RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 07/11/2016 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Milano che, all'esito del giudizio abbreviato, aveva condannato D.M.R., F.L. e T.M. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di causazione per effetto di operazioni dolose del fallimento della società (OMISSIS) s.r.l., assolvendoli dal reato di bancarotta fraudolenta documentale.
La contestazione, in particolare, riguardava gli amministratori unici della (OMISSIS) s.r.l., succedutisi dal 2000 al fallimento, dichiarato con sentenza del 19/11/2010, ed individuati in F.L. (dal 24/01/2000 al 25/06/2002), D.M.R.F. (dal 24/01/2000 al 10/03/2005) e T.M. (dal 10/03/2005 alla data del fallimento), ai quali veniva ascritta la responsabilità per: la distrazione dell'attivo sociale, mediante cessione del software gestionale "Dedalo" e dei connessi diritti, per un valore di Euro 600.000,00, ad una società appositamente costituita, denominata (OMISSIS) s.r.l., amministrata da D.M. e F., e fallita a sua volta il 03/12/2010, senza mai richiederne e incassare il corrispettivo, e senza negoziare alcuna forma di garanzia (capo 1); il cagionamento del fallimento della società per effetto di operazioni dolose, consistite nel sistematico omesso pagamento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, con accumulo di interessi e sanzioni (capo 3).
Gli imputati venivano assolti dl reato di bancarotta fraudolenta documentale, contestata per aver tenuto le scritture contabili in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, avendo occultato la distrazione dell'intero patrimonio sociale, ed omesso di eseguire i versamenti tributari e contributivi dal 2000 al 2007, per un ammontare di Euro 1.305.216,12, contabilizzandoli soltanto nel settembre 2009 (capo 2).
2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di D.M.R., Avv. Federico Cecconi, deducendo i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 223, comma 2, n. 2, L. Fall.: lamenta che l'omesso pagamento dei tributi sia stato erroneamente ricondotto alla nozione di operazioni dolose, sebbene l'omesso versamento dei tributi, lungi dal determinare un depauperamento del patrimonio sociale, ha in concreto determinato il mancato impoverimento della società; la condotta omissiva non può aver determinato un depauperamento del patrimonio sociale, in assenza di condotte attive ulteriori, quali la distribuzione di utili; al più la mancata o irregolare contabilizzazione del debito erariale avrebbe potuto integrare la bancarotta fraudolenta documentale, dalla quale l'imputato è stato assolto; comunque, non ricorrerebbe la mancanza di giustificazione dell'operazione, in quanto, come ammesso dalla stessa Corte territoriale, con l'omesso versamento fiscale e contributivo si intendeva finanziare l'attività della società, e l'omissione era legata soltanto ad una situazione di illiquidità.
Mancherebbe, infine, il nesso causale tra l'operazione dolosa ed il fallimento, in quanto la cessione del ramo d'azienda ancora produttivo, integrante la distrazione contestata, avrebbe interrotto il nesso causale; la situazione di insolvenza sussistente nel momento in cui veniva ceduto il software dipendeva anche dall'accumularsi del debito erariale, ma non si può escludere che tale situazione non fosse reversibile, e che il fallimento fosse conseguenza esclusiva della condotta distrattiva.
2.2. Violazione di legge in relazione all'art. 223, comma 2, n. 2 L. Fall., e vizio di motivazione in ordine all'affermazione dell'elemento soggettivo: deduce che l'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta impropria si compone di una ascrivibilità psichica della condotta in senso naturalistico e di una riconducibilità dell'evento fallimento al profilo psicologico; già il primo profilo mancherebbe nel caso di specie, in quanto l'imputato non aveva la rappresentazione e la consapevolezza del contrasto della condotta con gli interessi della società, poichè, come ammesso dalla stessa sentenza impugnata, gli autori intendevano finanziare l'attività della società; anche il secondo profilo, della prevedibilità dell'evento fallimento, sarebbe stato erroneamente affermato, dalla Corte territoriale, sulla base di una valutazione in astratto, e non già in concreto, come richiesto dalle Sezioni Unite a proposito dell'art. 586 cod. pen..
