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Danneggiamento e devastazione: quali differenze

Danneggiamento

Cassazione penale sez. I, 24/04/2024, n.31744

I danneggiamenti plurimi trasmodano in devastazione, se la loro estensione e profondità raggiungono un adeguato livello di compromissione, avendo indotto nella popolazione allarme, sensazione di pericolo, sentimento di insicurezza.

Il reato di danneggiamento mediante deterioramento richiede la compromissione della funzionalità della cosa

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Le decisioni di primo grado, su cui si è pronunziata la Corte di Appello di Roma con la sentenza oggi impugnata sono due: una è stata emessa in rito abbreviato dal GUP del Tribunale di Roma in data 31 gennaio 2023 (imputati Pa.Mi. e To.Cl.), una sempre dal GUP di Roma in rito abbreviato il 23 gennaio 2023 (imputato Sa.An.). 1.1 Conviene brevemente rievocare i contenuti di ciascuna delle decisioni, che vedono uguale contestazione di reato: art. 419 cod.pen per avere in concorso tra loro e numerosi altri soggetti commesso fatti di devastazione della sede CGIL sita in Roma, Corso Italia n.25 (con ulteriore descrizione in fatto delle condotte). Fatti verificatisi in Roma, nel pomeriggio dei 9 ottobre 2021. In tale data erano state organizzate, nella Capitale, distinte manifestazioni pubbliche di protesta e di opposizione rispetto alle misure, adottate dall'Autorità governativa, di contenimento della pandemia da virus SARS-CoV-2, in particolare rispetto all'introduzione dell'obbligo del c.d. Green pass per svolgere una serie di attività e accedere ad una serie di luoghi, tra cui gli ambienti di lavoro. Secondo la ricostruzione giudiziale, le manifestazioni, programmate in contemporanea, dovevano svolgersi in parti diverse della città (Piazza del Popolo, l'una, Bocca della Verità, l'altra), ma i cortei erano finiti per confluire, dando luogo ad una compresenza di partecipanti eccedente il limite preventivato. Le forze dell'ordine avevano avuto difficoltà a controllare i relativi numeri, inattesi. Taluni manifestanti, deviando dal percorso originariamente assentito, avevano ad un certo punto raggiunto la sede nazionale della C.G.I.L., in Corso d'Italia, invocando lo sciopero generale contro le misure emergenziali. Una parte di costoro, giunti dinanzi al palazzo del sindacato, dopo averne forzato gli accessi erano penetrati all'interno, vincendo l'opposizione dei tutori dell'ordine, e avevano distrutto in maniera diffusa gli arredi e le suppellettili che vi si trovavano, inclusi molti strumenti informatici. L'azione dannosa aveva coinvolto anche i beni della società Futura, comodataria nel palazzo di alcuni locali. Per il solo Sa.An. vi è contestazione aggiuntiva (al capo B della sentenza del 23 gennaio 2023, del delitto di resistenza, peraltro non oggetto di impugnazione. 1.2 La sentenza emessa nei confronti di Pa.Mi. e To.Cl., quanto alla descrizione dei fatti di devastazione, rappresenta che veniva forzato il portone di ingresso della sede del sindacato, nonché una finestra. Una volta all'interno, i manifestanti secondo il GUP "..compivano una vera e propria devastazione, gettando a terra o distruggendo mobili - tra cui armadi e scrivanie - porte, computers, monitor, stampanti, fotocopiatrici, televisori, quadri, lampade, depuratori, libri documenti..". Le condotte venivano ricostruire attraverso l'esame di videoregistrazioni acquisite agli atti. Per quanto riguarda il comportamento del Pa.Mi., secondo il GUP, costui aveva partecipato alla fase dell'assalto, superando gli sbarramenti delle forze dell'ordine ed aveva fatto ingresso nei locali. All'interno aveva infranto la vetrata di una porta e lanciato a terra alcuni oggetti, contribuendo all'azione collettiva. Quanto al To.Cl. vi è contezza circa la sua partecipazione all'assalto e circa l'ingresso all'interno dei locali, ove se ne perdevano le tracce visive. La decisione nei confronti del To.Cl. e del Pa.Mi. rappresenta, inoltre che " per arginare gli assalitori è stato necessario attendere l'arrivo di cospicui rinforzi perché le esortazioni delle forze di polizia non sono state sufficienti e hanno solo potuto delimitare i piani superiori della sede del sindacato, onde evitare che ne venisse fatto lo stesso scempio ". Per Pa.Mi. la pena viene quantificata in anni cinque e mesi sei di reclusione mentre per To.Cl. in anni sette, mesi due e giorni 27 di reclusione. 1.3 La decisione emessa nei confronti di Sa.An. - quanto al delitto di devastazione - ricostruisce i fatti in modo analogo. Viene precisato che venne distrutta anche da una telecamera interna posta nei pressi dell'ingresso della sede del sindacato e che l'azione di devastazione dei locali ebbe una durata di circa un'ora (dalle 17.27 alle 18.20). Quanto alle condotte tenute dal Sa.An. si evidenzia che costui prese parte attivamente agli scontri con le forze dell'ordine avvenuti in Piazza Brasile e fu tra coloro che riuscirono ad entrare all'interno dei locali della CGIL, anche partecipando al tentativo di sfondamento del portone principale. Per Sa.An. la pena viene quantificata, ritenuta la continuazione, in anni sei di reclusione. 