Tribunale Nola, 11/01/2022, (ud. 04/11/2021, dep. 11/01/2022), n.2118
La sentenza assolutoria ai sensi dell'art. 530 co. 2 c.p.p. deve essere pronunciata quando il quadro probatorio risulti caratterizzato da contraddittorietà o incertezza tale da impedire l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione emesso dal P.M. sede il giorno 17.1.2020, Co. Fe. veniva tratto a giudizio di questo Tribunale per rispondere dei reati in epigrafe trascritti.
La prima udienza del 22.10.2020 veniva rinviata da altro giudice perché il titolare non aveva udienza tabellare all'udienza del 18.2.2021 nella quale si dichiarava l'assenza dell'imputato regolarmente citato e non comparso e veniva ammessa la costituzione di parte civile. A quel punto si procedeva alla dichiarazione di apertura del dibattimento: le parti formulavano le proprie richieste di prova che il giudice ammetteva con ordinanza. Si acquisiva la querela ai fini della procedibilità e si procedeva ad escutere i testi presenti Sp. Gi. ed Es. Gi. e all'esito si acquisiva documentazione mostrata in visione agli stessi e foto riconosciute dalle p.o.
In quella sede l'imputato si sottoponeva ad esame e si procedeva ad escutere i testi della difesa To. Sa. e Am. Ma. e all'esito su richiesta della difesa di p.c. veniva disposta la citazione del teste So. De. ai sensi dell'art. 507 c.p.p.
Alla successiva udienza del 16.9.2021 veniva escussa So. De. e all'esito su richiesta della difesa il procedimento veniva rinviato per la discussione.
Giunti all'udienza del 4.11.2021, dichiarata la chiusura dell'istruttoria dibattimentale e l'utilizzabilità degli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, il giudice invitava le parti a rassegnare le proprie conclusioni, riportate in epigrafe, e all'esito della camera di consiglio pronunciava la sentenza di cui all'allegato dispositivo.
Motivi della decisione
Sulla scorta dell'istruttoria dibattimentale svolta ritiene questo giudice che non sia emersa al di là di ogni ragionevole dubbio la prova della penale responsabilità dell'imputato per i reati a lui contestati, dai quali va mandato assolto per contraddittorietà probatoria. Tale decisione si fonda su una valutazione complessiva delle prove assunte sia testimoniali che documentali, nonché alla luce dei pregressi rapporti tra le parti, estremamente litigiosi, che non hanno consentito di dimostrare in modo univoco l'esatta ricostruzione dei fatti per cui si procede. Non sono mancate, inoltre, contraddizioni tra le deposizioni delle persone offese, che sono state smentite oltretutto su diversi punti del racconto da testimoni oculari al fatto.
In premessa va evidenziato che l'imputato Co. Fe. è inquilino di Sp. Gi., in quanto è affittuario di un locale di proprietà di quest'ultimo sito in (omissis)o alla via (omissis) n. (omissis), ove egli gestisce il bar pasticceria, "An. Pa. s.n.c. di Io. An. e Co. Fe.", cfr. contratto di locazione del 30.11.2015, in atti.
I coniugi Sp.-Es., inoltre, risiedono al civico (omissis) della medesima strada, quindi in un palazzo adiacente a quello nel quale insiste il suddetto bar.
I rapporti tra le parti erano stati buoni fino all'anno 2019, quando erano iniziate delle liti tra il Co. e gli Sp., dovute a due eventi: in primo luogo il fatto che il Co. aveva fatto installare un contatore del gas del locale all'interno della proprietà privata dello Sp. e in particolare nel cortile della sua abitazione, mentre avrebbe dovuto metterlo fuori. Lo Sp., infatti, riferiva in dibattimento di aver autorizzato il Co. ad installare nell'androne dello stabile solamente i motori delle macchine refrigeranti (cfr. dichiarazione integrativa al contratto, in atti), mentre il Co. aveva fatto ivi collocare sia il contatore del gas con i relativi tubi che i motori dei frigoriferi (cfr. diffida inviata dall'avv. D'On. alla (omissis) mu. S.p.A.).