2.3. Violazione di legge in relazione all'art. 223, comma 1, L. Fall. e vizio di motivazione in ordine all'affermazione della partecipazione dell'imputato al reato: sebbene con l'atto di appello non venisse contestata la natura distrattiva della cessione del software, nondimeno si contestava l'ascrivibilità della condotta al D.M., poichè la cessione risaliva al 2007, allorquando questi non era più amministratore della fallita; illogica sarebbe la motivazione della sentenza impugnata, che ha affermato la partecipazione dell'imputato sulla base della sua qualità di amministratore della società acquirente, come un concorso dell'extraneus nel reato proprio; non vi è prova che egli abbia partecipato alla decisione di cedere il software, non essendo egli nè amministratore di diritto, nè di fatto della società cedente poi fallita.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche: lamenta che i fatti contestati all'imputato concernono un periodo concluso il 10 marzo 2005, prima della riforma del 2008 in tema di circostanze attenuanti generiche.
3. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione, con distinti, ma identici, atti, il difensore di F.L., Avv. Paolo Gianotti, ed il difensore di T.M., Avv. Paolo Grasso, deducendo i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla bancarotta per distrazione: l'affermazione di responsabilità concerneva una distrazione del valore di 600 mila Euro, sebbene fosse stato predisposto un piano di rientro del corrispettivo, parzialmente rispettato; infatti, lo stesso curatore ha accertato che i crediti vantati dalla (OMISSIS) verso clienti ammontavano a 432.000 Euro, e la differenza tra il prezzo pattuito ed il credito residuo coincide proprio con la somma (Euro 167.000) pagata ed incassata dalla fallita; i pagamenti erano cessati solo con il sopraggiungere delle difficoltà economiche della fallita, e non è esatto che il dato era solo documentale, essendo stati i pagamenti riscontrati sia dal curatore che dal CT Franco; inoltre, la newco si era accollata diversi debiti della (OMISSIS), per un valore di 28 mila Euro, con condotta incompatibile rispetto alla volontà di svuotare la società. La sentenza impugnata avrebbe modificato dunque la contestazione.
3.2. Violazione di legge in relazione alla bancarotta per distrazione e vizio di motivazione in relazione alle doglianze concernenti l'insussistenza del dolo: lamenta che la sentenza non abbia motivato in ordine alle circostanze che avrebbero escluso il dolo, come l'accollo dei debiti da parte della newco, i finanziamenti versati dal F. tra il 2003 ed il 2006, con atteggiamenti antitetici rispetto alla volontà di provocare il fallimento della società.
Con riferimento alla posizione di T., viene dedotto che egli non fosse socio nè della fallita nè della newco, e non poteva avere alcun interesse rispetto all'operazione di compravendita del software; aveva posto in essere l'operazione stipulando, fin dall'inizio, una dilazione nei pagamenti, onorati fino alla crisi aziendale della cessionaria.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di bancarotta impropria: a fronte del risparmio tributario, non è possibile ipotizzare una manomissione della ricchezza sociale, non essendovi stata una distribuzione dell'utile senza prededuzione dell'onere tributario; gli autori intendevano finanziare la società, i soldi erano rimasti in pancia alla società, e la violazione dell'obbligo di gestione non può essere qualificato come depauperamento.
3.4, Violazione di legge in relazione all'applicazione del cumulo giuridico ai sensi dell'art. 219 L. Fall., e omessa motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.
3.5. Vizio di motivazione per omessa pronuncia sulla richiesta di esclusione della parte civile, in quanto l'Avv. Previati si era costituito, per conto del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in violazione dell'art. 122 cod. proc. pen., non avendo i poteri per costituirsi, essendo la procura speciale autenticata dal difensore non presente all'udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di D.M.R. è infondato.
