIS) successivo l'agenzia emetteva fattura per l'intero importo delle provvigioni concordate e poneva all'incasso il primo dei tre titoli consegnati dal ricorrente. Secondo i giudici d'appello, nella specie, non risulta raggiunta la prova del dolo indispensabile ad integrare la fattispecie, ovvero della coscienza e volontà dell'imputato di appropriarsi dei titoli allo scopo di trarne una illegittima utilità , dal momento che il T. procedette all'incasso del primo assegno mentre erano in corso le trattative relative alla vendita immobiliare, nella pendenza del nuovo termine per la stipula del preliminare e alla data portata dal titolo, tenendo una condotta che gli era consentita, salvo la eventuale restituzione degli importi incassati in caso di inadempimento del venditore,con conseguente esclusione della rilevanza penale del fatto.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore della costituita parte civile C.V. a mezzo del difensore e procuratore speciale, Avv. Claudio Ferrazza, deducendo:
2.1 la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè la violazione degli artt. 125 e 546 c.p.p. per omessa valutazione delle prove acquisite e poste dalla sentenza di primo grado alla base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato.
La difesa lamenta che la Corte d'Appello, pur avendo dato atto che in data (OMISSIS) il C. intimava la restituzione degli assegni e il (OMISSIS) successivo le parti convenivano che l'incasso degli stessi sarebbe dovuto avvenire solo dopo la stipula del preliminare, ha contraddittoriamente asserito che - sulla scorta della precedente ed originaria scrittura del (OMISSIS) - il T. ha ritenuto di essere autorizzato all'incasso del primo degli assegni rilasciati a garanzia delle provvigioni, senza tener alcun conto dell'impegno assunto appena tre giorni prima. I giudici d'appello hanno, inoltre, fornito un'interpretazione manifestamente illogica anche della scrittura privata del (OMISSIS), posta a fondamento della pretesa buona fede dell'imputato, giacchè la stessa espressamente prevedeva che in caso di mancata stipula del preliminare "entro e non oltre il (OMISSIS)" l'agenzia si impegnava alla restituzione degli assegni consegnati dalla p.c. e non facoltizzava il detentore all'incasso,con eventuale ripetizione dell'indebito in caso di inadempimento del venditore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento. La sentenza impugnata è pervenuta all'assoluzione dell'imputato per difetto dell'elemento psicologico e alla conseguente (seppur implicita) revoca della statuizioni civili con un percorso motivazionale lacunoso, che non dà il dovuto conto delle ragioni che giustificano il ribaltamento della pronunzia del primo giudice.
3.1 Questa Corte ha recentemente ed autorevolmente ribadito che il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430). Il massimo consesso nomofilattico ha, infatti, confermato (nello specifico contesto della delimitazione degli obblighi di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva) un principio già ampiamente elaborato dalla giurisprudenza di legittimità che, in più occasioni, ha precisato che, allorchè il giudice di appello riformi la decisione di condanna di primo grado, pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione del contrario esito decisorio (Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, P.G. in proc. Hamdi Ridha, Rv. 257332; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, P.C. in proc. Fu, Rv. 261327; Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, P.G. in proc. D.L. n., Rv. 269523; Sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, P.C. in proc. Mangano e altro, Rv. 268948; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, P.C. in proc. C, Rv. 270149).
3.2 Nella specie, i giudici d'appello non hanno assolto l'onere di giustificare la propria decisione in maniera completa e logicamente persuasiva in quanto hanno operato una incongrua valutazione delle prove documentali in atti e, pur riconoscendo che nella vicenda processuale il pagamento degli assegni consegnati a garanzia delle provvigioni era stato costantemente subordinato alla stipula del preliminare, hanno ritenuto la buona fede dell'imputato che aveva posto all'incasso il primo titolo (e i successivi) prima del verificarsi della condizione espressamente convenuta tra le parti per ragioni nella sostanza ascrivibili ai venditori.
La giurisprudenza di legittimità ritiene, con orientamento che il Collegio condivide e fa proprio, che integra il delitto di cui all'art. 646 c.p. la condotta del prenditore che ponga all'incasso un assegno bancario ricevuto in garanzia, appropriandosi della somma riscossa, in violazione dell'accordo concluso con l'emittente (Sez. 2, n. 5643 del 15/01/2014, Antoniazzi, Rv. 258276; Sez. 6, n. 757 del 10/10/2006 - dep.2007, Pappalardo, Rv. 235597; Sez. 2, n. 1151 del 29/02/2000, Manibelli, Rv. 216303). Infatti, pacificamente, la disciplina sull'assegno di cui al R.D. n. 1736 del 1933, non esclude che nell'ambito dell'autonomia negoziale le parti di un rapporto giuridico possano utilizzare l'assegno bancario come strumento di garanzia per l'adempimento delle obbligazioni pattuite, prevedendo termini o condizioni per la sua circolazione ovvero conferendogli valore di mera promessa di pagamento, utilizzabile come prova del credito. La sottrazione al normale regime di circolazione dell'assegno come titolo di credito discendente dalla volontà negoziale delle parti imprime all'assegno un vincolo che anche quando - come nella specie - ha carattere del tutto temporaneo incide in senso inibitorio sulla funzione tipica, sicchè la violazione dello stesso comporta l'integrazione dell'illecito ascritto, ricorrendo il presupposto dell'illegittima appropriazione del danaro riscosso mediante l'incasso.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata ai soli effetti civili, con rinvio ex art. 622 c.p.p. al giudice civile competente per valore in caso d'appello, cui è demandato il regolamento delle spese processuali anche per l'odierna fase.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello. Spese al definitivo.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019