Inoltre, a detta dello Sp., il Co. aveva commissionato la costruzione di una struttura abusiva all'esterno del bar, per la quale sarebbe stato necessario il rilascio di un p.d.c., invece della pergotenda per la quale aveva avuto regolare autorizzazione (cfr. atto autorizzativo del 23.5.2019, in atti). Ne era seguita l'emissione di un'ordinanza di demolizione con diffida al ripristino dello stato dei luoghi, inviata dal Comune al proprietario e all'inquilino.
Per questi motivi, lo Sp. aveva intrapreso un ricorso ex art. 447 bis c.p.c. contro il Co. presso il Tribunale di Nola (cfr. ricorso e memoria difensiva con domanda riconvenzionale, in atti).
In questo contesto litigioso tra le parti, in data 25.10.2019 lo Sp. aveva presentato una querela presso la Procura della Repubblica di Nola denunciando che il precedente 16.10.2019, mentre stava entrando con la macchina nel portone della sua abitazione si era trovato improvvisamente al cospetto del Co. che era anche egli entrato nell'androne del palazzo con fare minaccioso lamentandosi del fatto che lo Sp. avesse creato problemi sulla collocazione del contatore del gas.
A quel punto i due avevano iniziato a discutere e lo Sp. aveva invitato in più occasioni il Co. ad allontanarsi dalla sua proprietà, cosa che era avvenuta solo dopo una mezz'ora circa.
A domanda precisa sul punto, la p.c. affermava che il Co. aveva le chiavi di accesso al palazzo perché era stato lui stesso a dargliele per consentirgli di entrare quando era assente.
Quanto affermato in sede dibattimentale, però, è parzialmente difforme da quanto risulta dalla denuncia, acquisita in atti con il consenso delle parti, nella quale lo Sp. ha dichiarato che si stava accingendo, non ad entrare, ma ad uscire dalla sua abitazione con l'auto e che il Co. era
sopraggiunto mentre stava richiudendo il portone.
La moglie dello Sp., Es. Gi., nel corso della sua deposizione dibattimentale riferiva che quel giorno era a casa quando aveva udito delle grida provenire dal cortile e aveva raggiunto il marito che stava discutendo con il Co. sul posizionamento del contatore del gas. Confermava anche lei che il Co. era stato dotato delle chiavi di apertura del portoncino di ingresso, pur affermando che non le aveva più in quel momento.
La donna raccontava, poi, di aver personalmente subito un'aggressione da parte del Co. in data 13.9.2019: quella mattina, intorno alle ore 07.30, su consiglio dell'avv. D'On., si era portata all'esterno della sua abitazione per scattare delle foto a dei bidoni della spazzatura che a suo dire il Co. aveva ivi posizionato e che ostruivano il passaggio, nonché della pergotenda costruita dal Co. all'esterno del bar.
Giunta davanti al bar, mentre si accingeva a fotografarlo, una dipendente dell'esercizio commerciale, tale Ro., l'aveva vista e aveva chiamato l'imputato il quale, portatosi all'esterno del locale, si era repentinamente avventato contro di lei, prendendola per il bavero della giacca. Era stato necessario l'intervento della dipendente Ro. e di una cliente del bar, tale So. De., che lo avevano fermato impedendogli di andare oltre nell'aggressione. La Es. si era quindi allontanata e aveva chiamato i Carabinieri, senza però chiedere un intervento sul posto.
Nella denuncia acquisita agli atti si legge, invero, che il Co. in quell'occasione aveva tentato di aggredire fisicamente la Es. e che il contatto fisico tra i due era stato evitato dall'intervento della dipendente del bar e della cliente. Inoltre, la Es. avrebbe chiesto l'intervento dei Carabinieri, che non si rese più necessario visto che il Co. era stato calmato dai presenti.
L'imputato ha acconsentito a sottoporsi ad esame in dibattimento, nel corso del quale ha negato fermamente le accuse mosse nei suoi confronti, fornendo versioni alternative dei due episodi.
Quanto al 16 ottobre, ricordava che quel giorno si trovava fuori al bar quando lo Sp., che stava uscendo dalla sua abitazione, iniziò a gridargli contro, dicendogli che avrebbe dovuto lasciare il locale a causa dell'avvenuta installazione del gazebo abusivo fuori al bar. A quel punto il Co. gli si era avvicinato intimandogli di abbassare i toni per non attirare l'attenzione dei clienti. Era poi intervenuta la moglie, e anche lei aveva gridato contro di lui. Tutto si era svolto sulla pubblica via, fuori al portone, e il Co. escludeva di essere entrato nella proprietà degli Sp..
