RITENUTO IN FATTO
1. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Livorno ha tratto a giudizio F.E., in qualità di titolare della ditta individuale Tecnospurghi, per rispondere dei delitti:
- di cui agli artt. 110,353 comma 2, c.p., per aver, in concorso con S.R., pubblico ufficiale presso l'ufficio Protezione Civile del Comune di Livorno preposto ai pubblici incanti e alle licitazioni private, turbato la gara indetta dal Comune di Livorno - Settore Polizia Municipale, Protezione civile e sicurezza dei cittadini - dell'importo di Euro 34.000,00 denominata "Interventi per la gestione delle attività di Protezione civile nelle fasi ordinarie e di emergenza anno 2018", eseguita mediante la procedura di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 36, comma 2, e art. 125 in quanto lo S., dopo aver informato il F. della manifestazione di interessi della ditta individuale C. Costruzioni, avrebbe indotto il rappresentante di questa ditta a inviare una nota nella quale gli comunicava di non avere nella immediata disponibilità una macchina spargisale e simili, per poterla così escludere dalla procedura; il F. avvisato dallo S. di non aver concorrenti, acquisiva l'affidamento del servizio con un ribasso del 5% (mentre l'anno precedente si era aggiudicato lo stesso appalto di servizi con un ribasso del 10%), fatto commesso in (OMISSIS), (capo 1);
- di cui agli artt. 110,81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, perché, in concorso con lo S., nell'esecuzione dell'appalto "Interventi per la gestione delle attività di Protezione civile nelle fasi ordinarie e di emergenza anno 2018", con artifizi e raggiri consistenti nel far risultare contabilmente come effettuati dalla Tecnospurghi nei giorni (OMISSIS) e (OMISSIS) lavori di spargimento di sale nell'abitato della frazione di (OMISSIS), che invece erano stati effettuati gratuitamente da terzi, si procurava l'ingiusto profitto, quantificabile in Euro 4.787,50 quale corrispettivo dei lavori non eseguiti; fatti commessi in (OMISSIS) (capo 2);
- di cui agli artt. 110,81 c.p. e art. 640 c.p., comma 2, perché, in concorso con lo S., con artifizi e raggiri consistenti nel far risultare su una fattura emessa al Comune di Livorno, nell'esecuzione dell'appalto "Interventi per la gestione delle attività di Protezione civile nelle fasi ordinarie e di emergenza anno 2018", il pagamento di otto pasti consumati, anziché di quattro, commetteva atti idonei e diretti in modo non equivoco a conseguire l'ingiusto profitto, quantificabile in Euro 88 oltre I.V.A. a titolo di rimborso, somma non erogata in seguito all'arresto dello S., fatti commessi in (OMISSIS) (capo 6);
- di cui agli artt. 110 c.p., art. 353 c.p., comma 2, per aver, in concorso con S.R., turbato la gara indetta dal Comune di Livorno - Settore Polizia Municipale, Protezione civile e sicurezza dei cittadini - dell'importo di Euro 8.179,54,00 denominata "interventi necessari per la gestione delle attività di Protezione civile anno 2018" ed eseguita mediante la procedura di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 36, comma 2, lett. a) e comma 6 e del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 126, comma 9, in quanto lo S., dopo aver comunicato al F. l'esistenza della gara, gli diceva di fare un'offerta perché era l'unico concorrente, e il F., avvertito di non aver concorrenti, acquisiva l'affidamento del servizio con un ribasso del 4%, fatto commesso in (OMISSIS) (capo 7);
- di cui all'art. 321 c.p., perché, al fine di assicurarsi l'asservimento della pubblica funzione da parte dello S. e il compimento in suo favore di atti contrari ai doveri di ufficio, prometteva ed effettivamente erogava allo stesso 5.000 Euro in data (OMISSIS): un telo in pvc per terrazzo del valore di 280 Euro più IVA, la disponibilità nell'agosto del 2017 di un'abitazione che il F. possedeva in (OMISSIS) in favore del figlio dello S. e il pagamento di cene in tale occasione, oltre che un pacco dono natalizio in data 19 dicembre 2017, fatti commessi in (OMISSIS) (capo 10).
2. Con sentenza emessa in data 27 marzo 2019, all'esito del giudizio abbreviato di primo grado, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno ha dichiarato F.E. colpevole dei reati a lui ascritti e, ritenuta la continuazione tra gli stessi e applicata la diminuente per il rito, lo ha condannato alla pena di quattro anni e otto mesi, con applicazione delle pene accessorie di legge e condanna al pagamento delle spese processuali.
Il Giudice per le indagini preliminari ha, inoltre, condannato l'imputato al risarcimento del danno cagionato alla parte civile Comune di Livorno, da liquidarsi in separata sede, al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva e alla rifusione delle spese processuali.
3. Con la decisione impugnata la Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza di condanna emessa in primo grado dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno nei confronti dell'appellante F.E., che ha condannato al pagamento delle spese del grado.
