Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe, il G.U.P. del Tribunale di Napoli, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava l'imputata Ve. Ro. colpevole del reato di omicidio stradale ai danni di Ch. Sa., come descritto nella provvisoria imputazione.
La pronuncia di penale responsabilità si fonda su plurime evidenze acquisite agli atti del procedimento, costituiti da: rilievi ed accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria nell'immediatezza dei fatti; consulenza tecnica espletata dal pubblico ministero; dichiarazioni rese dalle persone informate dei fatti; documentazione sanitaria; esiti degli accertamenti medico-legali.
Il giudice di prime cure ha ritenuto valide le conclusioni del pubblico ministero trasfuse nell'imputazione e ha ricostruito i fatti nei seguenti termini.
Alle ore 00.50 circa del 12 aprile 2018, Ch. Sa. percorreva, alla guida del motociclo (omissis) targato (omissis), via (omissis), con direzione di marcia da via (omissis) verso via (omissis).
Giunto in prossimità del civico numero (omissis), in corrispondenza dell'esercizio commerciale (omissis), ubicato sulla destra rispetto alla direzione di provenienza, si accingeva a sorpassare altro motoveicolo che lo precedeva, rimasto non identificato, impegnando la corsia di sinistra.
In quell'istante, proveniente da tergo e percorrendo quindi la medesima corsia di marcia del motociclo (omissis), sopraggiungeva a velocità elevata, comunque, non commisurata alle condizioni di traffico e della strada, l'autovettura Fiat (omissis) targata (omissis), condotta da Ve. Ro., con a bordo la sorella Gi..
Raggiunto il motociclo condotto da Ch., la Ve. effettuava una manovra di sorpasso a sinistra tentando di passare con l'auto nello spazio che rimaneva tra il motociclo, che già impegnava la corsia di sorpasso, e il marciapiede di sinistra che delimita la carreggiata centrale di via (omissis); in sostanza, cercava di passare con l'auto in imo spazio insufficiente rispetto alle dimensioni del veicolo Fiat (omissis), calcolando male lo spazio e soprattutto guidando ad una velocità superiore a quella consentita in quel tratto di strada.
Durante il sorpasso la vettura dell'imputata urtava con la fiancata destra la parte sinistra del motoveicolo del Ch. il quale, seguito dell'impatto, perdeva il controllo del veicolo e cadeva caduto al suolo, scarrocciando con il motorino per circa 24 metri (misura indicata dal consulente sulla base dei rilievi della polizia stradale a partire dall'inizio delle tracce di scarroccio fino alla posizione statica del motociclo).
L'impatto interessava la fiancata destra della Fiat (omissis), ove venivano rinvenute trovate tracce gommose riconducibili alla parte terminale della manetta sinistra dell'(omissis) e la parte laterale sinistra del motociclo; il motociclo sbandava e scarrocciava, finendo la sua corsa a 24 metri dall'impatto; a fianco al motorino veniva rinvenuto il Ch. nella posizione indicata dal consulente e con le lesioni refertate all'ingresso in ospedale.
Il decesso del Ch. si verificava a causa del "politrauma della strada del 12 aprile 2018 in cui rimase coinvolto, produttivo di un grave trauma cranico commotivo con emorragia subaracnoidea e di un trauma toracico con fratture costali a sinistra" secondo le conclusioni della consulenza tecnica esperita all'esito dell'autopsia della vittima.
Alla luce dei rilievi effettuati dalla polizia giudiziaria e delle valutazioni espresse dal consulente tecnico del pubblico ministero, il giudice di prime cure ha, dunque, ritenuto sussistenti le violazioni alle norme del Codice della Strada contestate all'imputata e riconosciuto il nesso causale con le gravissime lesioni riportate dal Ch. e il successivo decesso.
Ha, di contro, escluso la condotta imprudente della vittima, recependo le osservazioni della consulente del pubblico ministero che ha evidenziato l'assenza di un ruolo attivo del Ch. nella determinazione dell'evento infortunistico.
