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Bancarotta fraudolenta impropria: in cosa consistono le operazioni dolose?

Bancarotta per operazioni dolose

Giugno 2024 - Cassazione penale sez. V, 04/06/2024, n.32152

Le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, L. Fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria dell'impresa, e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Trieste ha confermato la decisione del Giudice dell'udienza preliminare di Pordenone che, nel giudizio abbreviato, ha dichiarato Do.Ro. - quale amministratore e L.r. della società cooperativa "L'Impero", posta in liquidazione coatta e dichiarata in stato di insolvenza con sentenza del 14 aprile 2015 dal Tribunale di Pordenone - colpevole di bancarotta impropria, per avere cagionato, per effetto di operazioni dolose, lo stato di insolvenza della cooperativa, "segnatamente, facendo svolgere alla stessa il mero ruolo cartolare di interposizione tra vero venditore e vero acquirente del latte dai primi prodotto e versando ai soci produttori l'intero prezzo del latte, ometteva sistematicamente (nel biennio 2008 - 2009) di versare ad AGEA il c.d. prelievo supplementare (ovvero la quota prezzo di cessione dovuta dai produttori di latte sull'eccesso di produzione rispetto al quantitativo individuale assegnato), per un importo complessivo di Euro 729.000 che, unitamente alle conseguenti sanzioni amministrative pari a 3.016.000 euro, determinava lo stato di insolvenza della cooperativa stessa (fatti di bancarotta fraudolenta)". 2. Ha proposto ricorso il difensore di fiducia e procuratore speciale dell'imputato, avvocato Filippo Vicentini, il quale si affida a due motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo, denuncia erronea applicazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., poiché i giudici del merito avrebbero giudicato l'imputato per fatti diversi da quelli contestati, e, segnatamente, per aver individuato "come ulteriore fondamento dello stato di insolvenza della cooperativa, la condotta di manipolazione della documentazione contabile, ancorché contestata al coimputato", e, comunque, verificatasi in epoca successiva al biennio 2008-2009, arco temporale al quale fa, invece, riferimento il capo di imputazione ascritto al Do.Ro. Richiama le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale nel giudizio di appello, che ha chiesto la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado per difetto di correlazione tra condanna e imputazione. Sottolinea come l'imputazione ascritta a Do.Ro. difetti di qualsiasi evidenza in merito alla tenuta dei bilanci, cosicché, l'imputato è stato condannato per fatti successivi a quelli contestati ed eterogenei sotto il profilo della causa dello stato di insolvenza, peraltro, segnalandosi che, per come argomentato dalla Corte di Appello, il fatto storico dovrebbe essere ricondotto alla bancarotta impropria da reato societario (ex art. 223 co. 2 n. 1 L. F.) e non a quella da operazioni dolose. 2.2. Con il secondo motivo, è denunciata violazione del divieto di "bis in idem", sul rilievo dell'esistenza dell'idem factum processuale, così come declinato dalla Corte costituzionale, tra il fatto di bancarotta impropria contestato nell'odierno giudizio e quello oggetto del precedente giudizio per truffa aggravata (conclusosi con declaratoria di prescrizione), parimenti incentrato sull'omesso versamento del prelievo supplementare all'ente pubblico e sulla interposizione fittizia della cooperativa tra produttore e acquirente finale. In particolare, la Corte di Appello ha ritenuto i fatti posti a confronto distinti sia in relazione al nesso di causalità sia in relazione all'evento, tuttavia ponendo a confronto le due contestazioni utilizzando - erroneamente - criteri di comparazione tra le fattispecie astratte della truffa e della bancarotta, anziché mediante il confronto tra fatti storici, sostanzialmente ammettendo che ricorra un caso di concorso formale di reati, pacificamente compatibile con il principio del ne bis in idem (Corte cost. n. 200/2016); inoltre, si osserva che, nei delitti di bancarotta, il dissesto è condizione obiettiva di punibilità che accede a un fatto storico già compiutamente formato in tutti i suoi elementi. In tal modo, la Corte di Appello ha affermato la penale responsabilità del Do.Ro., sebbene già giudicato con sentenza definitiva per un fatto identico. Invoca precedente favorevole di questa Sezione, n. 47683 del 2016. 