4. L'avvocato Annarosa Francini, difensore del F., ricorre avverso tale sentenze e ne chiede l'annullamento, deducendo nove motivi di ricorso e, segnatamente:
a) l'inosservanza dell'art. 353 c.p., in relazione ai delitti di turbata libertà degli incanti contestati ai capi 1) e 7) dell'imputazione, ritenuti sussistenti pur in assenza di una procedura di "gara" rilevante ai fini dell'applicazione di questa fattispecie di reato;
b) la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di turbata libertà degli incanti contestato al capo 1) dell'imputazione e, in particolare, al profilo inerente il carattere "indebito" della condotta asseritamente decettiva di "induzione all'autoesclusione" della ditta C., che avrebbe costituito l'estremo dei mezzi fraudolenti;
c) la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova in relazione al delitto di turbata libertà degli incanti contestato al capo 7) dell'imputazione, nonché l'erronea applicazione dell'art. 353 c.p., quanto alla sua natura di reato di pericolo, che esige l'accertamento dell'attitudine lesiva della condotta tipica;
d) l'inosservanza degli artt. 319-321 c.p., in relazione al delitto contestato al capo 9) dell'imputazione, in ragione dell'incompatibilità strutturale fra il delitto di corruzione ed il contestuale delitto di truffa commessi in danno del Comune di Livorno;
e) l'inosservanza dell'art. 640 c.p., comma 2, contestato ai capi 2) e 6) dell'imputazione, in particolare sotto il profilo della rilevanza tipica di una condotta di induzione in errore avente come destinatario la pubblica amministrazione (e, segnatamente, il Comune di Livorno), soggetto non persona fisica;
f) la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova in ordine al delitto di truffa contestato al capo 2) dell'imputazione, in relazione ai ritenuti artifizi e raggiri nella falsa contabilizzazione delle prestazioni effettuate nell'ambito della c.d. emergenza neve, nonché l'inosservanza dell'art. 640 c.p. per difetto del requisito della ingiustizia del profitto e dell'elemento del danno patrimoniale;
g) la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova, in relazione al delitto di tentata truffa contestato al capo 6) dell'imputazione, specialmente in relazione al giudizio di idoneità della condotta, nonché l'inosservanza degli artt. 110 e 43 c.p., in relazione alla condotta concorsuale rilevante, ascrivibile all'imputato, e al dolo di partecipazione;
h) la mancanza di motivazione in ordine all'accertamento ed alla quantificazione del risarcimento disposto a titolo di provvisionale, nonché l'inosservanza dell'art. 539 c.p.p.;
i) l'inosservanza degli artt. 133 e 62-bis c.p. in relazione al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
5. In data 15 dicembre 2021 la parte civile costituita Comune di Livorno ha depositato le proprie conclusioni e la nota spese.
6. La trattazione del ricorso, originariamente fissata per l'udienza pubblica del 12 gennaio 2022, è stata rinviata all'udienza del 9 febbraio 2022, con sospensione del corso della prescrizione, per legittimo impedimento del difensore del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi nello stesso proposti sono infondati.
2. Con il primo motivo di ricorso la difesa eccepisce l'inosservanza dell'art. 353 c.p., in relazione ai delitti di turbata libertà degli incanti contestati ai capi 1) e 7) dell'imputazione, ritenuti sussistenti pur in assenza di una procedura di "gara" rilevante ai fini dell'applicazione di questa fattispecie di reato.
Rileva il ricorrente che le procedure di affidamento diretto di contratti sottosoglia di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 36, comma 1, lett. a), quale quelle in occasione delle quali sarebbero stati commessi i delitti di cui ai capi 1) e 7), non rientrano nell'ambito applicativo della fattispecie di reato di cui all'art. 353 c.p., atteso che difetta quel carattere di "concorrenzialità" sul quale si fonda la nozione sostanziale di "gara", rilevante agli effetti penali.
Nel caso di specie la stazione appaltante, infatti, non avrebbe definito alcun meccanismo selettivo, individuando i parametri oggettivi per operare la valutazione delle offerte nella scelta del contraente privato, ma avrebbe fatto ricorso a procedure negoziate, senza previa indizione di gara.
Il Comune di Livorno, infatti, coerentemente alla natura di "affidamento diretto" di tali procedure, avrebbe proceduto a una mera comparazione di offerte, in assenza di criteri selettivi vincolanti e conoscibili dalle imprese partecipanti e, dunque, senza alcun limite alla propria discrezionalità valutativa.
3. Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il reato di turbata libertà degli incanti non è configurabile solo in presenza di pubblici incanti o di licitazioni private, cioè quando vi sia diretta applicazione delle norme in materia di aggiudicazione di appalti, ma in tutti i casi in cui vi sia una procedura di gara anche informale e atipica (ex plurimis: Sez. 6, n. 9385 del 1304/2017, dep. 2018, Giugliano, Rv. 272227 - 01; Sez. 6, n. 29581 del 24/05/2011, Tatò, Rv. 250732 - 01; Sez. 6, n. 13124 del 28/01/2008, Mancianti, Rv. 239314; Sez. 6, n. 44829 del 22/09/2004, Di Vincenzo, Rv. 230522 - 01).
Al fine della qualificazione penale di "gara" può, infatti, prescindersi dal nomen iuris (Sez. 6, n. 44829 del 22/09/2004, Di Vincenzo, Rv. 230522), in presenza di un meccanismo selettivo delle offerte (Sez. 6, n. 29581 del 24/5/2011, Tatò, Rv. 250732), in quanto l'elemento qualificante della gara è il fatto che vi sia una reale e libera competizione tra le persone che vi partecipano (Sez. 6, n. 32237 del 13/3/2014, Novi, Rv. 260426; Sez. 6, n. 29581 del 24/05/2011, Tatò, Rv. 250732 - 01).