Per quanto attiene ai fatti del mese di settembre, ricordava che una mattina l'Es. intorno alle ore 07.30 del mattino si era portata fuori al locale per scattare delle foto e che lui le aveva intimato di smetterla perché stava attirando l'attenzione della clientela. Escludeva di avere avuto alcun contatto fisico con la signora in quanto era rimasto all'interno del locale.
Infine, con riferimento agli abusi edilizi che gli venivano contestati, riferiva che l'unica difformità che era stata realizzata sulla struttura costruita rispetto al progetto approvato erano le balaustre, che difatti aveva rimosso dopo che gli fu notificata l'ordinanza di ripristino (cfr. doc. in atti nella quale sono contestate due difformità dall'atto autorizzatorio, l'installazione delle balaustre e quella di un telo in pvc opaco e fisso sul lato ovest della pergotenda).
La versione offerta dall'imputato veniva confermata dai due testi della difesa, nonché da So. De., teste escussa in dibattimento ai sensi dell'art. 507 c.p.p. su richiesta della p.c.
Nello specifico, To. Sa., abituale avventore del bar "An. Pa.", ricordava che nel mese di settembre 2019 aveva assistito ad una scena insolita mentre stava prendendo il caffè: una signora che indossava il pigiama si trovava all'esterno del locale intenta a scattare delle fotografie mentre il Co. si trovava dietro al bancone del bar. Escludeva che il Co. si fosse portato all'esterno dell'esercizio commerciale.
Am. Ma. ricordava, invece, di esser stato presente agli eventi accorsi a ottobre 2019: quel pomeriggio era seduto al bar a prendere un caffè quando aveva notato Co. Fe. che discuteva animatamente fuori al bar con un uomo che era uscito da un portone accanto e che lo aveva avvicinato. Ricordava, altresì, di aver sentito l'uomo dire al Co. "te ne devi andare".
So. De., identificata da Es. Gi. come cliente che aveva assistito agli eventi verificatisi nel mese di settembre, confermava che in quel periodo prima di andare al lavoro si fermava spesso a prendere il caffè al bar del Co.. Una mattina mentre si accingeva ad entrare nel bar aveva notato la Es., sua conoscente, sopraggiungere ancora in camicia da notte e fermarsi fuori al locale borbottando qualcosa. Ricordava che quella mattina era presente Ro., una dipendente della pasticceria.
Va precisato che la So. ha riferito di esser stata avvicinata qualche mese prima della sua escussione dibattimentale dal marito della Es. che le aveva preannunciato una possibile convocazione in Tribunale, dicendole che avrebbe dovuto riferire che quella mattina aveva separato il Co. dalla moglie, cosa che non era avvenuta ("quand'è stato giugno di quest'anno, una mattina è venuto il marito della signora a bussare a casa mia, che mi voleva parlare. Dico: ma di cosa dobbiamo parlare? Dice: no, perché tu quella mattina hai separato a mia moglie… dico: no, guardi. io non ho separato nessuno". cfr. dep. Dib. Pag. 5).
Tanto premesso, come anticipato, a parere di questo giudice l'ipotesi accusatoria non ha trovato pacifico conforto nelle risultanze istruttorie dal momento che l'opposizione delle versioni fornite dai testi escussi impedisce di poter affermare in termini di certezza la penale responsabilità di Co. Fe. per i fatti che gli sono ascritti.
Quanto affermato dalle persone offese nella denuncia acquisita agli atti, infatti, è risultato smentito su alcuni punti salienti dalle altre testimonianze assunte di dibattimento, e in particolare sono emerse delle
incongruenze nei racconti oltre a una serie di contraddizioni anche tra quanto da loro affermato in sede di denuncia rispetto a quanto dichiarato in dibattimento.
Quanto alla valutazione della testimonianza della persona offesa, va rilevato che, se è vero che ben può costituire una fonte di convincimento, ancorché esclusiva, per il giudice, è, altresì, necessario ricordare che la stessa, per essere posta a fondamento di un giudizio di colpevolezza, deve essere sottoposta ad un rigoroso vaglio critico della sua attendibilità, sia intrinseca che estrinseca, al fine di escludere che sia l'effetto di mire deviatrici (in tal senso si vedano tra le tante Cass. sez. pen. I°, 24/9/97 nr. 8606, Sez. 2, Sentenza n. 43278 del 24/09/2015).
