RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
1. B.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza emessa il 07/01/2019 con la quale la Corte di Appello di Napoli ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 497 bis c.p..
Deduce la violazione di legge in relazione all'art. 649 c.p.p., deducendo che il fatto contestato sia lo stesso già giudicato dal Tribunale di Trieste il 8.7.2012, e qualificato ai sensi dell'art. 642, comma 2, c.p..
2. Il ricorso è fondato.
La Corte di Appello ha dichiarato inammissibile l'appello proposto, ritenendo che il motivo fosse generico e che non ricorresse il medesimo fatto.
La motivazione, che richiama espressamente il principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2005 (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799: "Ai fini della preclusione connessa al principio "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona"), è tuttavia errata, non tenendo conto dell'evoluzione giurisprudenziale che ha investito il tema del bis in idem processuale.
Il principio del ne bis in idem sostanziale ed il principio del ne bis in idem processuale hanno confini ed ambiti applicativi (almeno parzialmente) diversi: il bis in idem sostanziale, infatti, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità (artt. 15 e 84 c.p.), fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona; il bis in idem processuale, invece, concerne non già il rapporto astratto tra norme penali, bensì il rapporto tra il fatto ed il giudizio, vietando l'esercizio di una nuova azione penale dopo la formazione del giudicato.
Al riguardo, va premesso che, con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale - che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale - ha ridefinito il principio del ne bis in idem processuale, recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio.
L'affrancamento dall'inquadramento giuridico (non, però, dai criteri normativi di individuazione) del fatto (Corte Cost., n. 200 del 2016, p.-4), cioè dall'idem legale, ha comportato la riaffermazione della "dimensione esclusivamente processuale" del divieto di bis in idem, che "preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (Corte Cost., n. 200 del.2016, p. 10).
La conseguenza della svolta interpretativa si e', dunque, registrata proprio nel punto di convergenza tra il bis in idem sostanziale e processuale (impropriamente) enucleato dal diritto vivente, che riteneva non applicabile l'art. 649 c.p.p., nonostante la medesimezza del fatto, ove il reato già giudicato fosse stato commesso in concorso formale con il reato oggetto della nuova iniziativa penale; secondo la Corte costituzionale, infatti, il diritto vivente, pur in presenza di un identico fatto storico oggetto di precedente giudizio, aveva "saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in idem" (Corte Cost., n. 200 del 2016, p. 10), sterilizzando la garanzia processuale in ragione della qualificazione normativa multipla consentita dal(l'inoperatività del) principio del bis in idem sostanziale.
Al contrario, proprio l'adesione ad una concezione storico-naturalistica del fatto (l'idem factum), ai fini della perimetrazione del divieto di bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p., implica l'ininfluenza del concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda (Corte Cost., n. 200 del 2016, p. 12).
Tanto premesso, ne consegue che l'estensione del bis in idem processuale è diversa, e più ampia, rispetto al bis in idem sostanziale, e, soprattutto, come pure affermato dalla più consapevole dottrina (secondo cui, efficacemente, il divieto di un secondo giUdizio "e' puro fenomeno giudiziario"), concerne rapporti diversi: l'art. 649 c.p.p., infatti, riguarda il rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio, e, nella sua dimensione storico-naturalistica, prescinde dalle eventualmente diverse qualificazioni giuridiche; il bis in idem sostanziale, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte, e prescinde dal raffronto con il fatto storico.
Se, dunque, ai fini della sussistenza del concorso formale tra il reato di cui all'art. 497 bis c.p., ed il reato di frode assicurativa (art. 642 c.p.), la verifica ermeneutica va condotta sulla base delle norme incriminatrici astratte, mediante applicazione del criterio di specialità (art. 15 c.p.), viceversa, ai fini del divieto di un secondo giudizio (art. 649 c.p.p.), la verifica deve prescindere da tali criteri strutturali, e dalla configurabilità di un astratto concorso formale di reati (contra, Sez. 5, n. 32367 del 29/11/2016, dep. 2017, Mannai, non massimata, e Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011, Romele, Rv. 250175), dovendo, al contrario, concentrarsi sul fatto storico concretamente oggetto della res iudicata e quello oggetto della res iudicanda.
In tal caso si apprezza plasticamente la diversa estensione del bis in idem sostanziale e processuale: pur in caso di concorso formale di reati - e dunque di non operatività del bis in idem sostanziale -, potrà venire in rilievo il divieto di un secondo
giudizio - il bis in idem processuale ove il fatto storico oggetto di giudicato sia il medesimo di quello oggetto della nuova iniziativa penale.
3. Tanto premesso, avendo la sentenza impugnata affermato un erroneo principio di diritto, dovrebbe essere annullata con rinvio per nuovo esame, per la valutazione in concreto sulla medesimezza del fatto storico (la produzione di un falso documento d'identità ai fini della frode assicurativa).
Tuttavia, risalendo il fatto al 16/09/2011, il termine massimo di prescrizione risulta decorso il 16/03/2019, in tal senso rendendo superfluo il rinvio.
Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020