3. Con la sentenza emessa in data 20 luglio 2023 la Corte di appello di Roma - riuniti i due procedimenti - rideterminava la pena per il Pa.Mi. e per il To.Cl. in anni cinque e mesi quattro di reclusione (con attenuanti generiche ritenute equivalenti); confermava integralmente la prima decisione per il Sa.An. In premessa viene ritenuta esaustiva la ricostruzione dei fatti per come esposta nelle due decisioni di primo grado impugnate. Vengono illustrati i motivi di appello e si rappresenta che il punto principale di doglianza è rappresentato dalla qualificazione giuridica dei fatti in termini di devastazione. 3.1 Rispetto al delitto di devastazione, il giudice di appello ricostruiva, in via preliminare, l'interesse protetto dalla norma incriminatrice e delineava le componenti costitutive astratte del reato, rapportando poi le relative considerazioni al caso di specie. Il ragionamento giudiziale può essere sintetizzato nei seguenti termini. L'art. 419 c.p. prevede un reato posto a tutela dell'ordine pubblico. L'accezione di ordine pubblico, assunta dal codice penale del 1930, non sarebbe però quella in senso stretto, fatta propria dalle difese degli imputati, non coincidendo essa con i confini dell'ordine pubblico che l'Amministrazione dell'Interno è preposta a mantenere. La nozione in questione sarebbe ben più ampia e profonda, in una certa misura "trascend(endo) i limiti rigorosi del diritto penale". Bisognerebbe fare dunque riferimento alla nozione civilistica di ordine pubblico, o alla nozione di ordine pubblico che l'art. 31 disp. prel. cod. civ. (ora abrogato) pone come limite all'ingresso nel nostro ordinamento del diritto straniero; ordine pubblico inteso, dunque, come il minimo etico della collettività in un dato momento del suo sviluppo, come il suo assetto politico fondamentale delineato alla luce dei valori costituzionali. La nozione risulterebbe ignota alla tradizione germanica, ma sarebbe comunemente recepita nelle legislazioni di matrice latina. La nozione avrebbe contenuto elastico e storicamente variabile, abbracciando attualmente anche l'ordine economico e sociale. L'elasticità non comporterebbe una violazione del principio di tassatività della fattispecie penale, riguardando il bene protetto in sé considerato e non la descrizione normativa dei suoi elementi. Questo concetto di ordine pubblico, ricomprendente l'ordine economico e sociale, tutelerebbe anche il diritto al lavoro e l'esercizio dell'attività sindacale. La violazione dell'ordine pubblico sarebbe evidente, nel caso concreto, sulla base dell'obiettivo prescelto dai manifestanti, cioè una sede sindacale. Pur non essendo le associazioni sindacali organi istituzionali dello Stato, l'aggressione alle relative sedi si risolverebbe in un'aggressione rivolta ad uno dei luoghi tipici di aggregazione dei cittadini, in cui si forma la volontà di coloro che dal sindacato si sentono rappresentati concorrendo, con metodo democratico, in maniera decisiva, alla vita sociale ed economica della collettività statale; in una parola, in un'aggressione ad uno dei luoghi paradigmatici della democrazia. L'aggressione aveva in concreto lo scopo di esercitare una pressione forte sulla C.G.I.L., e sul mondo sindacale in genere, per costringere l'una e l'altro a mutare la politica sindacale in materia (di sostanziale appoggio, fin lì, alle decisioni governative riguardanti la prevenzione dell'infezione da Covid-19 sui luoghi di lavoro). I manifestanti si erano mossi in forza di una vera e propria "chiamata alle armi", lanciata nei comizi, avente lo scopo di costringere una forza sindacale di primario rilievo nazionale a mutare le proprie politiche. Un'aggressione avente tali caratteristiche allarmerebbe la collettività nel suo insieme e, ledendo un suo interesse primario di rilevo costituzionale, offenderebbe necessariamente l'ordine pubblico nel senso precisato. 3.2 Dunque l'incriminazione, recata dall'art. 419 cod. pen., sarebbe funzionale a garantire la tutela dell'ordine pubblico come sopra inteso. Il reato in questione non avrebbe necessariamente natura plurisoggettiva; benché normalmente commesso da una moltitudine di persone, esso potrebbe essere realizzato da un unico autore. Sarebbe un reato di pericolo concreto. La parola "fatti di devastazione", normativamente utilizzata, avrebbe significato indeterminato e non evocherebbe una necessaria pluralità di danneggiamenti o depredazioni. La commissione di una serie di fatti, purché in continuità tra loro, costituirebbe, d'altra parte, un unico reato. Affinché vi potesse essere devastazione in senso tecnico-penalistico, sarebbe richiesta l'esistenza di un danneggiamento complessivo, indiscriminato, vasto e profondo di una notevole quantità di cose mobili o immobili. Nel caso concreto ciò sarebbe puntualmente avvenuto. L'azione si era concentrata in un'ora di tempo (e non, come sostenuto da alcune difese, in pochi minuti). L'estensione spazio-temporale della condotta, comunque, non rileverebbe, dovendosi guardare agli esiti della stessa. Essendo un reato posto a tutela dell'ordine pubblico, e non del singolo consociato, il numero dei soggetti danneggiati dalle condotte di devastazione non sarebbe rilevante. Lo sarebbe, viceversa, il fatto che i locali della C.G.I.L. e della società Futura fossero stati messi a soqquadro e che le due organizzazioni non avessero potuto operare per un apprezzabile periodo di tempo. I danni, inoltre, non sarebbero soltanto quelli esteriori e patrimoniali, ma riguarderebbero l'intrinseco. Erano andati distrutti computer, fascicoli, appunti e documenti cartacei, e con loro si era irrimediabilmente perduta la memoria storica e documentale di importanti avvenimenti passati. 