Il reato di turbata libertà degli incanti e', pertanto, configurabile in ogni situazione in cui la pubblica amministrazione procede all'individuazione del contraente mediante una gara, quale che sia il nomen iuris adottato ed anche in assenza di formalità, a condizione che siano previamente indicati e resi noti i criteri di selezione e di presentazione delle offerte; ne consegue che deve escludersi la configurabilità di una gara allorché, nonostante la pluralità di soggetti interpellati, ciascuno presenti indipendentemente la propria offerta e l'amministrazione conservi piena libertà di scegliere secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati (Sez. 6, n. 9385 del 1304/2017, dep. 2018, Giugliano, Rv. 272227 - 01).
Per quanto emerge dalle statuizioni della sentenza impugnata che si integrano con quelle della decisione di primo grado, componendo una unità organica ed inscindibile (ex plurimis: Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617 - 01; Sez. 6, n. 50944 del 04/11/2014, Barassi, Rv. 261416), le procedure di affidamento diretto di cui si controverte sono riconducibili alla fattispecie di reato contestata, in quanto in entrambe vi è stato un meccanismo selettivo delle offerte.
A pag. 26 della sentenza impugnata si precisa, infatti, con riferimento alla gara indetta dal Comune di Livorno - Settore Polizia Municipale, Protezione civile e sicurezza dei cittadini - dell'importo di Euro 34.000,00 denominata "Interventi per la gestione delle attività di Protezione civile nelle fasi ordinarie e di emergenza anno 2018" di cui al capo 1), che in data 7 dicembre 2017 sul sito del Comune di Livorno nelle pagine "gare" era stato pubblicato un "avviso di manifestazione di interesse per la gestione delle attività di protezione nelle fasi ordinarie e di emergenza anno 2018" (n. 1747/17) e tale avviso era seguito da un allegato nel quale erano riportati i requisiti necessari per la partecipazione alla gara. A seguito della pubblicazione del bando erano, inoltre, pervenute due offerte al Comune di Livorno.
Secondo quanto accertato dalle sentenze di merito, inoltre, la gara indetta dal Comune di Livorno - Settore Polizia Municipale, Protezione civile e sicurezza dei cittadini - dell'importo di Euro 8.179,54,00 denominata "interventi necessari per la gestione delle attività di Protezione civile anno 2018", oggetto della turbativa contestata al capo 7), è una procedura negoziata (cottimo fiduciario) da svolgersi presso la piattaforma informatica Staer con criterio del prezzo più basso.
In entrambe le ipotesi contestate, dunque, ricorre l'ipotesi della reale e libera contesa tra i concorrenti (attuali o potenziali) mediante l'applicazione da parte della stazione appaltante di precisi criteri di selezione delle offerte, prestabiliti e resi previamente noti, e non già una mera facoltà della stessa di scegliere direttamente la propria controparte, secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati, o di interpellare di più potenziali contraenti, all'insaputa gli uni degli altri.
4. Con il secondo motivo il ricorrente censura la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di turbata libertà degli incanti contestato al capo 1) dell'imputazione e, in particolare, al profilo inerente il carattere "indebito" della condotta asseritamente decettiva di "induzione all'autoesclusione" della ditta C., che avrebbe costituito l'estremo dei mezzi fraudolenti.
Secondo l'ipotesi di accusa, la ditta C. avrebbe desistito dalla presentazione dell'offerta in ragione di una falsa e fraudolenta rappresentazione da parte dello Sp. della mancanza del requisito inerente "il possesso di una macchina spargisale e simili".
Tuttavia, l'induzione all'autoesclusione non potrebbe integrare un mezzo fraudolento nel senso accolto dall'art. 353 c.p., in quanto la Corte d'appello avrebbe pretermesso che plurimi erano i requisiti che non consentivano alla ditta C. di concorrere utilmente alla gara e, in particolar modo, la carenza di una sede operativa entro il raggio di 15 km. dal Comune di Livorno e di strumenti tecnici previsti nel bando.
Non sarebbe stato, peraltro, lo S. a deliberare l'esclusione della ditta C., bensì la funzionaria responsabile del procedimento, Dott.ssa P.P., che avrebbe deciso di procedere alla contrattazione privata con il F. alla luce delle plurime carenze tecniche dell'impresa C. in ordine ai mezzi e alle dotazioni richieste dal bando.
La Corte di appello avrebbe, dunque, omesso di confrontarsi con tali risultanze specificamente dedotte nell'atto di appello e, segnatamente, con i requisiti generali del bando, le sommarie informazioni testimoniali rese dalla Dott.ssa P. e dal funzionario So.Lu., le mail e le intercettazioni delle comunicazioni intervenute tra lo S. e la P. e le captazioni delle conversazioni tra lo S. e il legale rappresentante della C. riportate nell'atto di appello.
Ad avviso del ricorrente, peraltro, difetterebbe l'evento di reato, costituito dall'aggiudicazione della gara con una percentuale di ribasso anomala per difetto, in quanto il ribasso del 5% riconosciuto all'imputato sarebbe una pratica ampiamente riconosciuta dal mercato nelle procedure di aggiudicazione.
Il reato di turbata libertà degli incanti, pertanto, pur essendo un delitto di pericolo, non sarebbe punibile nella specie, per difetto di offensività ex ante della condotta, in quanto la carenza dei requisiti tecnici richiesti nel bando non avrebbe mai consentito alla C. non già l'aggiudicazione finale, ma ancor prima la formulazione di una valida offerta economica.
