RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Milano, in esito a giudizio abbreviato, confermava la sentenza del Tribunale di Milano del 16 ottobre 2012, che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, in relazione al reato di appropriazione indebita della somma di Euro 77.000 circa, della quale aveva il possesso in qualità di amministratore di un condominio.
2. Ricorre per cassazione l'imputato, deducendo:
1) nullità della sentenza per avere fatto riferimento, nel dispositivo, ad una sentenza di primo grado diversa, quanto alla data, da quella emessa nel presente procedimento;
2) violazione di legge per non essere state effettuate le procedure previste dal nuovo regime sulla perseguibilità a querela del reato di appropriazione indebita di cui al D.Lgs. 24 aprile 2018, n. 36, art. 12; l'omissione avrebbe prodotto l'estinzione del reato per difetto di querela;
3) violazione di legge in ordine al giudizio di responsabilità, essendo mancata la prova di una volontaria interversione del possesso posta in essere dall'imputato, il quale avrebbe agito in presenza della causa di giustificazione di cui all'art. 50 c.p.;
4) violazione di legge per non avere la Corte rilevato l'intervenuta prescrizione di alcune condotte imputate al ricorrente, siccome commesse nel 2010, essendo stata applicata una regola errata in ordine al calcolo del termine di prescrizione.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Quanto al primo motivo, è vero che la Corte di Appello, nel dispositivo della sentenza impugnata, ha indicato la sentenza di primo grado come emessa in data 16/10/2012 anzichè nella data corretta del 16/12/2015.
Tuttavia, i riferimenti corretti alla persona dell'imputato, al fatto che egli fosse appellante, al Tribunale di Milano quale giudice di primo grado, alla corretta indicazione della data della sentenza di primo grado sia nella intestazione della sentenza di appello che nei riferimenti motivazionali, consentono di ritenere che si sia trattato di un mero errore materiale facilmente riconoscibile da chiunque e che non ha potuto ingenerare alcun dubbio sull'imputato in ordine alla direzione delle statuizioni adottate dalla Corte di merito.
Si ricordi in proposito che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, qualora la divergenza dipenda da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo, è legittimo il ricorso alla motivazione per individuare l'errore medesimo ed eliminarne i relativi effetti (Sez. 6, Sentenza n. 24157 del 01/03/2018, Cipriano, Rv. 273269 - 01 Massime precedenti Conformi: N. 19462 del 2013 Rv. 255478 - 01, N. 35516 del 2013 Rv. 257203 - 01, N. 3186 del 2014 Rv. 258533 - 01, N. 44867 del 2015 Rv. 265873 - 01, N. 1397 del 2016 Rv. 266495 - 01, N. 13904 del 2016 Rv. 266660 - 01, N. 26172 del 2016 Rv. 267153 - 01).
Tale errore materiale, oltre a non comportare l'annullamento della sentenza impugnata, è emendabile in questa sede, ex art. 619 c.p.p..
2. In ordine al secondo motivo, la sentenza impugnata fa esplicito riferimento all'esistenza della querela da parte del condominio costituitosi quale parte civile, sicchè non vi era alcuna necessità di attuare le modalità di informazione della persona offesa previste dal Decreto n. 36 del 2018, art. 12, comma 2.
3. Le censure articolate con il terzo motivo di ricorso - presupponenti accertamenti di merito - non erano state oggetto dell'atto di appello, sicchè non sono ammissibili e valutabili in questa sede ex art. 606 c.p.p., comma 3.
4. Anche l'esistenza di eventuali condotte già prescritte al momento della emissione della sentenza di secondo grado, non era stata censura dedotta con i motivi di appello. Essa non può essere valutata in questa sede tenuto conto che occorrerebbe accertare l'esistenza di condotte antecedenti alla indicazione del tempus commissi delitti nel capo di imputazione, che lo individua "in data anteriore e prossima al 28.11.2012".
Secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione è antecedente rispetto a quella contestata, ha l'onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato è stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti nè smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo (Sez.4, n. 47744 del 10/09/2015, Acacia Scarpetti).
Nel caso in esame, proprio gli elementi indicati dal ricorrente, siccome in ipotesi idonei a far retrodatare il termine di prescrizione, sono stati giudicati di incerta interpretazione da parte della Corte di Appello (cfr. fg. 6 della sentenza impugnata).
Fermo restando che vale la regola giuridica secondo cui, il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioè nel momento in cui l'agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. (Nella specie, la Corte ha ritenuto consumato il delitto di appropriazione indebita delle somme relative al condominio, introitate a seguito di rendiconti, da parte di colui che ne era stato amministratore, all'atto della cessazione della carica, momento in cui, in mancanza di restituzione dell'importo delle somme ricevute nel corso della gestione, si verifica con certezza l'interversione del possesso) (Sez. 2, Sentenza n. 40870 del 20/06/2017, Narducci, Rv. 271199).
Nel caso in esame, la cessazione della carica era intervenuta proprio nell'anno indicato nel capo di imputazione (2012).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella udienza pubblica, il 18 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2020