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Valutazione delle dichiarazioni della persona offesa e criteri per il giudizio di attendibilità (Giudice Raffaele Muzzica)

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Tribunale Nola, 05/05/2022, n.945

La dichiarazione della persona offesa, principale fonte di prova, può essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza se considerata intrinsecamente attendibile, corroborata da elementi estrinseci o supportata dalla congruenza delle circostanze emerse nel processo.

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Valutazione delle dichiarazioni della persona offesa e criteri per il giudizio di attendibilità (Giudice Raffaele Muzzica)

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Gli imputati Ve.An. e Ch.Cl. venivano citati a giudizio, con decreto di citazione emesso dal PM in sede il 3/5/2021, per rispondere all'udienza del 25/11/2021 del reato in rubrica contestato. In quell'udienza il Giudice, in presenza della Ve.An., rilevava l'omesso perfezionamento della notifica nei confronti della persona offesa e del Ch.Cl., nei cui confronti veniva disposta ai sensi dell'art. 161 co. 4 c.p.p., essendosi radicato il domicilio a seguito della notifica dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. Il processo veniva rinviato all'udienza del 24/3/2022 nella quale, dopo aver dichiarato l'assenza del Ch.Cl., in assenza di questioni o eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva i mezzi di prova richiesti dalle parti, in quanto legittimi, non manifestamente superflui o irrilevanti. Si procedeva all'escussione di tutti i testi del PM. Al termine il processo veniva rinviato per l'esame degli imputati e la discussione del procedimento all'udienza del 31/3/2022.

In quella sede il processo veniva rinviato per impedimento dell'imputata Ve.An. per motivi di salute. Il Giudice, ritenuto legittimo l'impedimento, rinviava previa sospensione dei termini di prescrizione, all'udienza odierna (trentaquattro giorni di sospensione della prescrizione).

In questa sede, l'imputata Ve.An. rendeva spontanee dichiarazioni e, non residuando ulteriori atti istruttori, questo Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe. Al termine della discussione il Giudice si ritirava in camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza, con contestuale redazione dei motivi.

Motivi della decisione
Ritiene questo Giudice che. alla luce degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, Ve.An. deve essere condannata per il reato a lei ascritto. Per converso, l'istruttoria dibattimentale non ha consentito di delineare la responsabilità del Ch.Cl. per il medesimo fatto, dal quale lo stesso deve essere assolto per non aver commesso il fatto.

Giova sul punto evidenziare che gli elementi posti a fondamento del giudizio sono costituiti dalle testimonianze assunte durante il giudizio e, segnatamente, quella della persona offesa Gr.El. e degli altri testi escussi. Completano il compendio probatorio le dichiarazioni spontanee rese dall'imputata Ve.An..

Sulla base delle fonti di prova utilizzabili la vicenda per cui vi è processo può essere così ricostruita.

Dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa è emerso che quest'ultima, Gr.El., sporgeva formale denuncia querela in presenza della madre La.An. in quanto minorenne, perché in data 4/10/2018, mentre faceva ingresso nell'istituto scolastico da lei frequentato, il Le.No. di Nola, aveva un diverbio con un gruppo formato da tre ragazzine, tra le quali vi era anche Di.Lu., figlia dell'odierna imputata Ve.An.

Il collaboratore scolastico Am. interveniva e divideva le ragazze, indirizzandole verso le rispettive aule. Successivamente la Gr. veniva convocata dalla vicepreside, la prof.ssa Na., nell'ufficio di presidenza, dove nel contempo sopraggiungevano altresì la Di., in compagnia della madre Ve.An. e del fidanzato della Di., conosciuto dalla Gr. soltanto per il suo nome ("Cl.") e perché di nazionalità rumena.

La Gr. riferiva che durante la discussione la Ve.An. le rivolgeva delle minacce, profferendo frasi del tipo "Ora hai finito di stare bene nella scuola", mentre il ragazzo le disse "Ora stai attenta sia fuori dalla scuola che per strada, che ti uccido". Al che la Vicepreside interveniva, abbassando i toni, ed invitando la Ve.An. ed il ragazzo ad abbandonare immediatamente l'edificio scolastico. La persona offesa - ancora profondamente scossa dall'accaduto, tant'è che durante l'escussione dibattimentale più volte interrompeva il racconto, in lacrime - riferiva che dopo l'accaduto iniziò a farsi accompagnare e prelevare da scuola da sua madre, per paura di incontrare la Ve.An. ed il ragazzo; successivamente, dopo la pandemia, la Gr. riferì di non aver più frequentato l'istituto per paura delle minacce ricevute, sebbene non vi fossero stati ulteriori episodi. A domanda del Giudice, la teste precisava di non aver avuto alcun chiarimento o interlocuzione con gli odierni imputati e di avere, invece, incontrato occasionalmente la Di., che le rinfacciava di aver sporto denuncia. Così ricostruita la dichiarazione della persona offesa, nella valutazione della stessa questo Giudice segue l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. V del 14 giugno -18 settembre 2000n. 9771, e da ultimo Cass. Sez. II 16 giugno - 11 settembre 2003 n. 35443), che, ormai da tempo ed in modo consolidato, hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice deve adottare quando la prova sia rappresentata, anche in via esclusiva, dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato.