5. Il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto si risolve nella proposizione di una lettura alternativa del fatto accertato dalla sentenza impugnata, non consentita in sede di legittimità.
Anche a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 - 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01).
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex plurimis: Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
La Corte di appello, con ampi riferimenti alle risultanze di causa, riportati in sentenza alle pagg. 27-30, ha, peraltro, ritenuto, tutt'altro che illogicamente che la rinunzia alla gara da parte dell'impresa concorrente C. sia stata determinata non già dalla ritenuta carenza di dotazioni richieste dal bando, bensì dalle pressioni direttamente ed indebitamente esercitate dallo S. nei confronti del rappresentante di quest'ultima ("un vero e proprio abuso di potere", come rilevato dalla Corte di appello), in ragione degli accordi intervenuti con F..
La Corte di appello ha, infatti, rilevato che lo S., per quanto emerso dalle intercettazioni, aveva contattato direttamente M.M., dipendente dell'impresa C., rimarcando in modo netto la necessità di avere la disponibilità dei macchinari per l'emergenza ventiquattro ore su ventiquattro e per tutto l'anno, non mancando di sottolineare che sarebbe stato "antipatico" per l'impresa essere esclusa o non chiamata alla gara perché priva dei requisiti.
Lo stesso S., nel colloquio videofilmato e intercettato avvenuto nel proprio ufficio con il F., facendo riferimento ai colloqui intervenuti con il referente della C., aveva assicurato al suo interlocutore di avere "le scuse per poter escludere" questa impresa.
Anche nella sentenza di primo grado, peraltro, sì evidenzia come lo S. fosse consapevole che la Tecnospurghi del F. avesse solo uno e non due spargisale, come richiesto dal bando.
La condotta di "induzione all'autoesclusione" accertata dalle sentenze di merito e', dunque, stata correttamente ascritta dalla sentenza impugnata alla fattispecie di turbata libertà degli incanti, in quanto il ricorso a "mezzi fraudolenti" consiste in qualsiasi artificio, inganno o mendacio, proveniente dagli organi addetti ai pubblici incanti o preposti a una qualsiasi fase dell'iter formativo del procedimento concorsuale che sia idoneo ad alterare il regolare funzionamento della gara (Sez. 6, n. 57251 del 09/11/2017, Vigato, Rv. 271726 - 01; Sez. 6, n. 8020 del 11/11/2015, dep. 2016, Lazzari, Rv. 266332 - 01).
La Corte di Appello, inoltre, richiamando un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, ha correttamente rilevato che l'evento naturalistico del reato di turbata libertà degli incanti può essere costituito oltre che dall'impedimento della gara, anche dal suo turbamento e che questa situazione può verificarsi quando la condotta fraudolenta o collusiva abbia anche soltanto influito sulla regolare procedura della gara medesima, essendo del tutto irrilevante che si produca un'effettiva alterazione dei risultati di essa (Sez. 2, n. 43408 del 23/06/2016, Martinico, Rv. 267967 - 01; Sez. 6, n. 41365 del 27/09/2013, Murgolo, Rv. 256276 - 01).
L'evento del reato di turbata libertà degli incanti e', infatti, integrato, oltre che dall'impedimento della gara o dall'allontanamento degli offerenti, anche dal mero turbamento, consistente in una alterazione del regolare svolgimento, a condizione che tale condotta sia idonea a ledere i beni giuridici protetti dalla norma, che si identificano con l'interesse pubblico alla libera concorrenza ed alla maggiorazione delle offerte (Sez. 6, n. 6605 del 17/11/2020, dep. 2021, Pani, Rv. Rv. 280837 - 01; Sez. 6, n. 10272 del 23/01/2019, Cersosimo, Rv. 275163 - 01; Sez. 2, n. 43408 del 23/06/2016, Martinico, Rv. 267967 - 01; Sez. 6, n. 12821 del 11/03/2013, Adami, Rv. 254906 - 01).
6. Con il terzo motivo il ricorrente censura la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova in relazione al delitto di turbata libertà degli incanti contestato al capo 7) dell'imputazione, nonché l'erronea applicazione dell'art. 353 c.p., quanto alla sua natura di reato di pericolo, che esige l'accertamento dell'attitudine lesiva della condotta tipica.
Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello avrebbe omesso di confrontarsi con le doglianze formulate nel quarto motivo dell'atto di appello in ordine all'insussistenza del fatto contestato.
Secondo quanto accertato dalle sentenze di merito, infatti, la condotta illecita sarebbe consistita nell'avvertimento che lo S. avrebbe rivolto al F. dell'avvenuta pubblicazione del bando di gara.
Il F., peraltro, per quanto riportato nella relazione riepilogativa di polizia giudiziaria del 5 ottobre 2018, avrebbe detto allo S. che era a conoscenza del bando e che "stava già" predisponendo l'offerta da inviare al Comune di Livorno.
La condotta dello S. sarebbe, dunque, inoffensiva (e, pertanto, inidonea a determinare un'effettiva alterazione degli esiti della procedura di aggiudicazione), in quanto la comunicazione sarebbe intervenuta il giorno successivo alla sua pubblicazione ovvero 10 maggio 2018 e, dunque, in quel momento, vi erano ben sei giorni affinché ciascun concorrente interessato potesse parteciparvi.