3.3 Quanto all'aspetto concorsuale, la Corte di secondo grado richiamava, quindi, l'antefatto delle condotte criminose, a partire dalle incitazioni ai manifestanti, provenienti dal palco di piazza del Popolo, a formare un corteo e a dirigersi verso la sede della C.G.I.L. allo scopo di ottenere la proclamazione dello sciopero generale. I manifestanti avevano, di seguito, violentemente superato i cordoni delle forze dell'ordine e, raggiunto il sito, ne avevano forzato gli ingressi, distruggendo tutto ciò che si trovava all'interno. Chiunque avesse compartecipato, in forma materiale o morale, all'azione corale rispondeva, conclusivamente, dei reati di cui in imputazione, non potendo certo sostenere di averlo fatto in modo causalmente inefficiente, o perché convinto di partecipare a una manifestazione autorizzata. Ai profili circostanziali e al trattamento sanzionatorio erano dedicati i passaggi conclusivi della sentenza in epigrafe. L'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. non era configurabile per alcuno degli imputati, dovendo essere esclusa la marginalità dei singoli apporti. Neppure poteva riconoscersi l'attenuante di cui all'art. 62, n. 3), cod. pen., essendo stati gli stessi imputati, nel caso di specie, a dare vita ai tumulti aderendo ad un'iniziativa della quale erano evidenti, sin dall'inizio, portata e finalità. Venivano concesse, come si è detto in apertura, le circostanze attenuanti generiche al Pa.Mi. e al To.Cl. 4. Ricorrono per cassazione i tre imputati, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia. I ricorsi sono di seguito illustrati, nei limiti stabiliti dall'art. 173, comma 1, disp att. cod. proc. pen. 4.1 Il ricorso proposto nell'interesse di Sa.An. articola due motivi. 4.1.1 Al primo, ampio e promiscuo, motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di devastazione, nonché erronea ricostruzione del bene giuridico protetto ed erronea applicazione delle disposizioni di legge in tema di concorso di persone nel reato. Si afferma che non vi sarebbe una ampiezza del danneggiamento tale da sostenere, in fatto, il particolare reato oggetto di contestazione. La sentenza di secondo grado, inoltre, non identifica correttamente il bene protetto e non consente di comprendere i caratteri differenziali tra semplice danneggiamento e devastazione. Si contesta, in particolare, l'ampiezza e indeterminatezza della nozione di ordine pubblico espressa nella decisione impugnata. Si contesta l'applicazione di un paradigma meramente concorsuale, lì dove la condotta tenuta dal Sa.An. non poteva essere ritenuta accessoria ad altre ed andava valutata in quanto tale. È mancata, in altre parole, l'analisi della rappresentazione e volizione, in capo al Sa.An., di un evento di devastazione, anche in parte commesso con condotte convergenti tenute da altri. Non poteva, peraltro, ritenersi che la finalità collettiva - una protesta contro la politica governativa in tema di accesso al lavoro tramite green pass - fosse 'indicativa' di una accettazione di modalità non corrette di realizzazione della manifestazione di piazza, di per sé lecita e con ampia copertura costituzionale. Si rappresenta, ancora, che non vi è stata - in questo giudizio - valutazione alcuna su una questione di legittimità costituzionale in punto di adeguatezza del trattamento sanzionatorio sollevata dalla difesa alla udienza del 14 luglio 2023. Si impugna altresì il diniego della circostanza attenuante di cui all'art.62 n.3 cod. pen. ritenuto non congruamente motivato. 4.1.2 Al secondo motivo si deduce vizio per mancata assunzione di prova decisiva. La Corte ha negato la parziale rinnovazione istruttoria consistente nella acquisizione della deposizione dibattimentale (nel giudizio ordinario) del teste Si., con motivazione incongrua. Ciò perché dalle rettifiche - rispetto alle annotazioni contenute nei verbali - rese in udienza dal teste emergeva che il percorso 'dinamico' del corteo verso la CGIL era stato autorizzato e ciò ha importanti ricadute sulle qualificazione delle condotte. 4.2. Nell'interesse di Pa.Mi. sono stati depositati due atti di ricorso. 4.2.1 II primo motivo dell'atto a firma del difensore avv. Dario Vannetiello deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione su più punti. In particolare si evidenzia l'omessa risposta ai motivi di appello in punto di vastità del danneggiamento, nonché in tema di identificazione del bene giuridico protetto e di ricorrenza dell'elemento soggettivo in capo al Pa.Mi. Si contesta la lettura fornita dal giudice di secondo grado della nozione di ordine pubblico, tale da sfuggire ad ogni possibile connotazione in punto di tassatività. Si rappresenta inoltre che l'azione - necessariamente collettiva - della devastazione implica una diversa indagine in punto di dolo, con consapevolezza di contribuire ad un evento di devastazione correlato alle altrui condotte. Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in punto di modalità di determinazione del trattamento sanzionatorio. 