1.1. Con il primo motivo, ripreso in termini analoghi dal terzo motivo proposto da F.L. e T.M., i ricorrenti sostengono che la mera condotta omissiva, costituita dall'omesso versamento dei tributi, non integri la fattispecie di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, L. Fall., mancando una condotta attiva ulteriore, quale la distribuzione di utili, e non ricorrendo una diminuzione dell'attivo, in quanto le relative somme erano rimaste nella disponibilità della società, e con l'omesso versamento si intendeva finanziare l'attività della società, non certo determinarne il fallimento.
La doglianza concernente la natura di operazione dolosa dell'omesso versamento di tributi e degli oneri contributivi dal 2000 al 2007 è infondata.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, L. Fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684, che, in applicazione del principio, ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l'esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società).
Pertanto, le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, L. Fall. possono consistere nel mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità (Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046; in senso analogo, Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492, che ha qualificato come operazione dolosa il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità); integra il reato di fallimento cagionato per effetto di operazioni dolose la condotta dell'amministratore che ometta il versamento delle imposte dovute, gravando così la società da ingenti debiti nei confronti dell'erario, e successivamente proceda alla distribuzione dei predetti utili a favore dei soci, in quanto allorchè l'assegnazione dell'utile avvenga senza la pre-deduzione dell'onere tributario e della conseguente penalità tributaria - che sorge al momento dell'erogazione della ricchezza - si concreta una manomissione della ricchezza sociale, trattandosi di distribuzione che eccede quanto di pertinenza dei soci (Sez. 5, n. 17355 del 12/03/2015, Casale, Rv. 264080).
Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, la sentenza impugnata ha compiutamente ricostruito le vicende finanziarie della (OMISSIS) s.r.l., evidenziando che l'inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali era stato il frutto di una consapevole scelta gestionale degli amministratori attuata fin dall'inizio dell'attività societaria; infatti, l'omissione, iniziata sin dal 2000, fu protratta fino al fallimento, determinando un'esposizione di oltre un milione di Euro, connotandosi, dunque, come estesa e sistematica.
1.1.1. Infondata, per quanto suggestiva, appare dunque la doglianza secondo cui la condotta di inadempimento delle obbligazioni fiscali e contributive non può integrare la nozione di "operazione" dolosa, in ragione della natura omissiva, e che la mancanza di distribuzioni di utili non abbia determinato un depauperamento del patrimonio sociale.
Quanto ai confini della nozione di "operazioni" dolose, va rilevato che essa va individuata in qualsiasi atto o complesso di atti, implicanti una disposizione patrimoniale, compiuti da persone preposte all'amministrazione della società, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla loro qualità, che rechi pregiudizio ai legittimi interessi dell'ente, dei soci, dei creditori e dei terzi interessati; in altri termini, le "operazioni dolose", in quanto collocate nell'area di disvalore (ma non di tipicità) della bancarotta fraudolenta patrimoniale, suppongono sempre una indebita diminuzione dell'asse attivo, ossia un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa.
In altri termini, la fattispecie di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, L. Fall., postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti s.p.a., Rv. 247316).
Da tali premesse discende che la pluralità di condotte è sussumibile nella fattispecie contestata allorquando si traduca in un abuso gestionale o in una infedeltà alla quale si accompagni l'indebita diminuzione dell'asse attivo e la prevedibilità del dissesto.
Nella specie, correttamente la Corte territoriale ha colto nel protratto inadempimento delle obbligazioni fiscali e contributive un comportamento che, andando ad aumentare ingiustificatamente l'esposizione della società nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali, anche in ragione dell'inevitabile carico sanzionatorio, rendeva prevedibile, proprio per l'ampiezza del fenomeno e per la sua sistematicità, il conseguente dissesto.
Rispetto a tale puntuale ricostruzione del quadro normativo, non colgono nel segno le critiche relative al carattere omissivo della condotta, giacchè tale profilo strutturale non impedisce la configurabilità del reato (v., ad es., Sez. 5, n. 3506 del 23/02/1995, Barducco, Rv. 201057).
