RITENUTO IN FATTO
B.C. e BA.Fr., a mezzo del difensore di fiducia, ricorrono avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 24/02/2023 che, in riforma della sentenza del Tribunale di Alessandria, ha dichiarato gli imputati, in accoglimento dell'appello del Pubblico ministero e della parte civile, colpevoli del reato di concorso in appropriazione indebita aggravata (art. 61 c.p., n. 11) loro ascritto al capo A), condannandoli alla pena di giustizia - condizionalmente sospesa al pagamento della provvisionale - nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile S.G..
Chiedono, altresì, la sospensione dell'efficacia esecutiva della condanna al pagamento della provvisionale ex art. 612 c.p.p..
1. La difesa dei ricorrenti articola cinque motivi che, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto P.G. Giulio Romano, con requisitoria del 29/10/2023, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
3. Con memoria e nota di conclusioni del 31/10/2023, il difensore e procuratore speciale della parte civile S.G., quale legale rappresentante della AssiScarsi sas, ha concluso per il rigetto dei ricorsi, con condanna degli imputati alle spese di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno rigettati essendo i motivi infondati e/o manifestamente infondati.
1. "Violazione e falsa applicazione dell'art. 603 c.p.p., comma 3-bis in relazione all'art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione EDU, nonché difetto di motivazione".
La censura riguarda la mancata rinnovazione della prova dichiarativa avendo la Corte di merito, pervenuta ad un overruling in presenza di una sentenza di non doversi procedere per tardività della querela, valorizzato, ai fini dell'affermazione di responsabilità, quanto dichiarato dalle persone offese, disattendendo la versione difensiva resa dagli imputati nel corso del giudizio di primo grado.
1. Il motivo non è fondato.
Nessuna violazione dell'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, è dato rinvenirsi nella sentenza impugnata, in quanto, nel caso in esame, il ribaltamento della sentenza di non doversi procedere non presuppone affatto una valutazione di prove dichiarative decisive diversa da quella operata dal Tribunale, ma consegue all'errore di diritto in cui è incorso il primo giudice nel ritenere tardiva la querela presentata dalla persona offesa, nonostante alla data di consumazione del reato l'appropriazione indebita aggravata dall'abuso di relazione d'ufficio ex artt. 646,61 c.p., n. 11 fosse procedibile d'ufficio.
La valutazione svolta dal primo giudice all'esito del dibattimento - per come evidenziato dalla Corte d'appello - attiene, invero, unicamente ai profili temporali di presentazione della querela sulla scorta dell'imputazione formulata. La sentenza appellata si e', infatti, sostanziata in un breve e parziale riassunto di alcune delle testimonianze assunte nel corso del giudizio di primo grado, rispetto alle quali il Tribunale non ha espresso alcun giudizio di attendibilità o inattendibilità.
Del resto, il difetto della condizione di procedibilità, impedendo la valida costituzione del rapporto processuale, inibisce ogni valutazione sul merito del fatto imputato e preclude, quindi, la pronuncia di proscioglimento, secondo la regola della prevalenza, per evidenza, della causa di non punibilità nel merito (Sez. 3, n. 43240 del 06/07/2016, 0., Rv. 267937 - 01).
Essendo, dunque, la pronuncia liberatoria dell'imputato stata incentrata sul difetto della condizione di procedibilità, ritenuta esistente ma tardiva, sarebbe un fuor d'opera richiamare orientamenti e principi, anche convenzionali, formatisi in ordine a situazioni processuali che fanno riferimento al caso in cui gli imputati non siano stati sentiti (e nel corso del giudizio di primo grado entrambi gli imputati risultano avere reso esame) ovvero vi siano state valutazioni, anche di carattere incidentale, sulle fonti di prova su cui il giudice di appello ha fondato la sua differente decisione.
Nel caso in esame, peraltro, nessun diretto apprezzamento vi è stato da parte del giudice di appello delle argomentazioni di merito contenute negli atti di impugnazione sia del pubblico ministero che della parte civile, di tal ché risulterebbe menomato il diritto dell'imputato di confutare le relative argomentazioni attraverso il contraddittorio sulle prove dichiarative.