4.2.2 II secondo atto di ricorso a firma del difensore avv. Luca Ripoli riguarda i medesimi punti e introduce argomentazioni sovrapponibili. Si afferma in particolare che non vi è stata concreta analisi tanto dell'elemento materiale che dell'elemento psicologico del ritenuto delitto di devastazione, in violazione della regola di giudizio di cui all'art. 533 cod. proc. pen. 4.3 II ricorso proposto da To.Cl. riproduce i temi e i punti già illustrati a proposito dell'atto depositato nell'interesse di Sa.An. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La memoria conclusionale della parte civile C.G.I.L. risulta tardiva, in quanto trasmessa oltre il termine del quindici giorni antecedenti la data della discussione, stabilito dall'art. 611, comma 1, cod. proc. pen. e applicabile anche ai ricorsi esaminati in udienza pubblica, una volta che sia stata richiesta e disposta la trattazione orale ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in legge 18 dicembre 2020, n. 176 del 2020. L'inosservanza del termine esime la Corte di cassazione dal compito di prendere in esame il contenuto dell'atto defensionale (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647-02). 2. Alla disamina dei motivi dei proposti ricorsi è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro giuridico di riferimento. Essa deve interessare, in particolare, la fattispecie incriminatrice sulla cui interpretazione ed applicazione, così come operate dalla sentenza impugnata, converge (con parziale fondamento, come si può sin d'ora anticipare) parte consistente delle censure, che è dunque la fattispecie della "devastazione" contemplata, alternativamente al "saccheggio", nell'art. 419 cod. pen. 3. La disposizione è inserita nel titolo V del libro II del codice stesso, che tratta "dei delitti contro l'ordine pubblico", e la figura di reato si configura rispetto a "chiunque", fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, ossia senza lo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, "commette fatti di devastazione". La pena comminata è quella della reclusione da otto a quindici anni, aumentata, tra l'altro, se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. La fattispecie è oggetto di ampia e approfondita elaborazione ad opera, oltre che della dottrina, della giurisprudenza di questa Corte, giunta ormai ad approdi sistematici che possono ritenersi consolidati e che non richiedono l'intervento nomofilattico chiarificatore delle Sezioni Unite. 4. Sotto il profilo oggettivo, la devastazione è integrata da qualsiasi azione, posta in essere con qualsivoglia modalità, produttiva di rovina, distruzione o anche di danneggiamento - comunque complessivo, indiscriminato, vasto e profondo - di una notevole quantità di cose mobili o immobili, tale da determinare non solo il pregiudizio del patrimonio di uno o più soggetti, e con esso il danno sociale conseguente alla lesione della proprietà privata, ma anche l'offesa e il pericolo concreti dell'ordine pubblico, inteso come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, cui corrispondono, nella collettività, l'opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza (Sez. 2, n. 6961 del 06/10/2022, dep. 2023, Raducci, Rv. 284143-02; Sez. 6, n. 37367 del 06/05/2014, Seppia, Rv. 261932-01; Sez. 1, n. 20313 del 29/04/2010, Vischia, Rv. 247451-01; Sez. 1, n. 22633 del 01/04/2010, Della Malva, Rv. 247418-01; Sez. 1, n. 16553 del 01/04/2010, Orfano, Rv. 246941-01). A queste condizioni la devastazione ex art. 419 cod. pen. si distingue dal mero danneggiamento, che resta assorbito in funzione del criterio di specialità (Sez. 1, n. 946 del 05/07/2011, dep. 2012, Proietti, Rv. 251665-01; Sez. 1, n. 25104 del 16/04/2004, Marzano, Rv. 228133-01), alla pari del furto rispetto al saccheggio (alternativamente incriminato dalla disposizione in parola e parimenti connotato in termini di estensione e offensività). 5. Il bene dell'ordine pubblico, che costituisce l'oggetto giuridico del reato e il motivo ispiratore della norma penale, non entra espressamente nella descrizione del tipo legale, come elemento costitutivo o condizione di punibilità, avendolo il legislatore considerato insito nella condotta incriminata (Sez. 1, n. 4135 del 25/01/1973, Azzaretto, Rv. 124141-01). Esso è dunque elemento implicito di fattispecie e, come tale, punto di riferimento essenziale per la selezione dei fatti che ricadono nel perimetro dell'incriminazione. È grazie ad un tale riferimento che la previsione normativa, avuto riguardo alle finalità perseguite e al contesto settoriale in cui si colloca, assume carattere di sufficiente determinazione, consentendo al suo destinatario di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo in essa contenuto (su questo presupposto è stata giudicato manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 419 cod. pen., per asserito contrasto con il principio di tassatività delle fattispecie penali, tutelato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione: Sez. 1, n. 42130 del 13/07/2012, Arculeo, Rv. 253801-01). Di qui la necessità che la nozione di ordine pubblico, penalisticamente intesa, sia correttamene individuata. Sul punto si annida - secondo il Collegio - l'insuperabile criticità della sentenza impugnata, con fondatezza parziale delle deduzioni difensive. Ai fini del diritto penale, e specificamente del reato