Al riguardo la sentenza impugnata non trascura l'analisi ed il vaglio critico dei rilievi difensivi sull'omesso o non corretto uso del casco protettivo da parte del Ch., circostanza che consentirebbe di configurare un concorso di colpa nella causazione dell'evento mortale.
Sul punto evidenzia il primo giudice che il casco della vittima è stato rinvenuto sul luogo dell'incidente; che alcun elemento di prova è stato acquisito agli atti o accluso dalla difesa per affermare che il Ch. guidasse il motociclo senza indossare il casco; che la possibilità che il casco non fosse ben allacciato è frutto di una mera supposizione, dal momento che l'urto può aver catapultato il casco ad un'apprezzabile distanza dal corpo della vittima; inoltre, osserva, l'uso del casco protettivo non elide il rischio di riportare traumi cranici a seguito di un sinistro, soprattutto se esso si verifica ad un'elevata velocità quale quella accertata nel caso di specie.
Quanto al trattamento sanzionatorio, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche è motivata in ragione della giovane età dell'imputata e del corretto comportamento tenuto nell'immediatezza; si è, inoltre, tenuto conto in favore dell'imputata, del risarcimento del danno eseguito in favore dei congiunti della persona offesa.
Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputata, chiedendo, in via principale, l'assoluzione per non aver commesso il fatto e, in via subordinata, la concessione della circostanza attenuante di cui all'articolo 589 bis comma 7 c.p. nonché il contenimento della pena entro i limiti edittali minimi.
Ai sensi dell'articolo 581 comma 1, lett. b) c.p., chiede una rivalutazione di alcune prove acquisite nel giudizio di primo grado che la sentenza impugnata avrebbe, in taluni casi, erroneamente valutato (informative di polizia municipale intervenuta sul luogo del sinistro, consulenza medico legale a firma della dott.ssa Ma. Mo. sulla natura e causa delle lesioni che determinarono l'esito mortale), in altri, omesso di valutare (atti di PG relativi alla ricostruzione della dinamica del sinistro stradale).
In primis, il difensore prospetta una ricostruzione alternativa del fatto, secondo la quale, durante la manovra di sorpasso di altro ciclomotore (rimasto ignoto), il Ch. avrebbe repentinamente sterzato verso la sua sinistra, così impattando la fiancata dell'auto condotta dalla Ve..
Tale ricostruzione, ad avviso della parte, sarebbe stata esclusa sulla base della presunzione iniziale, superata dagli esiti negativi dei successivi accertamenti tossicologici, che, al momento dell'incidente stradale, la Ve. versasse in stato di alterazione psicofisica da pregressa assunzione di sostanze psicotrope.
Il dubbio sulla sussistenza della causalità della colpa, che tale ricostruzione alternativa ingenera, sarebbe, dunque, sufficiente per mandare assolta l'imputata.
La difesa censura, altresì, il costrutto logico posto a fondamento della esclusione dell'attenuante del concorso di colpa, per la quale, depongono, invece: il rinvenimento del casco della vittima a diversi metri di distanza dal corpo della vittima che giustifica il dubbio, espresso anche dai verbalizzanti intervenuti sul posto, circa il mancato o non corretto uso del casco protettivo da parte della vittima; la natura delle lesioni riportate dal motociclista accertate dalla consulente del pubblico ministero dott.ssa Ma. Mo., che, a pagina quattro del proprio elaborato, fa espresso riferimento ad una "tumefazione occipitoparietale" e a "fratture scomposte", elementi che lasciano ragionevolmente ritenere che l'impatto al suolo sia avvenuto in assenza di elementi protettivi; l'accordo intercorso tra Compagnia assicuratrice ed eredi della vittima sull'entità del risarcimento, da cui si evince il riconoscimento del concorso di colpa tra investitore ed investito; le dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti e in epoca successiva dall'imputata Ve. che ha reso un'alternativa ricostruzione del fatto ovvero che l'incidente stradale sia stato causato dallo stato di alterazione psico fisica della vittima; l'impossibilità di acquisire riscontri alla versione l'imputata a causa della rottura accidentale della provetta contenente i campioni biologici del Ch..