Tale assunto esclude, quindi, che operi il principio, pur richiamato dal ricorrente, affermato da Sez. 5, n. 26507 del 12/04/2021, Ambrosin, Rv. Rv. 281654 - 01, a mente del quale il giudice di appello che riformi la sentenza di primo grado di non doversi procedere per difetto di una condizione di procedibilità, ritenendo configurabili le circostanze aggravanti determinanti la procedibilità d'ufficio sulla base di un diverso apprezzamento delle prove dichiarative, è tenuto a disporne la rinnovazione.
Per come correttamente osservato dalla sentenza impugnata, tale decisione è stata resa in un caso in cui il tribunale aveva escluso l'aggravante dei futili motivi in relazione al reato di lesioni personali, valorizzando le dichiarazioni di due testimoni, mentre la Corte d'appello aveva ravvisato tale circostanza dando rilievo alle dichiarazioni di una terza teste, senza confrontarsi con le ragioni del primo giudice per l'esclusione dell'aggravante rinvenienti anche dalle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dei primi due testi, divergenti da quelle considerate nella sentenza impugnata. Tale difforme valutazione avrebbe dovuto determinare la rinnovazione della prova dichiarativa per le ragioni esposte.
Il caso di specie, come sopra evidenziato, è del tutto diverso, in quanto non si è al cospetto dell'esigenza dell'imputato di confutare le argomentazioni contenute nell'atto di impugnazione del pubblico ministero che aveva portato al riconoscimento, attraverso una critica di merito alle fonti di prova dichiarative, della sussistenza della circostanza; il tribunale non ha fatto escluso la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11 sulla base delle dichiarazioni testimoniali versate in atti; anzi ha dato per scontato - sulla base del capo di imputazione e in continenza con la valutazione di rito che era chiamato a compiere - la ricorrenza di tale aggravante, ma ha ritenuto l'azione penale improcedibile per effetto delle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. n. 36 del 2018, art. 10 considerando tardiva la querela della persona offesa.
Di conseguenza priva di decisività è l'obiezione difensiva secondo cui all'affermazione della circostanza aggravante si sarebbe comunque pervenuti contrariamente al dichiarato degli imputati, i quali nel corso del loro esame ne avrebbero concordemente escluso la sussistenza, trattandosi di profilo di merito che, in ragione della tipologia della sentenza di rito emessa dal tribunale, non ha formato oggetto di alcun apprezzamento.
Non si versa, pertanto, in un'ipotesi in cui ai fini del ribaltamento risulti rilevante la configurazione di un aggravante, per la sussistenza della quale si presenti significativa una prova dichiarativa: ipotesi per la quale la citata sentenza ha ritenuto necessario la rinnovazione in appello della prova dichiarativa oggetto di difforme valutazione da parte dei giudici di primo e secondo grado.
2. "Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 36 del 2018, art. 12, comma 2, disciplina transitoria".
Si sostiene che la tardività della querela presentata dalla persona offesa allorché era vigente una disciplina che non la richiedeva, essendo il reato procedibile ex officio, non valga a sanare il difetto di procedibilità allorché il reato successivamente diventi procedibile a querela, occorrendo al riguardo una nuova manifestazione della volontà punitiva, la cui tempestività va valutata al momento dell'entrata in vigore del nuovo regime normativo.
2. Il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte di legittimità affermato che in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, la disciplina transitoria di cui all'art. 12, comma 2 medesimo decreto, che, in caso di procedimento pendente, prevede l'avviso alla persona offesa per l'eventuale esercizio del diritto di querela, trova applicazione anche in relazione alla persona offesa che in precedenza abbia manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., atteso che la valutazione in ordine alla condizione di procedibilità è ancorata al momento dell'entrata in vigore del nuovo regime normativo, a nulla rilevando eventuali irregolarità della querela afferenti ad un momento procedimentale anteriore, in cui la querela stessa non era richiesta ai fini della procedibilità (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552 01; Sez. 2, n. 16760 del 19/01/2023, Zilli, Rv. 284526 - 01; Sez. 2, n. 25341 del 13/05/2021, Rv. 281465 - 01; conf. Sez. 2, n. 11970 del 2020 e Sez. 2, n. 13775 del 2019; Sez. U, n. 5540 del 1982, Rv. 154076-01, e Sez. 4, n. 1141 del 1985, Rv. 167675-01).