in esame, l'ordine pubblico è quel bene immateriale che riflette il senso di tranquillità e sicurezza che i cittadini traggono dall'ordinario svolgimento della vita civile, e in cui si esprime e trova garanzia la pace sociale che garantisce l'ordinata convivenza dei consociati (Sez. 1, n. 4135 del 1973, cit., Rv. 124142-01). Si tratta di un'accezione del termine appropriata alle esigenze di questo ramo dell'esperienza giuridica, e alle finalità e al senso dell'incriminazione specifica, ed essa non va quindi confusa con i più ampi concetti che il termine delinea in altri settori dell'ordinamento giuridico. Nel diritto civile il concetto di ordine pubblico interno costituisce tradizionalmente lo strumento-limite dell'autonomia dei privati, espresso dal complesso delle regole e dei principi, desumibili da tutto il sistema giuridico positivo, che il legislatore ha reso inderogabili dai privati medesimi, perché considerati funzionali alla diretta tutela di interessi della collettività (v. già Sez. 1 civ., n. 690 del 17/03/1970, Rv. 345906-01, nonché, da ultimo, Sez. 1 civ., n. 8718 del 03/04/2024, Rv. 670655-01), mentre sotto l'egida dell'ordine pubblico c.d. internazionale, come di recente ribadito da Sez. U civ., n. 38162 del 30/12/2022, Rv. 666544-02, è racchiuso il sistema dei valori che ispira l'ordinamento giuridico italiano e rappresenta il meccanismo di salvaguardia dell'armonia interna dell'ordinamento stesso, sbarrandovi l'ingresso di disposizioni del diritto straniero che, seppure evocate dalle norme strumentali di conflitto, unilaterali o di derivazione pattizia, con quei valori contrastino e non possono pertanto assumere nel nostro diritto alcuna funzione regolatoria. Questi ultimi istituti sono stati evocati in modo inappropriato dalla sentenza impugnata, così come impropria è la sovrapposizione concettuale, cui essa perviene, tra la sfera dell'ordine pubblico penale e gli ambiti, solo eventualmente interferenti, che propriamente attengono all'ordine economico o alla libertà sindacale. 6. L'ordine pubblico, inteso nel senso di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale, è esso stesso un valore costituzionale, in quanto consentaneo al regime democratico e legalitario consacrato nella Carta repubblicana (v. già Corte cost., n. 19 del 1962). Nell'ordinamento costituzionale, "ordine e sicurezza pubblica" sono nozioni richiamate dall'art. 1, comma 3, lett. I), della legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59, in quanto ricomprese nell'ambito materiale escluso dal trasferimento di funzioni alle Regioni, siccome riservato (ad eccezione dei compiti di polizia amministrativa locale) alla competenza legislativa dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. h), Cost.; la relativa definizione è data dall'art. 159, comma 2, D.Lgs. delegato 31 marzo 1998, n. 112 ("complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni": v. anche Corte cost., n. 313 del 2003). È indubbio che il turbamento di tali beni e interessi, indotto dall'insorgere di un'illegale minaccia all'ordinata, civile e sicura convivenza della comunità nazionale, è un esito da prevenire e reprimere anche attraverso la leva penale, declinata in modo proporzionato alle singole evenienze e secondo i modelli di intervento propri di tale settore dell'ordinamento giuridico. 7. Non può certo costituire impedimento all'attivazione delle corrispondenti tutele l'esistenza di altri diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto di riunione (recessivo, ex art. 17 Cost., di fronte a "comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica": Corte cost. nn. 158 del 1971, 15 e 16 del 1973, 71 del 1978) o di libera manifestazione del pensiero (che incontra un limite implicito nell'esigenza di scongiurare, in modo conforme alle leggi, le turbative dell'ordine pubblico: Corte cost., nn. n. 1 del 1956, 33, 120 e 121 del 1957). La tutela costituzionale dei diritti conosce sempre, infatti, un confine insuperabile nell'esigenza che attraverso la loro esplicazione non vengano sacrificati beni, ugualmente garantiti dalla Carta (ex multis, Corte cost., n. 126 del 1985). Il che tanto più vale, quando si tratti di beni che, come l'ordine pubblico, sono patrimonio della collettività intera (Corte cost., n. 19 del 1962, cit.) e devono essere dunque oggetto di necessaria considerazione e, se del caso, di opportuno bilanciamento. 8. Correttamente definita la nozione di ordine pubblico, nel quadro del reato sancito dall'art. 419 cod. pen., occorre di tale reato fissare le ulteriori coordinate oggettive, perché esse verranno utili a saggiare, nelle sue rimanenti parti, la tenuta della sentenza impugnata. È, anzitutto, indifferente la gravità del danno in concreto prodotto dall'azione distruttrice, purché resti appunto accertato che i fatti posti in essere abbiano non soltanto leso il patrimonio, ma anche offeso l'ordine pubblico come sopra inteso (Sez. 1, n. 26830 del 08/03/2001, Mazzotta, Rv. 219899-01: quando i fatti di danneggiamento producano, oltre che un'offesa all'ordine pubblico, anche una lesione di rilevante gravità patrimoniale, è configurabile l'aggravante prevista dall'art. 61, n. 7, cod. pen.: Sez. 1, n. 11912 del 18/01/2019, Oppedisano, Rv. 275322-03). Gli episodi di danneggiamento debbono essere necessariamente