Sul punto è necessario premettere che la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile come nel caso di specie, alla stregua di un qualunque testimone - tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 n. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile -, viene collocata, dalla giurisprudenza, in una posizione diversa rispetto a quella del testimone "puro", e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà.

Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.

Ne deriva che se in relazione alla deposizione resa dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimemente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dalla semplice dichiarazione del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità; con riferimento, invece, alla deposizione resa dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca della deposizione, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno la detta deposizione (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II del 19 novembre 1998 n. 12000). Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché la sua deposizione possa essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporla ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.

Si tratta di un canone di valutazione, quello appena esposto, che presuppone che la persona offesa e soprattutto la parte civile si collochino, nel quadro delle prove dichiarative, tra la figura del testimone puro e semplice, che non ha interessi privati da far valere nell'ambito del processo e che è quindi, rispetto alle parti processuali in una posizione di estraneità, e la figura del testimone assistito (da sentire con le modalità di cui all'art. 197 bis c.p.p.) e dell'indagato da esaminare ai sensi dell'art. 210 c.p.p., i quali, per le posizioni rispettivamente ricoperte nel processo e per il coinvolgimento più o meno intenso nei fatti da esaminare, si collocano in una posizione estrema, con la conseguenza che se per gli uni (i testimoni semplici) è sufficiente soffermarsi sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, nei confronti degli altri (ossia i testimoni assistiti e gli indagati o imputati ex 210 c.p.p.) è necessario che le loro dichiarazioni siano riscontrate da altri elementi di prova, che ne confermino l'attendibilità.

In conclusione, dunque, quando la fonte principale di prova sia, come nel caso in esame, la persona offesa, sarà in primo luogo necessario vagliare in modo rigoroso la credibilità del dichiarante e l'attendibilità intrinseca della dichiarazione e, inoltre, andranno verificati gli elementi di conforto cosiddetti estrinseci alla dichiarazione della persona offesa.

Nel caso di specie, le dichiarazioni di Gr.El., oltre ad essere chiare e precise, anche in ragione della giovane età della dichiarante e dei carattere traumatico dell'episodio vissuto, idoneo ad imprimersi vividamente nel ricordo della persona offesa, sono connotate da un sufficiente grado di attendibilità estrinseca.

Ed infatti, Gr.El. non ha mostrato alcun preconcetto nei confronti degli imputati - che peraltro non erano le persone direttamente coinvolte nel precedente diverbio - da lei conosciuti soltanto per relationem rispetto alla Di..

D'altronde la persona offesa non si è costituita parte civile nel presente procedimento, mostrandosi disinteressata alle conseguenze economiche della vicenda, a dimostrazione ulteriore della sua attendibilità. D'altronde la persona offesa ha rinunciato ad aggravare gratuitamente la responsabilità degli odierni imputati, affermando senza incertezze che quello denunciato era stato l'unico episodio verificatosi ai suoi danni.

Peraltro il contegno della persona offesa durante l'escussione dibattimentale, in uno con la reazione, spontanea e genuina, di turbamento dalla stessa vissuto, non può che militare a sostegno dell'attendibilità del suo narrato e della sua persona. Infine, nel presente dibattimento le dichiarazioni della persona offesa hanno trovato integrale conferma nel restante materiale probatorio, ovvero nelle dichiarazioni dei residui testi di lista.

Il teste An.Di. - sulla cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, in ragione del narrato chiaro e preciso, confortato dagli atti irripetibili, nonché della provenienza dello stesso da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, veste, questa, che lascia fondatamente ritenere insussistente ogni interesse privato nella vicenda - ha riferito che, a seguito della denuncia querela sporta dalla persona offesa in data 5 ottobre 2018, escuteva a sommarie informazioni le persone presenti, che gli consentivano di risalire all'identità delle due ragazzine, non avendo svolto ulteriori accertamenti.

La teste Na.Ma. - della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, in ragione del suo narrato, sprovvisto di contraddizioni, proveniente da una dichiarante, insegnante di professione, teste oculare del fatto oggetto di imputazione - ha confermato di conoscere Ve.An. come la madre di una sua allieva al Le.No. di Nola, Di.Lu..