3. Con memoria di replica alle conclusioni del Procuratore Generale, che ha chiesto il rigetto del ricorso, il difensore del ricorrente insiste nell'invocare una lettura costituzionalmente conforme alla luce della giurisprudenza costituzionale e della normativa di settore, per cui il giudizio sull'operatività del divieto di bis in idem richiede il raffronto tra i fatti inseriti nella loro dimensione storico-naturalistica, che qui è rappresentata dall'omesso versamento dei prelievi in favore di AGEA, quale operazione dolosa dalla quale è disceso lo stato di dissesto. Diversamente, ancorare la medesimezza del fatto alla mancata considerazione dello stato di dissesto nel primo procedimento significherebbe, nella sostanza, riportare le lancette della giurisprudenza al momento in cui si riteneva che la valutazione sul divieto di bis in idem esigesse l'identità del fatto giuridico. Il giudizio sull'operatività del divieto di bis in idem ha ad oggetto, invece, soltanto il raffronto dei fatti storici mentre lo stato di dissesto è un evento giuridico, una nozione normativa. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non è fondato. 1. Il primo motivo,riguardante la prospettata violazione del diritto di difesa, è del tutto infondato. Come correttamente osservato dalla Corte di Appello, l'imputato è stato posto in condizione di esercitare adeguatamente la difesa nel giudizio di merito e il fatto, come ricostruito dai giudici di merito, è perfettamente aderente alla contestazione operata nell'imputazione. 1.1. In primo luogo, deve, infatti, osservarsi che la condotta di interpolazione dei bilanci era stata ascritta al coimputato e, quindi, era nota anche al ricorrente fin dalla contestazione elevata nella richiesta di rinvio a giudizio. 1.2. Soprattutto, il nucleo centrale della contestazione a carico del Do.Ro. attiene alle operazioni dolose che hanno condotto alla dichiarazione dello stato di insolvenza della società cooperativa a seguito dell'omesso versamento delle ritenute per la sovraproduzione di quote latte e per le conseguenti sanzioni amministrative derivate alla società, mentre, come annotato efficacemente dalla Corte di Appello, "Quanto evidenziato dal primo Giudice in relazione alla creazione di artifici contabili e alla alterazione di bilanci costituisce una mera esplicazione di quelle che erano le modalità operative dell'imputato"-, ovvero le operazioni dolose contestate, che, come è noto, costituiscono una attività complessa, ritenendosi, nella giurisprudenza di legittimità più recente, che le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, L. Fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria dell'impresa, e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247316 ; conf. Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Rv. 261684, Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014Rv. 261446; Sez. 5 n. 12426 del 29/11/21013, dep. 2014, Rv. 259997; Sez. 5, n. 17355 del 12/03/2015, Rv. 264080 secondo cui integra il reato di fallimento cagionato per effetto di operazioni dolose la condotta dell'amministratore che ometta il versamento delle imposte dovute, gravando così la società da ingenti debiti nei confronti dell'erario, e successivamente proceda alla distribuzione dei predetti utili a favore dei soci, in quanto, allorché l'assegnazione dell'utile avvenga senza la pre-deduzione dell'onere tributario e della conseguente penalità tributaria - che sorge al momento dell'erogazione della ricchezza - si concreta una manomissione della ricchezza sociale, trattandosi di distribuzione che eccede quanto di pertinenza dei soci.). 1.3. Ha ulteriormente precisato la sentenza impugnata come, al ricorrente, non vengano contestati reati diversi dalla bancarotta impropria, quanto, piuttosto, la causazione di uno stato di sofferenza patrimoniale della società, a sua volta causa della successiva dichiarazione di insolvenza, così, in sintesi, ritenendo che, all'esito della approfondita ricostruzione delle modalità operative dell'imputato, la condotta contestata resti la medesima, circoscritta all'aver omesso di operare le ritenute previste sulle quote - latte in eccesso e di versarle all'Agea, esponendo la società a un grave danno economico, in ragione, soprattutto, delle sanzioni amministrative che ne sono conseguite. 