plurimi, perché la pluralità è implicata dal fatto che la devastazione è legata al loro carattere esteso, indiscriminato e profondo (un singolo atto di violenza non potrebbe da solo rilevare: Sez. 6, n. 15543 del 27/03/2009, Mescia, Rv. 243184-01). Fermo ciò, l'obiettivo preso di mira può essere anche unico e concentrato, o fare capo ad un singolo soggetto leso, purché le distruzioni siano vaste e siano realizzate con modalità di aggressione così incisive, e potenzialmente espansive, da minare il menzionato senso di tranquillità e sicurezza dei cittadini, portando offesa al corrispondente interesse superindividuale. L'accertamento di tali modalità è rimesso, evidentemente, alla prudente valutazione del giudice di merito, assoggettata a vaglio di legittimità secondo i consueti canoni, senza essere limitato dal rilievo dell'avvenuto impiego di mezzi particolari di distruzione o di una particolare conformazione spazio-temporale della condotta. Deve trattarsi, pur sempre, di modalità idonee a rappresentare una minaccia per la vita collettiva e ad ingenerare la relativa sensazione di insicurezza e precarietà, essendo il reato in discorso un reato di pericolo (Sez. 1, n. 5166 del 05/03/1990, Chiti, Rv. 183951-01). 9. Quanto all'elemento soggettivo, su cui non è inutile comunque in questa sede intrattenersi, il dolo del reato ha natura di dolo generico. Per la sua configurabilità è necessario che l'agente, oltre a rappresentarsi e a volere la propria condotta distruttiva, agisca con la percezione che essa risulti efficiente, nel contesto dato, alla produzione di un risultato qualificabile, per le sue proporzioni, come devastazione (Sez. 1, n. 17494 del 29/11/2022, dep. 2023, Tonin, Rv. 284476-01; Sez. 6, n. 37367 del 2014, cit., Rv. 261934-01) 10. Il reato, infine, non è nella sua formulazione letterale a concorso necessario, sicché può essere realizzato - fermo restando ciò che si dirà in seguito - anche da un singolo agente, la cui condotta abbia consapevolmente prodotto un effetto distruttivo su larga scala (Sez. 1, n. 9520 del 03/12/2019, dep. 2020, P., Rv. 278502-01). Ai fini della sussistenza della responsabilità a titolo di concorso eventuale non è, d'altra parte, richiesto che il compartecipe abbia compiuto materialmente atti di danneggiamento, bastando che abbia preso scientemente parte ai disordini diffusi. È in altre parole sufficiente che abbia posto in essere una frazione del fatto tipico o, in difetto, abbia anche solo fornito: a) un aiuto materiale nella preparazione o nella esecuzione del reato (c.d. concorso materiale), ovvero b) un semplice impulso psicologico in tale direzione, purché agevolatore o rafforzato re del proposito criminoso altrui (c.d. concorso morale). In linea generale, infatti, il singolo contributo assume rilevanza nel diritto penale, in base al paradigma di cui all'art. 110 cod. pen., sia quando abbia rivestito efficacia causale diretta, costituendo condicio sine qua non della realizzazione del fatto, sia quando si sia limitato ad incrementare le relative chances, facilitandone la consumazione ed aumentandone le possibilità (Sez. 1, n. 11912 del 2019, cit., Rv. 275322-03; Sez. 1, n. 3759 del 07/11/2013, dep. 2014, Chiacchieretta, Rv. 258601-01); sempre che, rispetto alla devastazione, sia dimostrabile la consapevolezza dell'agente di contribuire - anche in chiave di rafforzamento - al fenomeno distruttivo complessivamente inteso, comprendente la messa in pericolo del bene protetto dell'ordine pubblico (Sez. 1, n. 45646 del 05/06/2015, Gentile, Rv. 265277-01). 10.1 In particolare se è vero che la norma incriminatrice è impostata in termini monosoggettivi e che ciò porta a ritenere il delitto 'realizzabile' - con pluralità di atti - anche dal singolo individuo, è anche vero che le particolari caratteristiche dell'evento (specie per come affermatesi nella evoluzione giurisprudenziale) portano di fatto a considerare frequente una connotazione 'tendenzialmente più risoggettivà del reato. Ciò comporta una prima ed immediata ricaduta logica, nel senso che l'interprete si trova di fronte - specie in termini ricostruttivi - non già ad una azione monosoggettivà (tale da realizzare di per sé l'intero evento) in cui risulti identificabile una singola condotta tipica, cui accedono comuni condotte concorsuali, quanto ad una azione collettiva, il che impone di rintracciare il fondamento della punibilità dei singoli agenti non già attraverso il paradigma della mera agevolazione fattuale dell'altrui azione lesiva, quanto nella esistenza di un preciso indicatore di "partecipazione consapevole" ad una azione collettiva, sostenuta dalla conoscenza e previa rappresentazione dell'agire altrui. In effetti, come è stato sostenuto da Sez. VI (n. 37367 del 6.5.2014), nella pratica l'evento tipico della fattispecie si determina per il cumulo di singoli comportamenti, che sono tenuti materialmente da persone diverse. Detti comportamenti assumono la rilevanza tipica della devastazione solo grazie alla relazione tra loro intercorrente. Ora, ciò comporta la necessità di identificare la necessaria consapevolezza soggettiva di "prendere parte" (ancor più che di concorrere ex art. 110) ad una azione qualificabile nel senso della 'devastazionÈ, commessa dai plurimi soggetti agenti nel loro complesso. Non si tratta, soltanto, di un particolare orientamento del dolo ma di una qualificazione dell'azione, che in tanto può definirsi in termini di partecipazione alla devastazione in quanto risulti frutto di un consapevole suo inserimento in una serie causale più ampia e tesa al raggiungimento dell'effetto. In altri termini, non è la semplice "sommatoria" di più condotte di danneggiamento, commesse da soggetti diversi (e sia pure in un contesto spaziale e temporale ravvicinato), a poter integrare il delitto di devastazione, quanto la presa d'atto del perseguimento di una finalità unitaria, mossa dalla consapevolezza del ruolo svolto dagli altri e dalla volontà di agire in comune. 