Nessun altro potenziale partecipante sarebbe, dunque, stato privato della possibilità di formulare offerte, né quest'ultime erano state in alcun modo condizionate.
Si duole, inoltre, il ricorrente che la Corte d'appello avrebbe valorizzato la percentuale di ribasso minore ottenuta dal F. rispetto all'anno precedente, per effetto della mera comunicazione dell'esistenza del bando di gara, ma tale percentuale sarebbe assolutamente ordinaria, tanto più a fronte aggiudicazione di appalti per importi bassi.
7. Anche questo motivo è inammissibile, in quanto contesta in fatto l'apprezzamento della sentenza impugnata, senza dimostrarne la contraddittorietà o la manifesta illogicità, e ne sollecita un non consentito riesame di merito mediante una rinnovata valutazione di elementi probatori.
La Corte di appello, tuttavia, ha non illogicamente rilevato, a pag. 31 della sentenza impugnata, che dalle conversazioni intercettate era emersa la sollecitazione a formulare l'offerta, rivolta dallo S. al F. a mezzo di un messaggio sms inviato in data 10 maggio 2018 ("un gara per il Multiservice...fai l'offerta sei solo te").
Lo S. aveva, dunque, fornito al F., in pendenza del termine per proporre le offerte, un'informazione riservata, che aveva consentito all'imprenditore di proporre un'offerta con un ribasso più contenuto rispetto alle precedenti.
Dalle intercettazioni telefoniche delle conversazioni tra lo S. e la dipendente comunale R.G., subito dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte, erano, inoltre, emerse le pressioni del primo per procedere alla proclamazione dell'affidamento in favore della Tecnospurghi e come lo stesso si fosse adoperato per superare l'impasse dovuta alla contestazione di aver indetto la gara, senza verificare prima la copertura finanziaria per l'affidamento.
8. Con il quarto motivo il ricorrente deduce l'inosservanza degli artt. 3193-321 c.p., in relazione al delitto contestato allo S. al capo 9) dell'imputazione, in ragione dell'incompatibilità strutturale fra il delitto di corruzione ed il contestuale delitto di truffa in danno del Comune di Livorno, contestato al capo 2) al F., relativo all'alterazione dei conteggi delle spese sostenute dalla Tecnospurghi presentati alla pubblica amministrazione.
La Corte di appello avrebbe, infatti, erroneamente ritenuto legittima la duplice qualificazione della presunta condotta di falsificazione della contabilità in favore dell'impresa Tecnospurghi contestata sia, al capo 2), a titolo di truffa, come forma di induzione in errore del Comune di Livorno, che, al capo 9), a titolo di corruzione propria antecedente, al fine di ottenere il compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio, illecitamente remunerato dal F..
Sussisterebbe, tuttavia, incompatibilità logica e giuridica tra queste due qualificazioni, in quanto lo S. non sarebbe stato in alcun modo il soggetto passivo della condotta decettiva del pubblico agente, rivolta invece al Comune di Livorno.
Induzione in errore ed esercizio del potere inerente il proprio ufficio, per il compimento di un atto contrario, infatti, rappresenterebbero modalità realizzative di un vantaggio ingiusto incompatibili; la consensualità dell'accordo corruttivo sarebbe incompatibile con qualsivoglia forma di induzione in errore.
Rileva, inoltre, il ricorrente che la fattispecie di corruzione propria presuppone il compimento di un atto comunque rientrante nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene e tale atto deve costituire l'estrinsecazione di un potere riconducibile alla competenza funzionale del pubblico agente.
Nel caso di specie, tuttavia, la falsificazione contabile, finalizzata ad assicurare un profitto ingiusto alla ditta Tecnospurghi del F., non avrebbe implicato la spendita di alcun potere riconducibile all'ambito di competenza funzionale del pubblico ufficiale.
9. Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche può concorrere con il reato di corruzione, in quanto l'accordo corruttivo, pur non potendo integrare l'induzione in errore del pubblico ufficiale che partecipa all'accordo, può comunque indurre in errore gli altri funzionari dell'ente pubblico e, in particolare, gli organi di controllo (Sez. 5, n. 15487 del 01/02/2021, Fiordaliso, Rv. 281077, fattispecie relativa alla fornitura, mediante subappalti non autorizzati, di conglomerati bituminosi di qualità e caratteristiche diverse da quelle previste dal contratto di appalto, sulle cui modalità esecutive, in forza di accordo corruttivo, venivano omesse segnalazioni e controlli; Sez. 1, n. 10371 del 08/07/1995, Costioli, Rv. 202738).
La Corte di Appello di Firenze ha fatto buon governo di tali consolidati principi, escludendo l'incompatibilità strutturale fra i delitti di corruzione propria e di truffa in danno dell'amministrazione pubblica, in quanto le condotte del F., poste in essere in concorso con lo S., erano risultate idonee ad indurre in errore, con riferimento alle somme liquidate, gli organi del controllo del Comune di Livorno e, dunque, soggetti distinti e con un ambito di competenze autonomo rispetto a quello del pubblico agente corrotto.
10. Con il quinto motivo il ricorrente censura l'inosservanza dell'art. 640 c.p., comma 2, contestato ai capi 2) e 6) dell'imputazione, in particolare sotto il profilo della rilevanza tipica di una condotta di induzione in errore avente come destinatario la pubblica amministrazione (e, segnatamente, il Comune di Livorno), soggetto non persona fisica.
