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Omicidio stradale: è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 589-bis, co. 7 c.p.

Omicidio stradale

Cassazione penale sez. IV, 02/04/2019, n.16609

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 589-bis, comma 7, c.p., per contrasto con l'art. 3 cost., nella parte in cui non prevede l'applicazione della relativa circostanza attenuante ai fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, trattandosi di norma frutto di una scelta di politica criminale volta a temperare il più rigoroso trattamento sanzionatorio della novella che ha introdotto le norme in tema di omicidio stradale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Milano, in data 28 settembre 2018, ha parzialmente riformato in punto di pena, confermandola nel resto, la sentenza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato D.V.A. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di omicidio colposo con violazione di norme sulla circolazione stradale, commesso in (OMISSIS). L'incidente per cui è processo si verificava all'altezza del chilometro (OMISSIS), in prossimità dello svincolo d'immissione per la Tangenziale Ovest: l'autovettura condotta dal D. (una Fiat Punto, procedendo a velocità elevata, tamponava violentemente la Renault Clio della vittima, M.C.F. (di anni 86): il quale, non avendo indossato la cintura di sicurezza, sbatteva il capo contro il parabrezza, procurandosi così lesioni gravissime che lo traevano a morte. All'imputato è stato addebitato di avere agito con imprudenza, negligenza e imperizia, nonchè di avere violato l'art. 141 C.d.S., commi 2 e 11, non avendo compiuto in sicurezza le manovre necessarie. 2. Avverso la prefata sentenza ricorre il D., articolando quattro motivi di lagnanza. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in punto di configurabilità del nesso causale tra la condotta dell'imputato e il decesso del M.: poichè in quel tratto di strada non era più consentita la svolta a destra verso la tangenziale ovest, il M. - che stava procedendo a una velocità stimata in 15 chilometri orari e costituiva intralcio alla circolazione - aveva rallentato per eseguire evidentemente una manovra non consentita; ed inoltre non indossava la cintura di sicurezza; perciò il complesso di tali condizioni fa ricadere interamente sulla vittima la responsabilità dell'accaduto, escludendo la riferibilità causale dell'accaduto al D.. 2.2. Con il secondo motivo il deducente lamenta violazione di legge con particolare riguardo alle violazioni al Codice della Strada a lui addebitate: quella di cui all'art. 141 C.d.S., che contiene una prescrizione generale in ordine alla regolazione della velocità del veicolo, e che la Corte di merito ha interpretato senza tenere conto del principio di affidamento e dei profili di responsabilità in capo alla vittima; e quella della distanza di sicurezza, di cui all'art. 149 C.d.S, ritenuta dalla Corte di merito e posta a carico del solo D. a fronte dell'improvviso rallentamento da parte del M.. Non può quindi parlarsi, secondo il ricorrente, di uno scostamento dell'imputato dalla condotta che era lecito attendersi dall'agente modello, pur a fronte del fatto che il D. tentò di frenare e di svoltare all'ultimo a sinistra per evitare l'impatto. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge in relazione al mancato rispetto del principio di retroattività della legge più favorevole al reo: invero, la pena prevista dall'art. 589-bis c.p., comma 1 per l'omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale è la stessa prevista all'epoca del fatto dall'art. 589 c.p., comma 2, ed inoltre la nuova disciplina contempla la possibilità di applicare l'attenuante a effetto speciale di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7 (in base alla quale la pena è diminuita fino alla metà quando l'evento non sia conseguenza esclusiva dell'azione o dell'omissione del colpevole); perciò, considerate le ulteriori attenuanti applicabili e la diminuente del rito, la normativa sopravvenuta può ritenersi più favorevole ed era quella che doveva pertanto essere applicata al caso di specie. 2.4. Con il quarto motivo il ricorrente eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 589-bis c.p., comma 7, nella parte in cui non prevede che l'attenuante ivi prevista non trova applicazione ai fatti commessi in epoca antecedente: deduce l'esponente che la questione è rilevante, in quanto l'applicazione dell'attenuante de qua determinerebbe un trattamento sanzionatorio più favorevole per il D.; e non è manifestamente infondata, attesa la continuità normativa tra il vecchio testo dell'art. 589 c.p., comma 2, e l'art. 589-bis c.p., affermata dalla giurisprudenza. 3. Con memoria pervenuta il 15 marzo 2019 il ricorrente invoca l'applicazione della legge penale più favorevole, indicata in quella sopravvenuta (art. 589-bis c.p.) anche in relazione alla recentissima declaratoria di illegittimità costituzionale del nuovo testo dell'art. 222 C.d.S., nella parte in cui prevede l'automatica revoca della patente di guida in caso di omicidio e lesioni stradali ex artt. 589-bis e 590-bis c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Pur considerando i profili di colpa concorrente nel comportamento del M. (il quale non indossava la cintura di sicurezza e viaggiava sicuramente a velocità molto ridotta), la Corte di merito ha ampiamente e correttamente chiarito che, attese le condizioni ottimali di visibilità, l'orario diurno, l'andamento rettilineo della strada, il fondo stradale asciutto e non sconnesso e l'andamento regolare del traffico, il D. ben avrebbe potuto e dovuto essere nelle condizioni di scorgere da lontano la Renault Clio ed evitare agevolmente l'impatto con la stessa, spostandosi eventualmente a sinistra. Egli procedeva a velocità che si attestava attorno al limite massimo consentito (100 kmh) pur percorrendo la corsia di destra, destinata al traffico più lento; per tale ragione, avendo tardivamente avvistato l'ostacolo rappresentato dalla Renault Clio che si trovava sulla sua