11. Nella cornice legale, risultante dall'esegesi che precede, deve essere ora calato lo scrutinio delle censure avanzate negli atti di impugnazione rivolti a questa Corte. Va immediatamente detto che sul piano dell'ampiezza del fenomeno distruttivo gli atti di ricorso sono infondati. Ciò alla luce dei principi di diritto indicati al precedente par. 8 e della congrua motivazione resa al riguardo dalla sentenza impugnata, che ha posto correttamente l'accento sull'ampiezza del vandalismo, in termini di esiti non solo quantitativi (è stata comunque messa a soqquadro la sede del principale sindacato italiano), ma anche qualitativi, essendo andato distrutto - al riguardo non si registrano obiezioni - un patrimonio informativo archivistico, conservato su memoria digitale, difficilmente recuperabile. Al di là, dunque, delle connotazioni spazio-temporali delle condotte (la cui potenzialità offensiva non si è proiettata all'interno soltanto dell'immobile, né è rimasta confinata al relativo tempo di occupazione, avendo le distruzioni interessato anzitutto gli infissi dello stabile ed essendo principiate anteriormente all'ingresso in esso), e quali che siano stati gli strumenti materiali di aggressione, l'obiettiva portata dei danneggiamenti è stata compiutamente rilevata dalla Corte di appello. Essa non risulta, in radice, incoerente con il paradigma normativo prefigurato. 12. Anche in rapporto alla ricostruzione degli apporti causali resi dal Sa.An., Pa.Mi. e To.Cl., le censure sono infondate. La sentenza impugnata opera una rivisitazione del materiale istruttorio che appare adeguata alle esigenze argomentative del caso. Occorre tenere presente che, allorquando i giudici del gravame, esaminando le doglianze proposte da parte appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice, e recependo sostanzialmente i passaggi logico-giuridici della prima decisione, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi probatori che la sorreggono, la nuova sentenza si salda con la precedente, così da formare un convergente corpo motivazionale, assoggettabile nel suo insieme al vaglio di legittimità (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181-01). Le due decisioni di primo grado hanno infatti ben argomentato circa il fatto che tutti e tre gli odierni ricorrenti non si sono limitati a partecipare alla manifestazione - nella parte di libera e lecita manifestazione di un orientamento ideale - ma hanno prima assunto un atteggiamento aggressivo nei confronti delle forze dell'ordine (lì dove si conteneva l'andamento della manifestazione verso la sede sindacale) e poi hanno varcato la soglia della sindacale, contribuendo attivamente alle condotte distruttrici. Non è in discussione, dunque, né la identificazione soggettiva né l'esistenza -ben visibile - di un finalismo comune nel cui ambito si sono inserite le condotte individuali di Sa.An., Pa.Mi. e To.Cl., restando - per le ragioni esposte successivamente - aperto il solo tema della esatta qualificazione giuridica in rapporto alla identificazione, in concreto, della lesività o meno per l'ordine pubblico. In tale ambito è certamente priva di rilievo dirimente la circostanza che, in corso di manifestazione, possa esserne stata autorizzata la trasformazione in vista di un suo svolgimento in forma dinamica, comprendente la possibilità del corteo di avvicinarsi alla sede della C.G.I.L. o di sfilare sotto di essa. Non si vede proprio come tale dato, quand'anche male interpretato dalla sentenza impugnata (il che non è peraltro affatto evidente), possa realmente influire, fosse anche solo dal lato dell'elemento psicologico, sulla valutazione dei comportamenti di coloro che hanno forzato il cordone di polizia posto a delimitazione del corteo, ovvero hanno sfogato la loro furia distruttrice sullo stabile che quella sede ospita. 14. Essendo priva di rilievo dirimente (come testé rilevato) la circostanza che, in corso di manifestazione, possa esserne stata autorizzata la trasformazione in vista di un suo svolgimento in forma dinamica, è infondato il secondo motivo del ricorso Sa.An. (e To.Cl.) che si duole del mancato approfondimento istruttorio al riguardo. 15. Le censure relative alla identificazione del bene giuridico protetto - con tutto ciò che ne deriva in termini di rispetto del principio di tassatività e di ampiezza del dolo di ciascun ricorrente - sono invece fondate, nei termini di seguito precisati. 