Il delitto di truffa, tuttavia, ad avviso del ricorrente, postula che il deceptus, destinatario degli artifici e raggiri posti in essere dall'autore del reato, sia una persona fisica determinata. La persona giuridica, invece, incapace di intenti psicologici, potrebbe essere solo danneggiata del reato di truffa, ma non già soggetto passivo di artifici e raggiri.
Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello avrebbe cercato di superare questa difficoltà individuando i destinatari degli artifici e raggiri nei funzionari del Comune di Livorno deputati ai controlli, ma il soggetto in errore dovrebbe essere pur sempre determinato e, dunque, identificato nella sua individualità, non essendo ammissibile una induzione in errore in incertam personam.
Nella specie, peraltro, il funzionario incaricato dei controlli sarebbe stato proprio lo S. che, tuttavia, era concorrente nel reato e i controlli amministrativi sarebbero stati successivi e determinati solo dall'arresto dello S..
11. Manifestamente infondato è questo motivo di ricorso.
E' condivisibile la premessa interpretativa dalla quale muove il ricorrente, secondo la quale l'ente pubblico, in quanto persona giuridica, può essere danneggiata del reato di truffa, ma non essere soggetto passivo di artifici e raggiri (ex plurimis: Sez. 2, n. 35638 del 28/06/2017, Lonardelli, Rv. 271246 - 01).
L'ente pubblico, tuttavia, si determina attraverso le persone fisiche che lo rappresentano e che sono chiamate ad effettuare le verifiche relative alle istanze che gli sono inoltrate, ad assumere le decisioni in merito e ad esternarle.
E', dunque, ben configurabile una truffa perpetrata ai danni non già dell'ente bensì dei suoi funzionari ed in particolare degli organi di controllo (ex plurimis: Sez. 2, n. 35638 del 28/06/2017, Lonardelli, Rv. 271246 - 01; Sez. 1, n. 10371 del 08/07/1995, Costioli, Rv. 202738 - 01).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, inoltre, non è richiesta l'identificazione delle persone fisiche che, agendo per conto dell'ente erogatore, siano state tratte in errore nell'ambito del procedimento per effetto degli artifici o raggiri, in quanto la persona fisica materialmente indotta in errore può essere qualunque soggetto che abbia contributo, attraverso l'adozione di atti del procedimento amministrativo, al formarsi della volontà dell'ente (Sez. 2, n. 35638 del 28/02/2017, Lonardelli, Rv. 271246; Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268960).
La Corte di Appello di Firenze ha fatto buon governo di tali consolidati principi, rilevando come le condotte poste in essere dallo S. in concorso con il F. fossero risultate idonee ad indurre in errore, con riferimento alle somme liquidate, persone determinate e, segnatamente, i membri degli organi di controllo del Comune di Livorno, competenti a verificare gli esborsi relativi ai contratti di appalto stipulati, e, dunque, un ufficio autonomo e terzo rispetto alle competenze dello S..
12. Con il sesto motivo si eccepisce la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova in ordine al delitto di truffa contestato al capo 2) dell'imputazione, in relazione ai ritenuti artifizi e raggiri nella falsa contabilizzazione delle prestazioni effettuate nell'ambito della c.d. emergenza neve, nonché l'inosservanza dell'art. 640 c.p. per difetto del requisito della ingiustizia del profitto e dell'elemento del danno patrimoniale.
Secondo la sentenza impugnata l'imputato, nell'esecuzione dell'appalto "Interventi per la gestione delle attività di Protezione civile nelle fasi ordinarie e di emergenza anno 2018", avrebbe falsamente rendicontato come effettuati dalla Tecnospurghi in data (OMISSIS) lavori di spargimento di sale nell'abitato della frazione di (OMISSIS), che, invece, sarebbero stati eseguiti a titolo gratuito da G.A., quale volontario della Protezione Civile.
Questa ricostruzione si porrebbe, tuttavia, in palese contrasto con gli esiti dell'attività investigativa, in quanto vi sarebbe stato consumo di appena cinque o sei sacchi di materiale; l'attività si sarebbe protratta appena per un'ora, tanto da essere definita testualmente dal Gi.co."u.pa.e,.du.si.sa.ri.in.un.as.mo.e.ci.du.un.co.in.da.in.te.ed.am.ag.at.da.so.in.te.re.da.9Ginevra Antonio ,.d. S.L., B.D., Po.Fa. e dal documento di rendicontazione e di computo dei lavori eseguiti dalla Tecnospurghi.
Il profitto lucrato dall'imputato, inoltre, non sarebbe ingiusto bensì perfettamente legittimo perché corrispondente alle ore di lavoro effettivamente eseguite nell'interesse della pubblica amministrazione, a nulla rilevando che il F. possa avere eseguito parte dell'intervento a mezzo di terze persone.
I rapporti e gli eventuali accordi economici tra il F. e il G. costituirebbero, infatti, una circostanza estranea al reato; irrilevante sarebbe, inoltre, l'eventuale configurabilità di un credito del G. nei confronti del F., cui, peraltro, il primo avrebbe rinunciato, avendo dichiarato di aver svolto l'attività di cui si controverte come volontario e, dunque, senza compenso.