Tali elementi, ad avviso dell'impugnante, lasciano spazio a dubbi in ordine alla ricostruzione dell'evento mortale quale esclusiva conseguenza della condotta colposa della Ve. e alla esclusione della circostanza attenuante di cui all'articolo 589 bis comma 7 c.p..
Sul piano del trattamento sanzionatorio, la difesa censura l'individuazione della pena base in anni quattro e mesi sei di reclusione, ritenuta eccessiva e sproporzionata rispetto agli elementi positivi valorizzati dalla stessa sentenza, tra cui il corretto comportamento tenuto dall'imputata e il ristoro integrale del danno.
Evidenzia che il ridimensionamento della pena base consentirebbe all'imputata, già gravata da un precedente penale ancorché minimo, di fruire una seconda volta della sospensione condizionale della pena.
All'odierna udienza, sentite le parti, che hanno concluso come da verbale, la Corte ha riservato la decisione.
Motivi della decisione
Ad avviso della Corte l'appello dell'imputata è infondato e non può trovare accoglimento.
Deve premettersi che per la ricostruzione dei fatti la Corte fa espresso rinvio a quella operata dal primo Giudice che condivide pienamente in quanto aderente alle risultanze probatorie e immune da vizi logici cosicché, in questa sede, si approfondiranno esclusivamente le questioni in fatto e in diritto prospettate nelle censure difensive.
In punto di diritto, si osserva come, in tema di reati colposi, il principio di colpevolezza imponga una verifica complessa, su piani diversi, riguardanti l'accertamento in concreto della sussistenza della violazione della regola cautelare (generica o specifica), del nesso causale tra la condotta ascrivibile al c.d. garante e l'evento dannoso e della prevedibilità e evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mira a prevenire.
Correttamente, il G.U.P. ha ritenuto, sulla base della disamina, analitica e sistematica, delle risultanze investigative acquisite (costituite da: rilievi ed accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria nell'immediatezza dei fatti; consulenza tecnica espletata dal pubblico ministero; dichiarazioni rese dalle persone informate dei fatti; documentazione sanitaria; esiti degli accertamenti medico-legali), che il decesso di Ch. Sa. sia stato causato in via esclusiva dalla condotta colposa di guida della Ve., la quale per imprudenza e negligenza ed in violazione degli artt. 141,146 e 148 del codice della strada, effettuò ad una velocità di marcia pari a 53 km/h, superiore al limite di 30 km/h risultante dalla segnaletica stradale verticale e comunque non commisurata alle condizioni di traffico e della strada, una manovra di sorpasso di un veicolo già impegnato in manovra di sorpasso, impegnando la parte della carreggiata tra lo spartitraffico posto alla sua sinistra e il motoveicolo posto alla sua destra, senza calcolare che non vi era spazio sufficiente per il sorpasso, determinando con tale condotta colposa l'impatto tra la fiancata destra della propria vettura e il manubrio del motoveicolo, da cui derivava la rovinosa caduta del Ch., il gravissimo politrauma e, dopo un lungo ricovero ospedaliero, il decesso in data 26 giugno 2018.
Gli esiti degli esperiti accertamenti non pongono dubbi sulla sussistenza della sequenza causale instaurata dalle condotte, ascrivibili all'imputata, inosservanti degli artt. 141,146 e 148 del Codice della Strada, oltre che degli ordinari canoni di diligenza e prudenza nella conduzione dei veicoli, che hanno determinato l'impatto con il motociclo condotto dal Ch., la rovinosa caduta, il politrauma e, infine, il decesso.