15.1. Si è già detto della natura di pericolo del reato in esame, integrato da fatti distruttivi di imponenza tale da minare il buon assetto e il regolare andamento del vivere civile e il corrispondente affidamento che vi ripongono i consociati. La devastazione non si risolve in un esteso danneggiamento (si tradurrebbe, altrimenti, in un reato di danno), ma postula che le relative condotte producano il ridetto effetto di turbativa dell'ordine pubblico. Trattasi di effetto che, secondo quanto già osservato, attiene (sia pure in via interpretativa, in funzione restrittiva dell'ambito dell'incriminazione) al piano della tipicità. Per ritenere il fatto conforme al tipo, è necessario che il giudice di merito motivi adeguatamente non solo sulla vastità, ampiezza e profondità delle distruzioni, ma ne evidenzi l'idoneità offensiva rispetto al bene dell'ordine pubblico, muovendo evidentemente dalla corretta identificazione di quest'ultimo, pena la falsa applicazione dell'art. 419 cod. pen. 15.2. La sentenza impugnata ha errato in una tale identificazione, per le ragioni esposte al par. 5. Essa non è incorsa soltanto in un'eccedenza definitoria, come sostenuto dal Procuratore generale requirente a sostegno della ritenuta ininfluenza della circostanza, ma nel vero e proprio snaturamento dell'oggetto giuridico della tutela, che l'ha indotta a confondere le nozioni privatistiche e pubblicistiche dell'istituto, nonché a far coincidere l'ordine pubblico in senso penalistico con l'ordine economico e sociale, a sua volta collegato alla libera esplicazione dell'azione sindacale. Da tale errata operazione ermeneutica sono derivate due conseguenze, che ridondano in altrettanti vizi specifici della decisione. 15.2.1. Anzitutto, con singolare inversione metodologica, la Corte di appello ha preso le mosse dall'impropria nozione di ordine pubblico (anche penalisticamente rilevante) da essa elaborata per stabilire, solo e direttamente sulla base di un tale confronto, la rilevanza penale di comportamenti rispetto ad una fattispecie incriminatrice, quale l'art. 419 cod. pen., senz'altro pensata e delineata a protezione di quel bene giuridico, ma comunque ritagliata su un ambito specifico è delimitato di sua tutela, anche in omaggio al principio di necessaria frammentarietà del diritto penale. Ciascuna fattispecie incriminatrice è dettata per prevenire e reprimere predeterminate modalità di aggressione al bene tutelato e possiede quindi una tassativa formulazione, su cui nel tempo si consolida generalmente una data interpretazione, come è anche accaduto per il reato in esame. È a questa formulazione, e a questa interpretazione, che il giudice, per ragioni di legalità penale, deve necessariamente riportarsi, senza poter trasformare il bene giuridico, che la norma incriminatrice tutela e a cui dà fondamento e conformazione, in un meccanismo indebitamente estensivo dei confini della punibilità. 15.2.2. L'enfatizzazione del concetto di bene giuridico, ben oltre l'ambito proprio del diritto penale, ha poi impedito alla Corte di appello di mettere correttamente a fuoco il punto giuridicamente nodale, interessato da plurime contestazioni difensive, consistente nel ricostruire il corretto nesso di derivazione eziologica che deve intercorrere tra l'entità delle distruzioni e la compromissione dell'ordine pubblico in senso penalistico. I danneggiamenti plurimi trasmodano in devastazione, se la loro estensione e profondità raggiungono un adeguato livello di compromissione, avendo indotto nella popolazione allarme, sensazione di pericolo, sentimento di insicurezza. Occorreva allora stabilire se l'assalto vandalico al palazzo della C.G.I.L. avesse prodotto un tale effetto, non già per il luogo violato in sé e per sé, o per le insite finalità di condizionamento della dirigenza sindacale (come sembra ritenere la sentenza impugnata), quanto per le modalità dell'assalto stesso in rapporto alla sua intensità oggettiva e soggettiva e, di risulta, per la visibile e inevitabile percezione che ne potesse essere derivata in capo alla collettività, anche in dipendenza di eventuali ed ulteriori incidenti caratteristiche (simbolicità dell'obiettivo, natura proditoria dell'azione, sfondo ideologico, etc.) La tipicità della condotta, alla stregua dell'art. 419 cod. pen., passa -ineludibilmente - per un accertamento siffatto, indebitamente omesso dalla sentenza impugnata. L'obiettivo preso di mira poteva (e potrà, in sede di rinnovata valutazione) giocare indubbiamente un ruolo importante nel delicato apprezzamento giudiziale. Il fatto che nell'accaduto sia stata direttamente coinvolta, con amplificazione mediatica ampiamente prevedibile, la sede del più importante sindacato italiano, rilevante protagonista della dialettica politico-istituzionale del Paese, non è certo né neutro né indifferente ai fini del giudizio in discorso. Quest'ultimo, tuttavia, andrà pur sempre orientato a misurare, nel contesto dato, la capacità delle condotte di aggressione di turbare la pace sociale e il senso di sicurezza collettivo. 16. Restano assorbiti ma non preclusi i temi relativi al trattamento sanzionatorio e il punto rappresentato dalla questione di legittimità costituzionale sulla cornice edittale del reato di devastazione (ricorso Sa.An.). Va pertanto disposto l'annullamento con rinvio della decisione impugnata, come da dispositivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Così deciso il 24 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 2 agosto 2024.
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