Il Comune di Livorno, inoltre, in seguito all'applicazione delle misure cautelari nei confronti del F. e dello S., nel riesaminare i costi contabilizzati dalla Tecnospurghi, non avrebbe mosso alcuna contestazione relativa all'allerta meteo del febbraio-marzo del 2018.
13. Il motivo è inammissibile in quanto, pur deducendo formalmente il travisamento della prova, propone invero una integrale rilettura del fatto rispetto alla sentenza di merito.
Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U., n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944).
La Corte di appello di Firenze ha, peraltro, correttamente ritenuto integrato il delitto di truffa, in quanto il F. ha fraudolentemente esposto una richiesta di rimborso per attività non svolta e per un costo che non aveva sostenuto, in quanto il G. aveva previamente rinunciato a chiedere un compenso per la stessa.
14. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la manifesta illogicità della motivazione sub specie di travisamento della prova, in relazione al delitto di tentata truffa contestata al capo 6) dell'imputazione, specialmente in relazione al giudizio di idoneità della condotta, nonché l'inosservanza degli artt. 110 e 43 c.p., in relazione alla condotta concorsuale rilevante, ascrivibile all'imputato, e al dolo di partecipazione.
Secondo la sentenza di appello il F., nell'esecuzione dell'appalto "Interventi per la gestione delle attività di Protezione civile nelle fasi ordinarie e di emergenza anno 2018", avrebbe attestato falsamente il numero di otto commensali e non già dei quattro reali, al fine di ottenere l'ingiusto profitto di 88 Euro, oltre I.V.A. a titolo di rimborso, ai danni della pubblica amministrazione.
Rileva, tuttavia, il ricorrente che la teste Pe.Mi. aveva precisato che il pranzo sarebbe comunque rientrato dalle spese sostenute dal Comune di Livorno mediante l'utilizzo dei buoni pasto concessi ai dipendenti e, dunque, il reato sarebbe configurabile solo nel caso il cui l'ente pubblico fosse stato chiamato a sostenere una spesa non dovuta.
La Corte di appello avrebbe obliterato non solo la valutazione delle sommarie informazioni rese dalla Pedini ma anche dell'intercettazione della telefonata intervenuta tra il F. e lo S. in data 18 aprile 2018 n. 1873.
La falsa attestazione, infatti, sarebbe dovuta all'iniziativa dello S. e il F. sarebbe stato un mero spettatore passivo sul piano della partecipazione materiale.
Il concorso nel reato postula, infatti, che la condotta concorsuale preceda la realizzazione del reato; nel caso di specie si sarebbe in presenza di una accettazione postuma di un presunto vantaggio economico, intervenuta quando il reato si era già perfezionato.
La Corte di appello avrebbe, dunque, qualificato come forma di concorso punibile una mera adesione retrospettiva a un reato già commesso dallo S..
15. Anche questo motivo si rivela inammissibile.
Le argomentazioni del ricorrente sono interamente incentrate sulla rivalutazione, in chiave difensiva, di elementi fattuali e contengono una chiara sollecitazione a rivisitare il merito della vicenda.
La sentenza impugnata ha congruamente ravvisato il concorso del F. nell'aver dato corso al suggerimento dello S. di presentare la falsa fattura, che rappresentava un numero di commensali superiore a quello reale, in quanto il suo assenso, necessario per l'inoltro della fattura e della richiesta di rimborso, era intervenuto prima del perfezionarsi del reato.
La Corte di appello di Firenze ha, peraltro, correttamente ritenuto integrato il tentativo del delitto di truffa, in quanto il F. ha fraudolentemente esposto una richiesta di rimborso per un costo che non aveva sostenuto in quella misura; la possibilità di pagare il corrispettivo del pranzo a mezzo dei buoni pasti erogati dal Comune di Livorno non esclude il delitto di truffa, in quanto il F. a mezzo di questa condotta di reato ha posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad appropriarsi di una somma che non gli spettava e che il Comune non avrebbe dovuto versare a lui.
16. Con l'ottavo motivo il ricorrente si duole della mancanza di motivazione in ordine all'accertamento ed alla quantificazione del risarcimento a titolo di provvisionale, nonché dell'inosservanza dell'art. 539 c.p.p..
Ad avviso del ricorrente, infatti, la Corte di appello avrebbe determinato la provvisionale in 10.000 Euro, stante la dichiarata impossibilità di liquidare compiutamente il danno patrimoniale.
Nel liquidare la provvisionale, tuttavia, la Corte di appello avrebbe fatto riferimento al danno di immagine cagionato all'Amministrazione solo con riferimento allo S..
La provvisionale disposta dal giudice di primo grado e confermata dalla Corte di appello in danno del F., dunque, non essendo riferita al danno di immagine cagionato al Comune di Livorno, sarebbe stata liquidata in assenza di motivazione.
17. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha rilevato che il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto di non statuire sul risarcimento del danno patrimoniale, state l'impossibilità di quantificarlo compiutamente allo stato delle acquisizioni e, dunque, ha liquidato la provvisionale con riferimento al danno non patrimoniale cagionato al Comune di Livorno sia dal F. che dallo S..
L'inciso valorizzato dal ricorrente ("Per quanto concerne lo S. appare determinante nella valutazione del GIP il grave danno di immagine cagionato all'Amministrazione di riferimento") non esclude che la provvisionale imposta al F. sia stata disposta quale ristoro per il danno non patrimoniale cagionato, ma, in realtà, intende motivare solo l'entità della provvisionale disposta.