E' pacifico, alla stregua degli esperiti accertamenti, che ove la Ve., nella guida dell'autovettura Fiat (omissis), avesse osservato le norme citate - ovvero se avesse tenuto una velocità moderata inferiore ai limiti di velocità indicati dalla segnaletica stradale verticale e, in tal modo potendo avvedersi del sorpasso in atto del motociclo condotto dal Ch., si fosse astenuta dal sorpassare a sua volta rendendosi conto dell'insufficiente spazio di manovra a sua disposizione - l'impatto tra la fiancata destra della vettura e il manicotto sinistro del manubrio del motociclo sarebbe stato scongiurato con elevato grado di credibilità razionale e non avrebbe avuto luogo l'evento lesivo con le modalità innanzi descritte.
Può affermarsi, pertanto, che il comportamento ascritto all'imputata abbia concretizzato il rischio che le specifiche regole sulla circolazione stradale violate sono tese a prevenire e a rendere evitabile.
Al riguardo, vai bene evidenziare che, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, nell'accertamento dell'elemento oggettivo del reato colposo, viene in rilievo la posizione di garanzia in capo all'agente e, dunque, il suo dovere di osservanza della regola cautelare; indi, l'individuazione, preventiva, della stessa regola cautelare e del suo atteggiarsi in relazione all'area di rischio considerata; infine, la sussistenza di un collegamento, non solo materiale tra condotta e evento, ma anche tra regola violata e evento verificatosi.
Nel settore della circolazione stradale l'utente della strada, che riveste una posizione di garanzia rispetto agli altri utenti e ai terzi, delineata dal compendio delle regole contenute nel codice strada, può far sì affidamento sull'altrui osservanza delle norme cautelari, ma tale principio trova un opportuno temperamento nell'opposto principio, secondo cui l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità.
Ebbene, nel caso in esame, non emerge dagli atti né è accluso dalla difesa alcun elemento dimostrativo dell'interferenza di decorsi causali alternativi atti ad escludere la sequenza sopra descritta.
A confutazione delle conclusioni del consulente del pubblico ministero, la difesa non ha prodotto alcuna prova di un fattore causale alternativo riconducibile ad un'eventuale condotta dolosa o colposa del Ch..
Il rilievo fotografico riportato nell'atto di appello, da cui si evince che il punto di impatto è da individuarsi nella parte posteriore della fiancata destra della vettura, non è sufficiente per ritenere provato un imprevedibile e non evitabile comportamento del Ch. avente incidenza causale nella determinazione dell'evento lesivo.
Di contro, si osserva come la condotta di guida pericolosa, l'elevata velocità dell'autovettura condotta dalla Ve., lo spazio insufficiente per l'esecuzione della manovra di sorpasso del motociclo (che già impegnava la carreggiata centrale), dovuto alla presenza dello spartitraffico posto alla sinistra dell'autovettura, elementi risultanti dagli esperiti accertamenti (cfr. in atti nota informativa ed allegati della Polizia Municipale dell'8 maggio 2018), non pongono dubbi sul fatto che, durante il passaggio, l'autovettura abbia "stretto" il motociclo determinandone lo sbandamento e l'urto del manubrio sulla fiancata posteriore destra.
Significativi in tal senso sono gli esiti degli accertamenti tecnici esperiti dal consulente del Pubblico Ministero Ing. Pa. Gr. descritti nella relazione a sua firma (cfr. in particolare, page/18/19; pagg. 31 e ss. e rilievi fotografici allegati), che riscontrano le dichiarazioni rese dal teste oculari Ia. En. in data 19 aprile 2018 che descrive la guida pericolosa della conducente della Fiat (omissis) e la manovra di sorpasso eseguita "utilizzando lo spazio tra lo spartitraffico centrale e il motociclo", mentre quest'ultimo viaggiava nella medesima corsia, occupandone la parte centrale. Riferisce il teste: "E' stato a questo punto che ho avuto modo di vedere che il (omissis) e lo scooter si urtavano tra loro con la fiancata destra della macchina e il lato sinistro della moto a seguito del quale il conducente dello scooter perdeva il controllo e rovinava per terra scivolando per alcuni metri…"
Riguardo all'evocata circostanza di cui all'art. 589 bis comma 7 c.p., la Corte reputa pienamente condivisibili le argomentazioni svolte dal giudice di prime in ordine all'insussistenza di presunte condotte colpose del Ch. nella causazione del politrauma da cui è derivata la morte.