1.4. Infine, dalla sentenza di primo grado, che contiene la ricostruzione del fatto, emerge che la manipolazione dei bilanci era avvenuta già negli anni 2008/2009, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente. 1.5. La soluzione della Corte di Appello è coerente con una consolidata tradizione giurisprudenziale, che ricostruisce il principio di correlazione tra accusa e sentenza, non in termini formalistici, legati all'adozione di formule sacramentali, ma alla luce della fondamentale garanzia difensiva del contraddittorio, che presuppone la chiara enunciazione dell'accusa. In questa prospettiva, si colloca il chiarimento operato dalle Sezioni unite "Lucci" di questa Corte, le quali hanno rilevato che l'attribuzione al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'art. 111, secondo comma, Cost., e dell'art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato sia nota o comunque prevedibile per l'imputato e non abbia determinato in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono; la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, "ha in più occasioni escluso la violazione dei parametri convenzionali in tutti i casi in cui la prospettiva della nuova definizione giuridica fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato, censurando, in concreto, le ipotesi in cui la riqualificazione dell'addebito avesse assunto le caratteristiche di atto a sorpresa" (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438). 1.6. In tale contesto ermeneutico, l'insegnamento di questa Corte di vertice è costante nell'affermare che, per "fatto diverso", considerato dal comma 2 dell'art. 52, cod. proc. pen., deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una correlativa puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 6, n.26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015 - dep. 2016, p.c. in proc. Marafioti, Rv. 266019; Sez. 5, n. 10310 del 25/08/1998, Capano, Rv. 211477). Sussiste, dunque, violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell'ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell'imputato (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; conf. Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012,2013, Rv. 254888; Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Rv. 269569); come è stato precisato, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619). 1.7. Nella fattispecie in scrutinio, come ha correttamente osservato la Corte di Appello, il fatto contestato è rimasto immutato in tutti i suoi elementi, cosicché non può ravvisarsi la dedotta violazione che - secondo l'impostazione tutt'altro che formalistica della Corte di Strasburgo (Sentenza Drassich c/ Italia) - deve aver comportato un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti. (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 26443801; conf. sez. 5 n. 19380 del 12/02/2018). 2. Non ha pregio neppure il secondo motivo, incentrato sulla denuncia della violazione del principio del ne bis in idem, giacché, secondo la prospettazione difensiva, il fatto storico oggetto di un altro procedimento, nell'ambito del quale il ricorrente ha già subito condanna per il delitto di truffa aggravata, e quello qui in scrutinio, sarebbero sovrapponibili, consistendo la condotta in entrambi i casi nell'omesso versamento all'AGEA delle somme corrispondenti alle quote di latte prodotte in esubero dagli associati della cooperativa, e alla interposizione di quest'ultima tra i produttori e gli acquirenti del latte. 2.1. Ritiene il collegio che la Corte di Appello abbia correttamente scrutinato tale motivo di censura, rilevando la diversità delle fattispecie con riguardo all'evento, e correlatamente, al nesso causale. 2.2. Invero, la Corte di Appello ha considerato che, mentre l'evento della truffa è correlato al danno prodotto all'AGEA dal mancato versamento della quota latte eccedente; con riguardo al reato fallimentare, l'evento è, invece, costituito dal dissesto, che ha prodotto il fallimento, e che, nel caso di specie, per come emerge dallo scrutinio fattuale condotto dai giudici di merito, è stato cagionato, oltre che dal mancato prelievo e dal mancato corrispondente versamento della quota-latte eccedente, soprattutto, dalle conseguenze fiscali, che sono derivate per la società dalla condotta truffaldina in danno di AGEA, costituite da sanzioni e interessi che l'hanno esposta - e in questo sta la parte preponderante delle ragioni del dissesto che ha portato al fallimento - a un debito fiscale enorme, con corrispondente rilevante danno per i creditori della società. 2.3. Per questo, non coglie nel segno il richiamo, operato dal ricorrente, a un precedente di questa Sezione, che si è occupato di una specifica e peculiare fattispecie, in cui si era effettivamente registrata una sovrapposizione delle condotte nei due diversi procedimenti posti a raffronto, e tanto anche in ragione della circostanza che, in quel caso, si discuteva di bancarotta distrattiva, in cui, appunto, il mancato versamento delle quote latte in danno dell'AGEA corrispondeva all'entità della distrazione fallimentare in danno dei creditori. 