Il Giudice per le indagini preliminari ha, infatti, condannato lo S. al pagamento di una provvisionale in misura doppia rispetto a quella disposta nei confronti del F. proprio in quanto il danno di immagine cagionato al Comune di Livorno doveva considerarsi maggiore per il primo, in ragione del proprio ruolo di funzionario pubblico.
La Corte di appello di Firenze, nella sentenza impugnata, ha, dunque, congruamente rilevato che la liquidazione della provvisionale operata dal giudice di primo grado era corretta ed era stata determinata equitativamente in ragione delle reiterate violazioni della legge penale poste in essere dal F. in concorso con un pubblico ufficiale, della obiettiva gravità delle condotte accertate, finalizzate a lucrare indebiti guadagni ai danni del Comune di Livorno e ad approfittare delle situazioni di emergenza venutesi a creare per eventi atmosferici.
La carenza della motivazione denunciata dal ricorrente e', dunque, insussistente e inammissibili, in quanto svolte puramente in fatto, sono le censure volte ad allegare, peraltro, apoditticamente l'erroneità della determinazione della provvisionale operata nei confronti del F..
18. Con il nono motivo il ricorrente eccepisce l'inosservanza degli artt. 133 e 62-bis c.p. in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con motivazione irragionevole e illegittima nella parte in cui valorizza la mancata sottoposizione dell'imputato ad interrogatorio.
Illogico sarebbe, infatti, il diniego delle attenuanti generiche in favore del F. in ragione della propria incensuratezza, anche perché la Corte di appello le aveva negate allo S. in ragione del precedente penale che gravava su quest'ultimo e, in tal modo, avrebbe irragionevolmente equiparato le posizioni dei due imputati.
La Corte di appello, inoltre, aveva illegittimamente escluso le attenuanti in ragione della legittima scelta del F. di non fornire alcun contributo dichiarativo.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe violato la legge nel determinare in misura eccessiva l'aumento di pena per la continuazione, in quanto la sommatoria si sarebbe risolta in un cumulo materiale di pena, determinato senza tener conto degli indici di gravità ai sensi dell'art. 133 c.p. delle singole condotte in contestazione.
In tal modo i giudici di merito avrebbero disatteso una minima attività di "personalizzazione" del trattamento sanzionatorio.
19. Il motivo è infondato.
19.1. La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell'esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici.
Per principio di diritto assolutamente consolidato ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (ex plurimis: Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane ed altri, Rv. 248244). Tale obbligo, peraltro, nel caso di specie è stato pienamente assolto.
La Corte di appello di Firenze ha, infatti, escluso la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non ravvisando elementi atti a fondarne la concessione.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02).
Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può, peraltro, essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 - 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610 - 01).
Pienamente legittimo e', peraltro, il riferimento, nella motivazione del diniego delle attenuanti, al comportamento processuale dell'imputato e alla rinuncia dell'imputato di rendere interrogatorio.
In tema di circostanze attenuanti generiche, se la confessione dell'imputato, tanto più se spontanea e indicativa di uno stato di resipiscenza, può essere valutata come elemento favorevole ai fini della concessione del beneficio, di contro la protesta d'innocenza o la scelta di rimanere in silenzio o non collaborare con l'autorità giudiziaria, pur di fronte all'evidenza delle prove di colpevolezza, non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole, non esistendo nel vigente ordinamento un principio giuridico per cui le attenuanti generiche debbano essere negate all'imputato che non confessi di aver commesso il fatto, quale che sia l'efficacia delle prove di reità (Sez. 5, n. 32422 del 24/09/2020, Barzaghi, Rv. 279778 - 01).
Nel caso di specie, tuttavia, il rilievo del silenzio serbato dall'imputato non ha costituito l'unico motivo di diniego delle attenuanti, bensì solo un elemento valutato sinergicamente ad altri che hanno non illogicamente indotto i giudici di merito ad adottare tale decisione.
19.2. Generica, in quanto non correlata con le ragioni argomentate nella decisione impugnata, è la censura relativa alla mancanza di una adeguata ponderazione della misura degli aumenti di pena operati in applicazione del regime del reato continuato.
La Corte di appello ha, infatti, disatteso l'omologa censura mossa nell'atto di appello, rilevando che la sentenza di primo grado aveva tenuto conto della diversità di fatti, fissando in due mesi di reclusione la pena per il reato consumato di truffa contestato al capo 2) dell'imputazione ed in un mese per la tentata truffa contestata al capo 6), episodio che, pur nella sua pochezza, si rivelava significativo della dimestichezza dell'imputato in questo tipo di condotte illecite.
Ad avviso della Corte d'appello la pena irrogata dal giudice di primo grado poteva ritenersi adeguata per le condotte in contestazione, che erano state reiterate dall'imputato, senza soluzione di continuità, e che erano sintomatiche della capacità dell'imputato di determinarsi alla commissione di condotte illecite e truffaldine senza inibizioni di sorta.
20. Alla stregua dei rilievi che precedono, dunque, il ricorso deve essere rigettato.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile Comune di Livorno in questo grado, che si liquidano in Euro 3.000,00 complessivi, oltre spese generali, I.V.A. e c.p.A.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile Comune di Livorno in questo grado, che si liquidano in Euro 3.000,00 complessivi, oltre spese generali, I.V.A. e c.p.A.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2022