In tal senso, è stato affermato che le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, L. Fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa (Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva qualificato come operazione dolosa il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità).
Va, al riguardo, osservato che l'"operazione" è termine semanticamente più ampio dell' "azione", intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l'insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicchè può ben essere integrata dalla violazione - deliberata, sistematica e protratta nel tempo - dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell'esposizione debitoria della società.
1.2. Altrettanto infondata appare la doglianza - proposta da D.M. con il secondo motivo, e da T. e F. con il terzo motivo - secondo cui la mera omissione del versamento di contributi e imposte non ha determinato un depauperamento del patrimonio sociale, costituendo anzi un vantaggio patrimoniale per la società, corrispondente al risparmio di costi, con la conseguente mancanza del necessario elemento soggettivo.
Contrariamente a quanto avviene nella bancarotta fraudolenta patrimoniale, in cui la condotta distrattiva (o dissipativa) deve consistere in una diminuzione del patrimonio sociale, a prescindere dalla circostanza che abbia determinato il fallimento, che è sufficiente intervenga, nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose, che non necessariamente costituiscono distrazione o dissipazione di attività, devono porsi in nesso eziologico con il fallimento; ciò che rileva, al fini della bancarotta fraudolenta impropria, non è, dunque, l'immediato depauperamento della società, bensì la creazione, o l'aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società (in tal senso, Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262188, secondo cui sussiste il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dall'art. 223, comma secondo n. 2, L. Fall. anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell'attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l'impresa).
Il sistematico inadempimento dei debiti erariali e/o contributivi, se, da un lato, arreca sicuri vantaggi all'impresa sotto forma di risparmio dei relativi costi, dall'altro, aumenta ingiustificatamente l'esposizione nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali, così rendendo "prevedibile il conseguente dissesto della società" (Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046). Sicchè certamente non può escludere la configurabilità della fattispecie incriminatrice in esame l'autofinanziamento operato attraverso il mancato pagamento delle imposte e delle contribuzioni, posto che tale espressione descrive gli effetti di breve periodo - e, in ultima analisi, la ragione pratica del comportamento -, senza per questo menomare il fondamento degli effetti di medio periodo, in ragione della crescita esponenziale del debito (così in motivazione la citata Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684).
In altri termini, nella sintassi penalistica, il tentativo di autofinanziare l'attività di impresa mediante il risparmio dei costi connessi all'assolvimento degli obblighi tributari e contributivi può integrare il movente dell'azione, la causa psichica della condotta umana, lo stimolo che ha indotto l'autore ad agire, facendo scattare la volontà; ma, al riguardo, è pacifico che il movente dell'azione, pur potendo contribuire all'accertamento del dolo, costituendo una potenziale circostanza inferenziale, non coincide con la coscienza e volontà del fatto, della quale può rappresentare, invece, il presupposto (Sez. 1, n. 466 del 11/11/1993, dep. 1994, Hasani, Rv. 196106: "Il movente è la causa psichica della condotta umana e costituisce lo stimolo che ha indotto l'individuo ad agire; esso va distinto dal dolo, che è l'elemento costitutivo del reato e riguarda la sfera della rappresentazione e volizione dell'evento"; in senso analogo, più di recente, Sez. 5, n. 25936 del 13/02/2017, S, Rv. 270345).
