RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell'odierna ricorrente A.S.A., con sentenza del 1.7.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, emessa in data 9.4.2013, riduceva la pena inflitta a mesi 2 e giorni 20 di reclusione, confermando nel resto.
Il Tribunale di Milano all'esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato l'imputata responsabile del reato previsto e punito dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, perchè, quale legale rappresentante della srl NDS, non versava entro il 29.12.2008 l'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno 2007 per l'ammontare complessivo di Euro 103.645,00, condannandola, riconosciute le attenuanti generiche, con la concessione dei doppi benefici di legge alla pena di mesi 4 di reclusione.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, A.S.A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
- Art. 606 c.p.p., lett. b): inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale. Art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato.
La ricorrente deduce la carenza dell'elemento soggettivo del reato in capo all'imputata quale l'effettiva volontà di non corrispondere l'IVA dovuta.
Tale carenza avrebbe formato specifico motivo di appello.
Sul punto la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione, tenuto conto che l'imputata era amministratrice della citata Società solo dal 5/12/08, (23 giorni prima della data prevista per il pagamento della imposta). Non sarebbe sussistita, pertanto, in capo all'imputata la volontà di omettere il versamento IVA. La Corte d'appello avrebbe dovuto assolvere l'imputata dal reato a lei ascritto per difetto dell'elemento soggettivo del reato.
Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati, assolutamente generici, sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità l'impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca, come nel caso che ci occupa, ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità. (cfr. sul punto sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945; sez. 1, n. 4521 del 20.1.2005, Orrù, rv. 230751).
In una più recente pronuncia è stato poi ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (così sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, rv. 253849).
A ciò va aggiunto, secondo il recente dictum di questa Corte (sez. 2, n. 31811 dell'8.5.2012, Sardo ed altro, rv. 254328 che richiama i precedenti costituiti da sez. 6, n. 32227 del 16.7.2007, T. e sez. 6, n. 800 del 6.12.2011 dep. il 12.1.2012, Bidognetti ed altri) che il Collegio condivide e che qui intende ribadire che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi di legittimità del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa.
Non si possono, in altri termini, indicare, alla rinfusa, come nel caso che ci occupa, tutti i possibili vizi di legittimità (qui, in aggiunta al caso suvvisto si aggiunge, in via cumulativa, anche la violazione di legge) senza specificare la violazione o il punto della motivazione attinto da vizio.
3. Va rilevato che, in relazione alla presente decisione nessuna influenza assume la recente sentenza della Corte Costituzionale dell' 8.4.2014 n. 80 - in GU la Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 17 del 16-4-2014 e quindi produttiva di effetti dal 17.4.2014- con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38.
Nel caso che ci occupa, infatti, l'imposta non versata era al di sopra di tale soglia, essendo pari ad Euro 103.645,00.
Nella sentenza impugnata, con motivazione logica e congrua, si confuta la doglianza oggi riproposta dalla A., che già in quella sede aveva dedotto di avere assunto la carica di amministratrice della società 24 giorni prima del termine ultimo per il versamento dell'IVA relativa all'anno 2007, senza che il precedente amministratore le avesse messo a disposizione la provvista necessaria per il pagamento della imposta, si sarebbe trovata nella impossibilità di rispettare il precetto penale.
La Corte territoriale ha risposto che l'assunto è generico e privo di riscontro probatorio per quanto attiene alla mancata disponibilità della somma occorrente al pagamento. Ed effettivamente tale è.
4. La sentenza impugnata fa peraltro buon governo del costante dictum di questa Corte Suprema secondo cui ai fini della sussistenza del reato in esame non è necessario il dolo specifico, ovvero la volontà di evasione fiscale, ma basta il solo dolo generico.
Ciò che rileva è la consapevolezza dell'imputato di non operare un versamento che sappia essere dovuto.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato, all'esito di un'approfondita disamina della normativa tributaria in materia, proprio in tema di elemento soggettivo, che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico (Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758).
Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter.
Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà del mancato versamento all'Erario. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.
Le Sezioni Unite - va ricordato - scrivono, anche, nella citata sentenza 37424/13: "Non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede dì prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta".
5. Questa Corte Suprema ha peraltro costantemente affermato in materia di responsabilità dell'amministratore (cfr. in particolare le sentenze 38687/2014 e 39437/2014) secondo cui colui che assume la carica di liquidatore al pari di chi assume quella di amministratore, si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.
Nelle società di capitali, come nel caso di specie, la responsabilità per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è attribuita all'amministratore (individuato secondo i criteri ex art. 2380 e ss., artt. 2455 e 2475 c.c.), ovvero a coloro che rappresentano e gestiscono l'ente.
Costoro, in quanto tali, sono tenuti a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l'ordinamento tributario (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. c) ed e), adempiendo agli obblighi conseguenti.
Alla medesima disciplina soggiace il liquidatore ex artt. 2276 e 2489 c.c., nominato in caso di scioglimento della società, passibile della responsabilità per i delitti previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in virtù della espressa previsione dell'art. 1, comma 1, lett. c), del decreto in combinazione con le norme che ne definiscono poteri e responsabilità.
Ebbene, come si anticipava, questa Corte di legittimità ha reiteratamente affermato la responsabilità per i reati tributari connessi alla carica sia in relazione alla figura dell'amministratore di società (sez. 3, n. 3636 del 9.10.2013 dep. il 27.1.2014, Stocco, rv. 259092) che del liquidatore che subentri ad altri nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento (sez. 3, n. 39687 del 4.6.2014, Decataldo, rv. 260390).
In quelle pronunce si è precisato e va qui ribadito che, sotto il profilo soggettivo, versa quantomeno in una situazione di dolo eventuale, e non in mera colpa, il soggetto che, subentrando ad altri dopo la dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, abbia assunto la carica di liquidatore, senza aver compiuto il previo controllo, di natura puramente documentale, sugli ultimi adempimenti fiscali.
Tutti i casi esaminati da questa Corte di legittimità si riferiscono proprio ad omessi versamenti a fronte di dichiarazioni operate dal precedente amministratore. In quei casi, come in questo, non si verteva, cioè, in materia di debito verso l'Erario particolarmente remoto, occulto o di difficile accertamento poichè si trattava dell'IVA dovuta sulla base dell'ultima dichiarazione e quindi era sufficiente, prima di assumere la carica di amministratore o di liquidatore, di chiedere in visione la dichiarazione e l'attestato di versamento all'erario dell'IVA a debito per adempire nel termine stabilito al pagamento dell'obbligazione tributaria.
Va pertanto ribadito che l'assunzione della carica di amministratore o di liquidatore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, è evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.
Il nuovo amministratore o il liquidatore, in altri termini, deve chiedere di visionare la documentazione fiscale - e nel caso che ci occupa non pare che potesse essere stato difficile alla A., anche considerato che il precedente amministratore era il fratello - e ci sono verifiche assai semplici e coincidenti con i minimi riscontri d'obbligo che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica in difetto delle quali egli accetta il rischio che ci possa essere qualcosa che non va di cui è chiamato a rispondere anche penalmente.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2015