RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Milano confermava la decisione resa, all'esito del giudizio abbreviato, dal g.i.p. del Tribunale di Milano e appellata dall'imputato, che aveva condannato T.P. alla pena di giustizia, oltre alle pene accessorie di legge, in relazione al reato di cui all'art. 110 cod. pen., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, per non aver versato, nella sua qualità di liquidatore della Levi & Aspes srl in liquidazione, in concorso con il rappresentante legale della società, l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il 27 dicembre 2013 - termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo - per un ammontare complessivo di 440.774 relativamente al periodo di imposta 2012.
2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per carenza di elementi di prova sulla responsabilità del T.. Assume il ricorrente di aver iniziato il proprio incarico solo dal 8 gennaio 2014, non avendo in precedenza alcun potere in seno alla società, sicchè nessun rimprovero potrebbe essergli mosso in relazione a un adempimento il cui termine era scaduto prima di assumere la carica di liquidatore e di esercitare i relativi poteri.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 45 cod. pen. Assume il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe considerato lo stato di decozione della società, come risultante dal bilancio del 2013, ciò che avrebbe impedito il reperimento dei fondi necessari per il pagamento delle imposte, come peraltro già accertato dal Tribunale di Milano in altro procedimento conclusosi con sentenza assolutoria a carico del T..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perchè reitera le medesime doglianze dedotte nei due gradi del giudizio di merito e che sono state rigettate con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici, in relazione alla quale il ricorrente omette qualsivoglia confronto critico.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto opinato nel ricorso, l'imputato assunse la carica di liquidatore della società il 5 dicembre 2013, quindi prima della scadenza del temine per l'adempimento fiscale, mentre la data del 8 gennaio 2014 è quella in avvenne l'iscrizione della nomina alla camera di commercio, ciò che non riveste carattere costitutivo ma rileva unicamente come pubblicità dichiarativa opponibile a terzi.
I giudici di merito, pertanto, hanno fatto corretta applicazione del principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui risponde del reato di omesso versamento di IVA (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter), quanto meno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all'Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015 - dep. 18/08/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 38687 del 04/06/2014 - dep. 23/09/2014, Decataldo, Rv. 260390; Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013 - dep. 27/01/2014, Stocco, Rv. 259092).
Nel caso di specie, pertanto, non solo il T., nella sua qualità di liquidatore della società, era il soggetto tenuto all'adempimento dell'obbligazione tributaria, e, prima di accettare l'incarico, era suo preciso dovere compiere elementari verifiche che avrebbero consentito di appurare l'incombenza dell'obbligo tributario.
3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, che pecca di genericità.
Invero, va premesso che, in tema omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, l'inadempimento dell'obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 - dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263128, la quale ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità).
Questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione, che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che la crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. In altri termini, occorre la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, dep.29/10/2015, Rv. 265262).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi poc'anzi indicati, evidenziando, con motivazione immune da vizi logici, che la mera produzione del bilancio e della nota integrativa del 2013 non soddisfa l'indicato onere di allegazione, che, per contro, avrebbe dovuto riguardare, a titolo di esemplificativo, richieste di finanziamento, l'avvio di ingiunzioni giudiziarie nei confronti dei debitori o altre iniziative per fronteggiare l'asserita mancanza di liquidità.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2018