2.4. Qui, come si è detto, la vicenda presenta connotati differenti, dal momento che, dal raffronto tra le fattispecie concrete, emerge un quid pluris, che ha connotato l'evento della bancarotta rispetto alla truffa: il dissesto - che è ricollegato alla impossibilità di far fronte alle obbligazioni di qualsiasi natura - nel caso di specie, è stata generato, sì dalla condotta truffaldina, e quindi dalla mancata riscossione delle quote - latte, ma anche dalle conseguenze sanzionatone che ne sono derivate sul piano tributario, e che hanno prodotto una enorme esposizione debitoria. Con la conseguenza che, nella truffa, la condotta ha prodotto un danno per l'AGEA, nella bancarotta impropria, il danno si è riverberato sul ceto creditizio, ciò che integra, appunto, un evento ulteriore rispetto alla truffa. 2.5. Anche sotto tale profilo, la valutazione della Corte di Appello resiste al vaglio di legittimità, contenendo un corretto scrutinio del motivo di censura dell'appellante, incentrato sulla violazione del principio del ne bis in idem processuale, il quale, è bene ricordarlo, ha confini ed ambiti applicativi (almeno parzialmente) diversi rispetto al ne bis in idem sostanziale: quest'ultimo, infatti, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità (artt. 15 e 84 cod. pen.), fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona; il bis in idem processuale, invece, concerne non già il rapporto astratto tra norme penali, bensì il rapporto tra il fatto e il giudizio, vietando l'esercizio di una nuova azione penale dopo la formazione del giudicato (Sez. 7 -, Ordinanza n. 42994 del 20/10/2021, Rv. 282187; conf. sez. 5 n. 1363 del 25/10/2021, dep. 2022). Al riguardo, con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale -che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale - ha ridefinito il principio del ne bis in idem processuale, recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. L'affrancamento dall'inquadramento giuridico (non, però, dai criteri normativi di individuazione) del fatto (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 4), cioè dall'idem legale, ha comportato la riaffermazione della "dimensione esclusivamente processuale" del divieto di bis in idem, che "preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 10). Secondo la Corte costituzionale, infatti, il diritto vivente, pur in presenza di un identico fatto storico oggetto di precedente giudizio, aveva "saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in idem" (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 10), sterilizzando la garanzia processuale in ragione della qualificazione normativa multipla consentita dal (l'inoperatività del) principio del bis in idem sostanziale. Al contrario, proprio l'adesione ad una concezione storico-naturalistica del fatto (l'idem factum), ai fini della perimetrazione del divieto di bis in idem di cui all'art. 649 cod. proc. pen., implica l'ininfluenza del concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 12). Ne deriva che l'estensione del bis in idem processuale è diversa, e di regola più ampia, rispetto al bis in idem sostanziale, e, soprattutto, concerne, come detto, rapporti diversi: l'art. 649 cod. proc. pen., infatti, riguarda il rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio, e, nella sua dimensione storico-naturalistica, prescinde dalle eventualmente diverse qualificazioni giuridiche; il bis in idem sostanziale, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte, e prescinde dal raffronto con il fatto storico (Sez. 7, n. 32631 del 01/10/2020, Rv. 280774). Ponendosi su tale scia, nella già citata sentenza n. 200 del 2016, la Corte Costituzionale, nell'affermare il criterio dell'idem factum, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum, afferma la Consulta, non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche per l'approccio casistico che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 4). Dunque, il Giudice delle Leggi ha preso le distanze, affermandone la erroneità, dalla tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità, giacché "Il fatto storico-naturalistico rileva, ai fini dei divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gli conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è l'accadimento materiale, certamente affrancato dai giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dai comportamento dell'agente. È chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti, non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere considerazione per valutare la medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 4)."Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia', né le successive pronunce della Corte EDU - continua la Corte costituzionale - recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (ad esempio, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)"; conclude, sul punto, la Consulta, evidenziando che: "Certo è che, perlomeno allo stato, la giurisprudenza europea, che "resta pur sempre legata alla concretezza della situazione che l'ha originata" (sentenza n. 236 del 2011), non permette di isolare con sufficiente certezza alcun principio (sentenza n. 49 del 2015), alla luce del quale valutare la legittimità costituzionale dell'art. 649 cod. proc. pen., ove si escluda l'opzione compiuta con nettezza a favore dell'idem factum (questa sì, davvero espressiva di un orientamento sistematico e definitivo). In particolare, non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. 7, sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016, par. 5). La Corte Costituzionale ha ribadito che "allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente" (Corte Cost., n. 200 del 2016 par. 6). 2.6. Sulla nozione di idem factum, la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta, e, dunque, la preclusione connessa al principio del "ne bis in idem" opera ove il reato già giudicato si ponga in concorso formale con quello oggetto del secondo giudizio nel solo caso in cui sussista l'identità del fatto storico, inteso sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. Un. Donati, n. 34655 del 28 giugno 2005), considerati sia nella loro dimensione storico - naturalistica, sia in quella giuridica, non essendo sufficiente la sola identità della condotta o di parte di essa, laddove la medesima condotta violi contemporaneamente più disposizioni incriminatrici (In tal senso Sez. 2, n. 52606 del 31/10/2018, Biancucci, Rv. 275518, Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018 Bosica, Rv. 274448; Sez. 4, n. 54986 del 24/10/2017, Montagna, Rv. 271717, Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270387; Sez. 4, n. 3315 del 06/12/2016, dep. 2017, Shabani, Rv. 269223, nonché Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pigozzi, Rv. 273220, con riferimento ad una fattispecie in cui, richiamando i principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, ha escluso la sussistenza di un rapporto di identità del fatto tra condotte di bancarotta fraudolenta e di omesso versamento di IVA di cui all'art. 10-ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74). 2.7. Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie. Dovendo concentrarsi la verifica sul fatto storico concretamente oggetto della res iudicata e quello oggetto della res iudicanda, giacché, "ai fini della preclusione del "ne bis in idem", l'identità del fatto deve essere valutata in relazione al concreto oggetto del giudicato e della nuova contestazione, senza confrontare gli elementi delle fattispecie astratte di reato" (Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti, Rv. 268502), correttamente la Corte di Appello ha escluso che ricorra, nel caso di specie, il requisito dell'idem factum, differenziandosi in concreto i fatti per la diversità dell'evento causalmente collegato alla condotta, giacché, mentre nel giudizio instaurato per truffa aggravata al Do.Ro. è attribuito il fatto di avere, con artifizi e raggiri realizzati in frode alla normativa in materia di quote-latte, cagionato all'ente pubblico Agea un danno pari ad Euro 736.097,38 a fine di profitto per la Cooperativa, nel presente giudizio gli si contesta di aver cagionato, con la medesima condotta, un evento affatto diverso, costituito dal dissesto della Cooperativa per un importo pari ad euro 729.000, oltre Euro 3.016,000 di sanzioni amministrative, somme costituenti la complessiva entità della debitoria. È evidente, allora, che non vengono in rilievo differenze sul piano normativo delle fattispecie incriminatrici - come sostiene il ricorrente - piuttosto emergendo, dal confronto tra le fattispecie concrete, proprio la diversità, sul piano naturalistico, dei fatti storici oggetto dei relativi processi, laddove la vicenda fattuale esaminata nella sentenza impugnata attiene - diversamente da quella relativa all'ormai definito giudizio per truffa - a fatti causativi di un pregiudizio per la cooperativa, peraltro, di importo diverso e di gran lunga superiore rispetto al danno cagionato all'ente pubblico nel giudizio per truffa. Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha escluso la violazione del divieto del bis in idem processuale. 4. Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 4 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024.
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