In sostanza, alla persona offesa è riconosciuta la capacità di testimoniare a condizione che la sua deposizione, non immune da sospetto per essere la stessa portatrice di interessi in posizione di antagonismo con quelli dell'imputato, sia ritenuta veridica, dovendosi a tal fine far ricorso all'utilizzazione ed all'analisi di qualsiasi elemento di riscontro o di controllo ricavabile dal processo (Cass. pen., Sez. 5, n. 839 del 03/11/1992).
Quando poi la persona offesa, come nel caso concreto, sia anche costituita parte civile, il controllo da parte del giudicante deve essere ancor più penetrante, emergendo in maniera evidente la sussistenza di interessi antagonisti anche di natura economica (Cfr. in materia anche Cass. pen., Sez. 5, Sentenza n. 1666 del 08/07/2014: "Le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa").
Nel caso di interesse è pacificamente emersa la sussistenza di una forte litigiosità tra le parti, dimostrata dalla pendenza di un procedimento civile innanzi al Tribunale di Nola, e confermata sia dai denuncianti che dall'imputato.
Tale situazione ha certamente minato alla genuinità del racconto offerto dalle persone offese, le quali, come già anticipato, sono state contraddette dagli altri testi escussi, neutri rispetto ai fatti, non essendo legati da alcun vincolo all'imputato. Inoltre, quanto da loro affermato circa la presunta abusività della struttura realizzata all'esterno del locale pure è stato smentito dalla documentazione acquisita, dalla quale emerge che vi era semplicemente una difformità dell'opera, poi sanata.
In particolare, quanto alla contestazione della presunta violazione di domicilio che sarebbe avvenuta il 16.10.2019, l'istruttoria non ha consentito di addivenire ad una certa ricostruzione della dinamica degli eventi: l'unica certezza raggiunta, infatti, è il fatto che il Co. ebbe una discussione verbale con lo Sp. e poi con la moglie, ma non può dirsi rimostrato dove tale evento ebbe a verificarsi. Non è stato chiarito, difatti, se lo Sp. stesse uscendo o entrando nel portone del palazzo, visto che egli stesso in dibattimento ha affermato che stava entrando mentre in denuncia aveva detto il contrario. D'altronde, è difficile immaginare per quale ragione lui ed il Co. si sarebbero intrattenuti a discutere nell'androne del palazzo se egli stava uscendo con l'auto e si stava accingendo a chiudere il portone alle sue spalle, il che presuppone che l'auto fosse già fuori. Sia il Co. che il teste Am. hanno affermato che lo Sp. quel giorno stava uscendo dalla propria abitazione, il che rende verosimile immaginare che la discussione si sia verificata sulla pubblica via, fuori al portone, nel quale i due non avevano ragione di rientrare.
Per questi motivi, va emessa una sentenza assolutoria per non essersi raggiunta la prova al di là di ogni ragionevole dubbio del fatto che l'imputato si trattenne nel cortile contro la volontà di Sp. e della Es..
Quanto al tentativo di percosse ai danni della Es. che sarebbe avvenuto il 13.9.2019, le testimonianze del To. e della So. hanno completamente smentito le dichiarazioni della p.o., avendo univocamente riferito che il Co. non le si avvicinò in nessuna occasione, essendo rimasto all'interno del bar, dietro al bancone. D'altronde non può sfuggire nemmeno la contraddizione tra le versioni offerte dalla Es. in sede dibattimentale e in sede di denuncia: la donna, infatti, aveva inizialmente dichiarato che il Co. non era riuscito ad avere alcun contatto con lei, essendo stato fermato dalla So. e dalla dipendente, mentre in sede dibattimentale ha affermato che l'imputato l'avesse afferrata per il bavero della giacca.
Anche in questo caso, dunque, la contraddittorietà probatoria non consente di ritenere dimostrato l'assunto accusatorio e va emessa una sentenza assolutoria ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 co. 2 c.p.p., assolve CO. Fe. dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste.
Fissa in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Nola, il 4 novembre 2021
Depositata in Cancelleria il 11 gennaio 2022