Invero, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, è indubbio che il Ch. indossasse al momento dell'impatto il casco protettivo, rinvenuto sul luogo dell'incidente, come evincibile dai rilievi fotografici in atti. L'omesso uso del casco protettivo da parte della vittima non può essere ascritto a fonte di corresponsabilità della stessa, non essendo stato prodotto dalla difesa alcun riscontro obiettivo in tal senso.
La velocità di impatto dell'auto rende fortemente plausibile che il Ch. abbia perso il casco protettivo durante la rovinosa caduta sul suolo e lo scarrocciamento del motociclo, avvenuta per diversi metri, provocando le gravissime lesioni ("tumefazione occipitoparietale" e a "fratture scomposte") accertate dalla consulente dott.ssa Mo..
La circostanza, poi, che, in sede riparatoria, la Compagnia Assicuratrice e gli eredi della vittima abbiano concordato l'entità del danno risarcibile sulla base dei parametri tabellari utilizzati nei casi di riconoscimento del concorso di colpa non integra prova, penalmente rilevante, della sussistenza della circostanza attenuante.
Dunque, la tesi incentrata sulla esclusione di profili di colpa in capo alla Ve., al pari di quella sul concorso di colpa, si rivela meramente assertiva e priva di riscontri in atti.
Sul piano soggettivo, si osserva che le circostanze di tempo e di luogo in cui si è verificato il sinistro - ovvero l'orario notturno di percorrenza della strada, la peculiare conformazione di essa (trattandosi di una strada a tre carreggiate, di cui le laterali a senso unico di percorrenza con due corsie e quella centrale a doppio senso destinata ai mezzi pubblici e ai tram), le ridotte dimensioni della carreggiata impegnata dal motociclo in sorpasso, l'esistenza dello spartitraffico posto alla sinistra dell'autovettura - rendevano assolutamente prevedibile la verificazione di un evento lesivo conseguente all'inosservanza delle norme cautelari in concreto violate, ben potendo la Ve. tenere le condotte da esse prescritte in assenza di comprovate cause di esclusione dell'esigibilità delle stesse.
Infondato, infine, si reputa l'ultimo motivo di appello con cui la difesa invoca la riduzione della pena in ragione della giovane età dell'imputata, del comportamento tenuto sin dalle prime indagini, della risarcimento del danno accordato ai congiunti della vittima, della modesta rilevanza del precedente penale per il quale ella ha già beneficiato della sospensione condizionale della pena: elementi di cui il giudice di prime cure avrebbe dovuto tener conto ai fini della determinazione della pena base.
Ritiene la Corte che la pena irrogata dal primo giudice sia stata correttamente individuata considerato il comportamento altamente trasgressivo e sprezzante delle regole tenuto dall'imputata nella guida dell'auto e del completo spregio delle regole di sicurezza prescritte nel trasporto di terzi (si ricorda che la Ve. viaggiava in compagnia della sorella).
A tanto si aggiunga che il giudice di prime cure ha opportunamente valorizzato gli elementi dedotti dalla difesa riconoscendo all'imputata una riduzione di pena per le attenuanti generiche.
Sicché del tutto ininfluente è la circostanza che ella abbia già usufruito della sospensione condizionale della pena, non sussistendo le condizioni per l'applicazione ope legis del beneficio richiesto.
La sentenza va, pertanto, confermata in toto, con conseguente condanna dell'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Letto l'art. 605 c.p.p.,
conferma la sentenza n. 1660/2021 emessa dal G.U.P. del Tribunale di Napoli il 14 ottobre 2021, appellata da Ve. Ro., che condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Napoli, il 18 gennaio 2023.
Depositata in Udienza il 18 gennaio 2023