E tanto a prescindere dall'ulteriore rilievo che, nel caso in esame, la persona offesa risulta essersi costituita parte civile, così rinnovando, in termini di attualità e di persistenza, la volontà di punizione (Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Cosenza, Rv. 220259; Sez. 2, n. 19077 del 03/05/2011, Maglia, Rv. 250318; Sez. 5, n. 15691 del 06/12/2013, dep. 2014, Anzalone, Rv. 260557; Sez. 5, n. 21359 del 16/10/2015, dep. 2016, Giammatteo, Rv. 267138; Sez. 5, n. 29205 del 16/02/2016, Rahul Jetrenda, Rv. 267619; Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Rv. 273552 - 01).
3. Violazione e falsa applicazione dell'art. 646 c.p. quanto all'importo di Euro 24.722,15, oggetto di ricognizione di debito dell'imputato B.C. che la Corte di merito aveva ritenuto "dirimente dimostrazione della fondatezza dell'accusa".
Si era erroneamente ricavato dalla ricognizione di debito effettuata dall'imputato in relazione alle poste di dare-avere con l'agenzia, un elemento confermativo della responsabilità financo ritenuto una confessione stragiudiziale, non avvedendosi, invece, che il documento, redatto prima della presentazione della querela, non era affatto dimostrativo di alcuna volontà di interversione del possesso (diverso sarebbe stato se tale ricognizione fosse avvenuta successivamente alla proposizione della querela).
3. Il motivo è inammissibile poiché involgente profili di merito. L'elemento psicologico del reato è stato tratto dalle modalità della condotta e dalla ricostruzione del rapporto che legava gli imputati alla persona offesa, essendosi al riguardo evidenziato che gli imputati non avevano alcun titolo per trattenere o utilizzare le somme ricevute a titolo di pagamento dei premi assicurativi, dalla cui disponibilità di fatto traevano illegittima utilità. Si tratta di una conclusione conforme agli orientamenti della Corte di legittimità a mente del quale l'elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità (Sez. 2, n. 27023 del 27/03/2012, Schembri, Rv. 253411 - 01).
4. Violazione e falsa applicazione dell'art. 539 c.p..
La censura attiene alla corretta determinazione del quantum che la Corte di merito aveva stabilito a titolo di provvisionale, la cui determinazione era superiore al danno complessivo patito dalla persona offesa a termini del capo di imputazione e per come emerso nel processo.
4. Il motivo è inammissibile, avendo la Corte di legittimità più volte affermato che il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex multis, v. Sez. 2, n. 49016 del 2014, Patricola, Rv. 261054 - 01; Sez. 2, n. 44859 del 2019, Tuccio, Rv. 277773 -02).
Peraltro, per come rilevato dal P.G. nella requisitoria, la Corte di merito a pag. 17 dà compiutamente atto dei profili di danno sottesi alla determinazione del quantum provvisoriamente concesso, la cui misura risulta pertanto scevra dai vizi di eccessività dedotti dai ricorrenti.
5. Con il quinto motivo chiede la sospensione dell'efficacia esecutiva della condanna al pagamento della provvisionale in ragione della misura della provvisionale, da ritenersi superiore al danno patito dalla persona offesa e delle precarie condizioni economiche degli imputati.
5. L'infondatezza e/o l'inammissibilità dei motivi dedotti, in punto di condanna generica e determinazione del quantum della provvisionale concesso, comportano, per l'effetto, il rigetto dell'istanza cautelare proposta dai ricorrenti ai sensi dell'art. 612 c.p.p..
6. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati, condannandosi i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile costituita, liquidate come in dispositivo, tenendo conto dell'attività defensionale svolta con la memoria prodotta e della nota spese presentata.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro duemilacinquecento/00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2023