RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza del 24 ottobre 2014, la Corte d'appello di Milano ha confermato, quanto alla responsabilità penale, la sentenza del Tribunale di Milano del 4 marzo 2013, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter perchè non aveva versato, entro il termine previsto per il pagamento dell'acconto Iva relativo al periodo d'imposta successivo, l'Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo di imposta 2007, per l'ammontare di Euro 112.124,00. La Corte d'appello, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014, ha diminuito la pena fino al minimo, a fronte di una nuova soglia di punibilità di Euro 103.291,38.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo: 1) la manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che la somma dovuta al momento del pagamento dell'acconto Iva per il periodo successivo era inferiore alla soglia di punibilità; 2) la manifesta illogicità della motivazione circa l'elemento soggettivo, perchè non si sarebbe tenuto conto delle difficoltà economiche dell'imputato; 3) la mancata considerazione dell'accordo di rateizzazione tra l'imputato ed Equitalia, stipulato prima dell'emissione del decreto penale di condanna.
La difesa ha depositato in cancelleria una memoria contenente motivi nuovi, con cui si chiede l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 16 marzo 2015, con conseguente annullamento della sentenza impugnata. Si sostiene, in particolare, che sarebbero rilevanti a tal fine l'entità dell'importo non pagato, di poco superiore alla soglia di punibilità, e il piano di rateizzazione concordato con Equitalia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. - Il ricorso è inammissibile, perchè basato su doglianze formulate in modo non specifico.
3.1. - Il ricorrente, infatti, non spiega le ragioni per cui la somma dovuta sarebbe inferiore alla soglia di punibilità, non richiamando a tale proposito gli atti di causa e non effettuando, neanche in via di mera ipotesi alternativa, alcun calcolo. Del resto, i suoi riferimenti all'avvenuto pagamento dell'acconto Iva per il periodo di imposta successivo (2008) non hanno alcuna rilevanza, perchè oggetto della contestazione non è l'omesso versamento di tale acconto, ma l'omesso versamento dell'imposta già calcolata dallo stesso imputato a titolo definitivo in relazione all'anno 2007. Del pari, la difesa neanche compiutamente prospetta elementi a supporto di una pretesa situazione di dissesto dell'imputato, tale da far venire meno l'elemento 7 soggettivo del reato. Quanto, infine, alla rateizzazione del debito, la stessa - anche a prescindere dalla genericità della documentazione prodotta con il ricorso a suo supporto, la quale fa riferimento a titoli di debito la cui corrispondenza con quelli per il quale qui si procede non è verificabile con certezza - è del tutto irrilevante, in mancanza della prospettazione dell'avvenuto pagamento, anche parziale, di quanto dovuto.
3.2. - Resta da esaminare la questione - sollevata con memoria pervenuta a questa Corte in data odierna - dell'applicabilità, nella fattispecie, della causa di non punibilità ora prevista dall'art. 131 bis cod. pen., introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015. La natura sostanziale dell'istituto di nuova introduzione implica la possibilità di applicare la nuova disposizione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, per la retroattività della legge più favorevole, secondo quanto stabilito dall'art. 2 c.p., comma 4. Può anche ritenersi che la questione della particolare tenuità del fatto sia proponibile anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall'art. 609 c.p.p., comma 2: si tratta, nel caso di specie, di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, non essendo ancora entrata in vigore la relativa disciplina. L'applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen. presuppone, tuttavia, valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinchè valuti se dichiarare il fatto non punibile. E la causa di non punibilità potrà ritenersi sussistente solo in presenza del duplice requisito della particolare tenuità dell'offesa della non abitualità del comportamento, dovendosi desumere la particolare tenuità dell'offesa dalle modalità della condotta e dall'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., ovvero: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa (sez. 3, 8 aprile 2015, n. 15449, rv. 263308; sez. 3, 22 aprile 2015, n. 21474, rv. 263693).
Nel caso di specie, la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., introdotta dal D.Lgs. n. 28 del 2015, risulta manifestamente insussistente, sia in forza di quanto sopra osservato circa la rateizzazione del debito tributario, sia in ragione dell'ammontare del debito stesso, di Euro 112.124,00, che supera di circa Euro 9000,00 la soglia di punibilità di Euro 103.291,38 fissata dalla disposizione incriminatrice con riferimento ai fatti commessi sino al (OMISSIS), a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014. Si tratta, dunque, di una fattispecie non particolarmente tenue sul piano oggettivo, anche in considerazione del fatto che il grado di offensività che da luogo a sanzione penale è già stato valutato dal legislatore - con il correttivo apportato dalla Corte costituzionale - nella determinazione della soglia di punibilità; cosicchè potrebbe essere ritenuta di particolare tenuità solo un'omissione di ammontare vicinissimo a tale soglia.
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2015