traiettoria, non manteneva il controllo del veicolo da lui condotto, non essendo riuscito nè ad arrestarsi in tempo, nè a schivare l'ostacolo rappresentato dall'auto del M. (forse a causa dell'improvviso rallentamento di quest'ultima). Ciò posto, è ius receptum che, in tema di responsabilità da sinistri stradali, il giudizio sulla misura del concorso di colpa è incensurabile in sede di legittimità, essendo riservato al libero e discrezionale apprezzamento del giudice di merito, se adeguatamente motivato (Sez. 4, n. 4856 del 30/01/1991, Paita, Rv. 187056); ed è evidente che, per quanto detto, il percorso argomentativo seguito dalla Corte ambrosiana si sottrae a sindacato di legittimità, essendo caratterizzato da logicità e congruità in relazione alla portata non assorbente, nè interruttiva del nesso causale, attribuita alla condotta colposa del M.. 1.2. Manifestamente infondato è pure il secondo motivo di lagnanza. E' di intuitiva evidenza che il D., pur avendo tutta la possibilità di farlo, non riuscì a mantenere il controllo della sua vettura in modo da evitare l'impatto con l'auto del M., così violando l'art. 141 C.d.S.; del pari egli violò l'art. 149 C.d.S., essendosi venuto necessariamente a trovare a distanza inferiore a quella di sicurezza prima di andare a impattare con la Renault Clio della vittima. Al riguardo si rammenta che la ratio della disposizione di cui all'art. 149 C.d.S., relativa all'obbligo di mantenere le distanze di sicurezza, è quella di prevenire qualsiasi ostacolo o pericolo che risulti in qualsiasi modo ricollegabile (direttamente o indirettamente) alla circolazione del veicolo che precede, e non soltanto quella di prevenire la collisione tra veicoli accodati (Sez. 4, Sentenza n. 37973 del 17/05/2012, Fiorelli e altro, Rv. 254363). Orbene, quand'anche il M. avesse rallentato in modo improvviso la sua marcia, nondimeno assume rilievo il fatto, evidenziato dalla Corte di merito, che l'andatura dell'auto del D. era quella massima consentita pur viaggiando l'imputato sulla corsia di destra (destinata al traffico meno veloce) e pur avendo egli certamente avuto tutto il tempo di vedere che, davanti a lui, vi era la Renault Clio che occupava la stessa corsia di marcia. 1.3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso. Il trattamento sanzionatorio sopravvenuto non può considerarsi più mite di quello vigente all'epoca del fatto, pur avendosi riguardo all'attenuante di cui all'art. 589-bis c.p., comma 7: occorre infatti tenere presente che la cornice edittale in cui quest'ultima attenuante si colloca è riferita all'ipotesi autonoma di reato di cui all'art. 589-bis c.p., che, nella sua configurazione base, è punita con pena da due a sette anni di reclusione e che, in quanto ipotesi autonoma, è sottratta a giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.; il delitto di omicidio colposo ascritto all'imputato, in base alla normativa vigente all'epoca del fatto, è stato contestato in relazione alla fattispecie prevista dall'art. 589 c.p., comma 2 per il fatto commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale: fattispecie che all'epoca era bensì punita anch'essa con una pena compresa tra 2 e 7 anni (come nell'attuale art. 589-bis c.p., comma 1), ma costituiva un'aggravante del delitto di cui all'art. 589 c.p., comma 1 (punito nella sua ipotesi base con pena compresa fra 6 mesi e 5 anni di reclusione) e, come tale, era soggetta a giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti concorrenti. Oltre a ciò, si osserva che nella specie la pena è stata determinata, in misura tale da pervenire a un trattamento sanzionatorio sia pur di poco superiore al minimo edittale dell'ipotesi base (in relazione ai precedenti penali del ricorrente), previo riconoscimento delle attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, in regime di equivalenza con l'aggravante allora contestata: è di tutta evidenza che l'elisione di quest'ultima faceva parte di una valutazione che teneva conto del quadro edittale vigente all'epoca del fatto, e che non può rapportarsi all'attuale, diversa (e più grave) cornice edittale. Naturalmente, in relazione a quanto precede non riverbera alcun effetto il richiamo all'annunciata declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 222 C.d.S. (alla quale si richiama la memoria da ultimo depositata e che peraltro, alla data odierna, non è stata ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale), statuizione che comunque non incide sulla pena principale (che, per quanto detto, risulta oggi complessivamente più grave) ma solo sulla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in termini tali da assimilare - e non da rendere meno afflittive - le conseguenze al riguardo previste dalla predetta disposizione rispetto ai fatti precedenti. 2.4. Infine è manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 589-bis c.p., comma 7, nella parte in cui non ne prevede l'applicazione ai fatti antecedenti: l'eccezione, formulata in base al parametro costituzionale della parità di trattamento (art. 3 Cost.), non tiene conto del fatto che l'introduzione della circostanza attenuante ivi prevista è stata deliberata, nell'esercizio della potestà legislativa, all'evidente, precipuo scopo di temperare il più rigoroso trattamento sanzionatorio della novella legislativa, sia con riferimento all'ipotesi-base, sia con riguardo alle ipotesi aggravate di cui all'art. 589-bis c.p., comma 2 e ss., che hanno introdotto rilevanti inasprimenti di pena e per le quali, come noto, vale il divieto di bilanciamento con eventuali attenuanti concorrenti, ai sensi dell'art. 590-quater c.p.. In sostanza, quindi, la questione si risolve in una mera critica a scelte di politica criminale e deduce una violazione dei principi di eguaglianza che non è in alcun modo configurabile, avuto riguardo al quadro normativo affatto diverso nel quale la norma denunciata si colloca. 2. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 2 aprile 2019. Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2019
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