Il movente di autofinanziamento, al contrario, non esclude l'elemento soggettivo della fattispecie, che ha ad oggetto la coscienza e volontà delle "operazioni" che concretizzino un abuso o un'infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico-finanziaria della società, e la prevedibilità del dissesto.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l'art. 223, comma 1, L. Fall. prevede due autonome fattispecie criminose; esse, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre, da quello soggettivo, vanno tenute distinte, perchè nella ipotesi di causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l'effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell'operazione ha accettato il rischio della stessa. La prima fattispecie è dunque a dolo specifico, mentre la seconda è a dolo generico. Non cade pertanto in contraddizione il giudice di merito che ritenga insussistente il dolo (specifico) diretto alla causazione del fallimento, ed, al contempo, ravvisi il dolo (generico) in relazione a singole operazioni distrattive, che hanno determinato il fallimento (Sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, de Rosa G, Rv. 214856); la nozione di operazioni dolose di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 223, comma 2, n. 2, prevede il comportamento degli amministratori che cagionino il dissesto con abusi o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria della impresa; l'elemento soggettivo richiesto, pertanto, non è la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà del comportamento sopra indicato (Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, dep. 1999, Carrino G, Rv. 212613); in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, che si sostanzia in un'eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l'onere probatorio dell'accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura "dolosa" dell'operazione alla quale segue il dissesto, nonchè dell'astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a., Rv. 247315, che, in motivazione, ha precisato che per la configurabilità del reato è necessaria la rappresentazione dell'azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della società); in tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell'ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina, Rv. 265510).
Tanto premesso, la sentenza impugnata appare immune da censure, avendo appunto affermato la sussistenza del dolo generico delle operazioni dolose, consistite nel sistematico inadempimento degli obblighi tributari e contributivi, e la prevedibilità del dissesto, conseguente all'accumulazione di un'esposizione superiore ad un milione di Euro; nel caso in esame, peraltro, le ingenti passività accumulate rendono meramente accademica qualsiasi disputa sul criterio di prevedibilità - in astratto o in concreto - del fallimento, essendo evidente che la situazione economico-finanziaria determinata dal sistematico inadempimento tributario e contributivo protratto per molti anni rendeva senz'altro prevedibile in concreto il dissesto della società, sulla base di un giudizio di prevedibilità e non evitabilità altrimenti dell'evento.
1.3. Sotto il profilo oggettivo, inoltre, D.M.R. ha sostenuto che il nesso causale tra l'operazione dolosa ed il fallimento sarebbe stato interrotto dalla distrazione del software.
Al riguardo, tuttavia, premesso che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dal R.D. 16 maggio 1942, n. 267, art. 223, comma 2, n. 2, non interrompono il nesso di causalità tra l'operazione dolosa e l'evento, costituito dal fallimento della società, nè la preesistenza alla condotta di una causa in sè efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all'art. 41 cod. pen., nè il fatto che l'operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l'aggravamento di un dissesto già in atto, poichè la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sè reversibile (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262189; Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga, Rv. 259051; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a., Rv. 247316), va evidenziato che la distrazione del software, che costituiva l'unico attivo sociale, si è innestata in una situazione di dissesto già conclamata, finanziariamente manifestatasi (benchè occultata a livello documentale, ed esposta soltanto nel bilancio del 2009) già dal 2002; in altri termini, la distrazione del software ha soltanto aggravato la situazione di dissesto già determinata dal sistematico inadempimento degli obblighi tributari e contributivi, sostanzialmente privando la società dello stesso oggetto, essendo infatti contestualmente cessata l'attività sociale, senza più ricavi nè costi.
1.4. Il terzo motivo proposto dal D.M., con il quale deduce di non aver partecipato alla distrazione del software, è infondato.
Come ben ricostruito dalla sentenza impugnata, sul punto conforme alla sentenza di primo grado, con la quale si salda in un unico apparato motivazionale (ex multis, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595), la società fallita, denominata (OMISSIS), ha cambiato denominazione in (OMISSIS) il 5 aprile 2007; nella stessa data è stata costituita la (OMISSIS) s.r.l., amministrata da D.M. (direttamente) e F. (tramite la (OMISSIS) s.r.l.), alla quale la "nuova" (OMISSIS) ha ceduto, il 28/09/2007, il software gestionale, costituente l'unica attività sociale, per un prezzo di Euro 600.000,00; senza però incassare il corrispettivo della vendita, nè tanto meno predisporre alcuna idonea garanzia.
