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Appropriazione indebita: condannato il promissario venditore che si impossessa del deposito cauzionale infruttifero

Appropriazione indebita

Cassazione penale sez. II, 16/11/2017, n.54945

Integra il delitto di appropriazione indebita la condotta del promissario venditore che, in esecuzione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, si impossessa dell'importo corrisposto a titolo di “deposito cauzionale infruttifero” e non come acconto sul prezzo o come caparra confirmatoria. (In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata con la quale i giudici di merito avevano configurato il reato in questione, valorizzando il fatto che il contratto preliminare prevedeva che l'importo versato all'alienante sarebbe stato imputato a titolo di corrispettivo della vendita solo in sede di rogito, per cui, fino a quel momento, il denaro non era entrato nel patrimonio

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la pronunzia in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 4/12/2012, che ha condannato la ricorrente per il reato di appropriazione indebita della somma di Euro 120.000, consegnatale dalla parte offesa, D.P.G., in esecuzione di un contratto preliminare di vendita di un appartamento, che l'imputata aveva poi venduto a terzi. 2. La Corte, ribadendo quanto argomentato dal Tribunale, ha rilevato che dal tenore letterale del contratto preliminare emergeva che la detta somma era stata consegnata dal D.P. alla R., nella veste di rappresentante legale della Rigel s.r.l., a titolo "di deposito cauzionale infruttifero", che solo in sede di rogito sarebbe stato imputato a corrispettivo della compravendita, e non a titolo di caparra o di acconto. La corte territoriale riteneva pertanto che la detta somma non fosse entrata nel patrimonio dell'accipiens e che la R., non restituendola, avesse dato luogo a quell'interversione del possesso che integra il reato contestato. 3. Ricorre per cassazione R.C., a mezzo del suo difensore deducendo con l'unico motivo di impugnazione: 1) vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), poichè la corte territoriale non avrebbe "fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto alla base del rigetto dei motivi di impugnazione" e ha confermato la sentenza, qualificando la somma corrisposta dalla persona offesa all'atto del preliminare quale deposito cauzionale, mentre si trattava, a giudizio della ricorrente, di una caparra confirmatoria. L'assunto difensivo troverebbe conferma nella circostanza che lo stesso promittente acquirente richiedeva, all'atto della risoluzione del preliminare, la restituzione della somma versata in misura doppia, come previsto dall'art. 1385 c.c.. Trattandosi di caparra confirmatoria, la detta somma, secondo consolidata giurisprudenza, entra a far parte del patrimonio dell'accipiens al momento della consegna e la sua omessa restituzione comporta un mero inadempimento civilistico e non integra il reato addebitato alla R.. La parte civile costituita D.P.G. ha depositato memoria il 16/10/2017, con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, sul rilievo che i giudici del merito hanno ampiamente esaminato e adeguatamente motivato la loro decisione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo di ricorso è manifestamente infondato poichè con articolate ed esaustive argomentazioni la corte territoriale, confermando quanto già ritenuto dal Tribunale, ha respinto l'assunto difensivo, sulla base del dato letterale contenuto nel contratto preliminare che qualificava espressamente la somma versata dal promittente acquirente all'imputata non come caparra confirmatoria ma come deposito cauzionale. Le censure del ricorrente in merito alla insufficiente e illogica motivazione della sentenza impugnata non appaiono condivisibili, poichè i giudici di merito hanno correttamente spiegato di avere privilegiato il tenore letterale del contratto preliminare, che le parti nella loro autonomia negoziale hanno consapevolmente utilizzato, qualificando le somme versate come deposito cauzionale e specificando ulteriormente che le stesse sarebbero state imputate al corrispettivo solo all'atto del rogito. La difesa dell'imputata pretenderebbe una diversa interpretazione sostanziale delle disposizioni contrattuali, che non possono essere oggetto di rivalutazione in questa sede, essendo esenti da incoerenze logico-giuridiche e perchè, come evidenziato dai giudici di merito, il dato letterale non ammette interpretazioni alternative. Anche recentemente questa sezione ha ribadito che "Il denaro può essere oggetto di interversione nel possesso, e conseguente appropriazione indebita solo quando sia consegnato dal legittimo proprietario, ad altri con specifica destinazione di scopo che venga poi violata attraverso l'utilizzo personale da parte dell'agente; solo ove il mandatario violi quindi il vincolo fiduciario che lo lega al mandante e destini le somme a scopi differenti da quelli predeterminati può integrarsi una condotta di appropriazione indebita. (V. Sez. 2, Sentenza n. 24857 del 2017) Nel caso in esame le parti hanno qualificato la somma versata dal promissario acquirente come deposito cauzionale, precisando che la stessa sarebbe stata imputata a corrispettivo della vendita solo al momento del rogito e i giudici di merito hanno concordemente valorizzato questo dato affermando che il denaro non era entrato nel patrimonio dell'accipiens. La circostanza evidenziata dal ricorrente che in una lettera inviata all'imputata per la risoluzione del contratto, la persona offesa avesse fatto riferimento alla caparra confirmatoria costituisce un comportamento di fatto che non può ex post incidere sulla qualificazione che le parti hanno dato in contratto. Non ravvisandosi all'evidenza alcun vizio di motivazione nella sentenza impugnata, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Si impone altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile costituita che ha partecipato a questo grado di giudizio, che appare congruo liquidare in Euro 3510,00 oltre spese, CPA e Iva. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile, D.P.G., liquidate in Euro 3510,00 oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, CPA ed Iva. Così deciso in Roma, il 16 novembre 2017. Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2017
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