RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 febbraio 2021, la Corte d'appello di Milano, decidendo il gravame proposto da M.G.C., ha confermato la condanna del medesimo ad un aumento di pena di mesi quattro di reclusione sulla pena inflitta con altra sentenza, passata in giudicato, di applicazione pena per il reato di bancarotta fraudolenta. Nel presente giudizio l'imputato è stato ritenuto responsabile del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter per aver omesso il versamento dell'IVA per un importo di non molto inferiore a sei milioni di Euro, nell'anno d'imposta 2013, dovuto dalla società di cui era legale rappresentante, successivamente dichiarata fallita. Proprio in relazione a detta società era intervenuta la sentenza di patteggiamento, passata in giudicato, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell'art. 15 c.p. ed il vizio di motivazione per essere stato ritenuto il concorso di reati tra l'omesso versamento dell'IVA e la bancarotta fraudolenta L.Fall., ex art. 223, comma 2, n. 2, rispetto alla quale l'imputato aveva patteggiato la pena per aver cagionato il fallimento della società per effetto di operazioni dolose consistenti della sistematica omissione del versamento dell'IVA. Il ricorrente argomenta che tra quei reati sussiste un rapporto di specialità reciproca che deve condurre, ex art. 15 c.p., anche in forza del principio dell'assorbimento, all'applicazione della sola disposizione che prevede il reato più grave, ovvero quello fallimentare.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si lamentano inosservanza dell'art. 649 c.p.p. e vizio di motivazione per essere stata esclusa la violazione del ne bis in idem processuale. Per quanto osservato nel primo motivo, nel procedimento concluso con la sentenza di patteggiamento l'imputato era stato giudicato per il medesimo fatto storico poi successivamente contestato nel presente processo, vale a dire l'omesso versamento dell'IVA anche nell'anno 2013, in quel giudizio qualificato come operazione dolosa che aveva cagionato il fallimento della società. Pur potendosi già in allora contestare anche il reato fiscale, ciò non era stato fatto, evidentemente ritenendosene l'assorbimento nei fatti di bancarotta.
4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta il vizio di motivazione con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato con la tautologica affermazione che non si rilevavano ragioni di particolare meritevolezza e trascurando di considerare che per il reato di bancarotta dette circostanze erano state concesse in regime di equivalenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché afferente a violazione di legge non dedotta con il gravame di merito e, in ogni caso, per genericità e manifesta infondatezza.
1.1. Quanto alla preclusione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3, ult. parte, deve osservarsi che, stando a quanto affermato nella sentenza impugnata - che tra i motivi di gravame enuncia, per quanto qui rileva, soltanto la richiesta di declaratoria d'improcedibilità dell'azione penale ex art. 649 c.p.p. e non anche la violazione del principio di specialità, o di assorbimento, codificato nell'art. 15 c.p., - il primo motivo di ricorso riguarda una violazione di legge, con connesso vizio di motivazione, non dedotta con l'impugnazione di merito.
Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l'atto d'appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie ciò non è stato fatto e per ciò solo il ricorso sarebbe inammissibile per genericità.
Deve aggiungersi che l'esame dell'atto d'appello ha consentito al Collegio di verificare che la doglianza sulla violazione dell'art. 15 c.p., non era stata effettivamente proposta.
1.2. Il motivo, peraltro, è generico, perché - contrariamente a quanto si allega in ricorso - la sentenza non affronta in alcun modo (proprio perché non fatto oggetto di gravame) il tema dell'eventuale rapporto di specialità tra fattispecie, limitandosi a rispondere alla doglianza sull'identità del fatto posta a base della dedotta violazione dell'art. 649 c.p.p..
1.3. Il motivo, da ultimo, è anche manifestamente infondato, poiché tra le evocate fattispecie di reato non sussiste alcun rapporto di specialità, dovendo mutatis mutandis - farsi applicazione dei condivisibili principi che in altre analoghe occasioni hanno condotto questa Corte ad affermare il concorso tra i reati che offendono gli interessi del Fisco e quello di bancarotta impropria mediante operazioni dolose previsto dalla L.Fall., art. 223, comma 2, n. 2 (cfr. Sez. 5, n. 6350 del 08/01/2021, Caruso, Rv. 280456, che ha ritenuto configurabile il concorso tra il delitto fallimentare e quello di indebita compensazione di credito d'imposta, previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater; Sez. 5, n. 43976 del 14/07/2017, Marra e a., Rv. 271612, relativa al concorso con il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2). Per un verso, infatti, le disposizioni incriminatrici che in tali casi vengono in rilievo non regolano la stessa materia e tutelano beni giuridici del tutto differenti (gli interessi del Fisco, in un caso, quelli dei creditori, nell'altro); per altro verso, il principio di specialità previsto dall'art. 15 c.p., si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla e a., Rv. 269668) e degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano e aa., Rv. 248864) e le parziali interferenze fattuali sussistenti tra le diverse condotte punite dalle disposizioni incriminatrici non consentono in alcun modo di configurare un concorso apparente. Il delitto tributario, infatti, prevede una condotta omissiva che deve determinare l'evento di evasione fiscale in misura superiore alla soglia di punibilità, mentre il reato di bancarotta fraudolenta societaria impropria qui in esame postula una condotta dolosa di qualsiasi natura, non necessariamente costituente reato, che deve invece portare al dissesto di un'impresa condotta in forma societaria ed alla dichiarazione di fallimento della società.
2. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.
Diversamente dal criterio applicabile quando si tratti di valutare la sussistenza di un concorso apparente di norme ai fini dell'applicazione del principio di specialità, con riguardo alla previsione di cui all'art. 649 c.p.p. l'indagine circa l'identità del fatto che fonda la preclusione processuale deve essere compiuta in relazione al concreto oggetto del giudicato e della nuova contestazione, senza confrontare gli elementi delle fattispecie astratte di reato (Sez. 2, n. 1144 del 06/12/2018, dep. 2019, Delle Vergini, Rv. 275068; Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti e a., Rv. 268502). Il principio del ne bis in idem codificato nella richiamata disposizione, tuttavia, non impedisce di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda criminosa essere considerata alla luce di tutte le sue implicazioni penali (Sez. 2, n. 28048 del 08/04/2021, Giorgadze, Rv. 281799; Sez. 2, n. 51127 del 28/11/2013, Ayachi e a., Rv. 258222). A seguito della declaratoria d'illegittimità costituzionale pronunciata con sent. Corte Cost. n. 200 del 21/07/2016, l'art. 649 c.p.p., non esclude che il medesimo fatto sussista anche quando sia ravvisabile il concorso formale tra il reato già giudicato e quello per cui viene iniziato un nuovo procedimento penale, ma anche in tali casi la preclusione processuale opera solo quando possa affermarsi l'identità del fatto storico, inteso sulla base della triade condotta-nesso causale-evento (Sez. 4, n. 54986 del 24/10/2017, Montagna, Rv. 271717). In particolare, la consolidata giurisprudenza di questa Corte reputa che ricorra il bis in idem processuale per identità del fatto quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati e a., Rv. 231799), non essendo sufficiente la sola identità della condotta o di parte di essa, laddove la medesima condotta violi contemporaneamente più disposizioni incriminatrici (Sez. 3, n. 30034 del 16/03/2021, Callegher).
In applicazione di tali consolidati principi questa Corte ha già affermato, in caso sostanzialmente identico a quello qui in esame, che non v'e' violazione del principio del ne bis in idem processuale, per insussistenza di un rapporto di identità del fatto, nel caso di bancarotta fraudolenta impropria e di omesso versamento di IVA di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter (Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pigozzi, Rv. 273220). La sentenza impugnata, richiamando espressamente il precedente da ultimo citato, ha dunque fatto buon governo della disciplina normativa che regola la materia e in ricorso ci si limita a contestare la conclusione senza confrontarsi con il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra brevemente riepilogato e condiviso dal Collegio.
3. Quanto al terzo motivo, lo stesso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
3.1. Posto che l'incesuratezza non è motivo bastevole per la concessione delle circostanze attenuanti generiche - in ossequio alla previsione di cui all'art. 62 bis c.p., comma 3, - la Corte territoriale ha peraltro osservato che, al di là della menzionata condanna per bancarotta fraudolenta, l'odierno ricorrente è già stato condannato per analoga violazione e per simulazione di reato e che non si rilevano ragioni di particolare meritevolezza per l'accoglimento della richiesta.
Il ricorrente non si confronta con tale specifica motivazione, né allega e dimostra un travisamento probatorio, limitandosi a sostenere che la sentenza in materia di bancarotta costituirebbe l'unico precedente, senza peraltro segnalare positivi elementi di valutazione che siano stati trascurati.
3.2. La Corte territoriale, dunque, ha assunto la propria decisione con motivazione non censurabile in questa sede, giusta il consolidato principio secondo il quale, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Del resto, premesso che in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell'adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315), quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460).
4. Il ricorso, complessivamente infondato, deve dunque essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2022