Sebbene l'amministratore della società fallita, cedente, fosse all'epoca il solo T., nondimeno la partecipazione di D.M. e F., quali formali amministratori della società cessionaria (la (OMISSIS) s.r.l.), è stata affermata sulla base del rilievo che quest'ultima era stata costituita (contemporaneamente al cambio della denominazione sociale della prima società) appositamente per proseguire l'attività sociale della bad company (la "nuova" (OMISSIS), formalmente amministrata da T.), ormai gravata da una insostenibile situazione di dissesto finanziario determinato dal sistematico inadempimento degli obblighi tributari e contributivi, e rappresentava, appunto, la new.co. in cui far confluire le attività, facendo gravare le enormi passività solo sulla bad company, svuotata degli stessi elementi costitutivi della sua capacità produttiva.
Tanto premesso, la partecipazione di D.M. e F. non è stata dunque qualificata come un concorso dell'extraneus nel reato proprio, bensì come un concorso degli amministratori di fatto nella commissione della bancarotta fraudolenta per distrazione: i due precedenti amministratori di diritto della società fallita non sono stati ritenuti concorrenti extranei, privi della qualifica soggettiva, in quanto meri beneficiari della distrazione, in ragione della formale qualifica di amministratori della società cessionaria, ma sono stati ritenuti concorrenti intranei, in quanto amministratori di fatto della società fallita, che hanno contribuito a deliberare, unitamente all'amministratore di diritto T., la cessione dell'unico cespite attivo della (OMISSIS), senza la corresponsione del corrispettivo e senza la predisposizione di alcuna adeguata garanzia.
1.5. Il quarto motivo, concernente il diniego delle attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
Premesso che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, anche in considerazione dell'oggettiva gravità del fatto.
Al riguardo, non rileva che le condotte siano precedenti alla modifica dell'art. 62 bis cod. pen., essendo consolidato il principio (affermato anche in relazione al testo della disposizione vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 125 del 2008) secondo cui, nell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice non può tenere conto unicamente dell'incensuratezza dell'imputato, ma deve considerare anche gli altri indici desumibili dall'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 31440 del 25/06/2008, Olavarria Cruz, Rv. 241898).
Sicchè la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
2, I ricorsi di F.L. e T.M. sono infondati.
2.1. Il primo motivo è inammissibile, perchè, oltre a sollecitare una non consentita rivalutazione degli elementi di fatto che hanno fondato l'affermazione di responsabilità, sulla base di una lettura alternativa più favorevole ai ricorrenti, è manifestamente infondato.
Come è stato puntualmente evidenziato dalla sentenza impugnata, la valenza distrattiva della cessione del software non è in alcun modo scalfita dalla predisposizione di un piano di rientro, e dall'asserito versamento di una somma di Euro 167.000,00; invero, sebbene sia emersa una traccia documentale del versamento, la somma non è stata rinvenuta nell'attivo fallimentare; sicchè, pur prescindendo dalla considerazione che si tratta di un importo enormemente inferiore al prezzo concordato, anche qualora fosse stato effettivamente eseguito uno dei pagamenti rateali concordati, ricorrerebbe la distrazione della quota del corrispettivo versata, in quanto non rinvenuta nell'attivo fallimentare.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Con riferimento al F., i finanziamenti versati tra il 2003 ed il 2006, e l'accollo del debito di Euro 28.000,00 da parte della new.co., non escludono la valenza distrattiva della cessione del software.
Al riguardo, l'accollo della modesta somma da parte della new.co. non esclude la bancarotta fraudolenta impropria, trattandosi di un trasferimento di passività minimo rispetto alle enormi esposizioni debitorie maturate dalla bad company destinata, per scelta degli odierni ricorrenti, al fallimento, anche in ragione della cessione dell'unica attività sociale, che aveva ad oggetto proprio lo sviluppo, la vendita e l'assistenza di un software gestionale (Dedalo) per l'attività degli spedizionieri.
I finanziamenti erogati dal F., pur evidenziando una volontà di salvare la società, in un'epoca precedente alla cessione dell'unica attività sociale, non escludono il dolo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, che, come è pacifico, ha oggetto la condotta distrattiva, non già il dissesto o il fallimento (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805: "L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte").
Con riferimento al T., la doglianza è manifestamente infondata, in quanto costui rivestiva la qualifica di amministratore di diritto della società fallita (fin dal 2005) allorquando è stata deliberata la cessione del software senza corrispettivo e senza predisposizione di qualsivoglia adeguata garanzia, e la rata del corrispettivo asseritamente versata (Euro 167.000,00) non è stata rinvenuta nell'attivo fallimentare.
2.3. Il terzo motivo è infondato, per le ragioni già evidenziate infra p. 1.1. e 1.2. del "Considerato in diritto", cui si rinvia.
2.4. Il quarto motivo, concernente l'applicazione della c.d. continuazione fallimentare, è manifestamente infondato.
I ricorrenti lamentano, infatti, che la sentenza di primo grado abbia applicato il "cumulo giuridico", anzichè la continuazione fallimentare, e che la sentenza impugnata abbia reiterato l'errore.
L'applicazione dell'art. 219 L. Fall. risulta corretta, avendo la Corte affermato, a proposito della c.d. continuazione fallimentare, la sussistenza della circostanza aggravante della pluralità di fatti di bancarotta, e la correttezza del calcolo della pena, la cui base edittale è stata aumentata proprio per l'aggravante contestata.
Peraltro, il "cumulo giuridico" è il regime che regola le ipotesi del concorso formale di reati e del reato continuato, al contrario del cumulo materiale che connota le ipotesi di concorso materiale di reati.
Al riguardo, non appare ridondante chiarire che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665).
Il principio affermato implica un abbandono della tradizionale concezione dell'unitarietà del reato di bancarotta, in caso di realizzazione di più fatti, ed una adesione alla tesi che individua nell'art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall., una norma che delinea una circostanza aggravante nella forma, ma una pluralità di reati nella sostanza (in tal senso, Sez. 5, n. 51194 del 12/11/2013, Carrara, Rv. 258675; Sez. 5, n. 50349 del 22/10/2014, Dalla Torre, Rv. 261346: "La configurazione, sotto il profilo formale, della c.d. continuazione fallimentare di cui all'art. 219, comma 2, n. 1 L. Fall., quale circostanza aggravante, ne comporta l'assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti").
Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, in altri termini, implica, da un lato, l'operatività della c.d. continuazione fallimentare come circostanza aggravante, ai fini del trattamento sanzionatorio e della bilanciabilità con eventuali circostanze attenuanti, e, dall'altro, l'inoperatività del divieto del bis in idem in caso di ulteriori fatti di bancarotta commessi prima di una sentenza di condanna divenuta irrevocabile in relazione a fatti di bancarotta concernenti la medesima procedura concorsuale (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249668: "La condanna definitiva per il reato di bancarotta non impedisce di procedere nei confronti dello stesso imputato per altre e distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale"); bis in idem che sarebbe, invece, stato configurabile, laddove fosse stata propugnata la tesi dell'unitarietà del reato di bancarotta, in caso di pluralità di fatti.
Tanto premesso, la questione giuridica non assume rilievo nel caso in esame, in quanto non sono state riconosciute circostanze attenuanti suscettibili di bilanciamento, nè erano contestati fatti di bancarotta ulteriori rispetto a fatti già giudicati con sentenza irrevocabile.
2.5. Con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, nel richiamare quanto già evidenziato supra p. 1.5. a proposito di D.M.R., la sentenza impugnata appare immune da censure, avendo negato il riconoscimento delle attenuanti generiche non soltanto sulla base dell'assenza di elementi suscettibili di positiva valutazione, ma altresì sulla base dei precedenti penali dai quali risultano gravati entrambi i ricorrenti F. e T..
2.6. La quinta doglianza, concernente l'esclusione della parte civile, è inammissibile, trattandosi di motivo nuovo, non proposto con l'atto di appello, contenente solo una generica richiesta di esclusione, senza alcuna illustrazione.
3. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2018