La teste ha confermato quanto riferito dalla persona offesa, ovvero che in data 4 ottobre 2018, durante l'ingresso nell'istituto dopo l'assemblea sindacale, Gr.El. e Di.Lu. ebbero un alterco, a seguito del quale furono convocate in presidenza dalla Na..

A seguito di contestazione in aiuto alla memoria, la teste riferiva e confermava che, non appena Gr.El. si accomodò nell'ufficio, la Ve.An. in compagnia di un uomo entrò senza essere stata convocata ed iniziò ad aggredire verbalmente la ragazzina, rivolgendole frasi minacciose del tipo "Da oggi non stai più bene a scuola". Il ragazzo che era in compagnia della Ve.An. disse alla Gr. "Stai attenta sia dentro che fuori alla scuola perché ti uccido". A quel punto la prof.ssa Na. invitava autorevolmente le due persone ad uscire dalla scuola, accompagnate dal collaboratore scolastico Ac..

Infine Ac.An. - sulla cui attendibilità non vi sono grosse perplessità, in ragione del carattere contenuto del narrato e della sua inerenza a fatti essenzialmente pregressi rispetto a quelli oggetto di imputazione - ha confermato che in data 4 ottobre 2018 nell'atrio dell'istituto scolastico Le.No. di Nola, dove lavorava come collaboratore scolastico, alcune ragazze, tra cui Gr.El. e Di.Lu., figlia di Ve.An., da lui conosciuta, ebbero un alterco e furono da lui accompagnate in presidenza.

Dopo circa mezz'ora, l'Ac. riferì che si presentò un ragazzo straniero, qualificatosi come fidanzato della Di., chiedendogli di fare accesso nell'istituto scolastico.

Poco dopo, l'Ac. - confermando dunque la presenza della Ve.An. e dell'uomo in presidenza - riferiva di aver visto gli imputati uscire dalla presidenza, accompagnandoli all'uscita.

A fronte di tali precisi e convergenti elementi accusatori, il Ch.Cl. non ha reso dichiarazioni in questo procedimento; per converso, la Ve.An. ha reso dichiarazioni spontanee - sottraendosi, dunque, all'esame incrociato delle parti - limitandosi a negare ogni addebito a suo carico, senza fornire alcuna valida spiegazione alla granitica ricostruzione accusatoria e, peraltro, fornendo un narrato del tutto sprovvisto di elementi di riscontro.

Pertanto, così ricostruita l'istruttoria dibattimentale, sussistono tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato in contestazione per quanto concerne Ve.An., mentre Ch.Cl. deve essere assolto, con formula dubitativa, per non aver commesso il fatto.

Ed infatti, impregiudicate le valutazioni che si svolgeranno nel prosieguo della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di minacce ai danni della Gr. ed alla responsabilità della Ve.An., l'istruttoria svolta da questo Giudice non ha consentito di delineare, con un margine di certezza superiore al ragionevole dubbio, l'identità del correo della Ve.An. come quella dell'odierno imputato Ch.Ge..

Ed infatti, nessun accertamento di polizia giudiziaria è stato svolto, nell'imminenza dei fatti o successivamente agli stessi, né alcun atto di identificazione o di riconoscimento.

La persona offesa si limitava - e ciò è ulteriore indice della sua attendibilità - di conoscere il ragazzo che l'aveva minacciata come un certo Cl., di nazionalità romena, fidanzato della Di.

Ma nessun ulteriore accertamento è stato svolto al fine di appurare la sovrapponibilità di tale approssimativa identificazione con quella dell'odierno imputato, misconosciuto nelle sue generalità anagrafiche anche dagli ulteriori testi escussi.

L'unico dato, meramente indiziario, che può indurre a ritenere che vi sia una qualche prossimità tra il Ch.Cl. e la Ve.An. è la comunanza tra l'indirizzo di residenza di quest'ultimo ed il domicilio di fatto dell'imputato. Ma tale dato, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, non è sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti del Ch., che dunque deve essere assolto dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto. Per converso, l'istruttoria dibattimentale svolta ha permesso di appurare oltre ogni ragionevole dubbio la sussistenza della condotta minatoria nei confronti della persona offesa da parte della Ve.An..

Nell'episodio narrato, infatti, anche alla luce delle modalità della condotta e della evidente asimmetria tra le parti - un'adulta, madre di una compagna di scuola, nei confronti di una ragazzina minorenne - si riscontra l'idoneità offensiva della condotta dell'imputata ad incutere timore nei confronti della persona offesa. Trattandosi di reato di mera condotta, ciò sarebbe già astrattamente sufficiente ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del delitto di minaccia. Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "Ai fini dell'integrazione del reato di minaccia, non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo" (Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016 - dep. 18/10/2016, Rv. 26828901). Nel caso di specie, la compresenza di due persone, la differenza d'età con la persona offesa e le modalità allarmanti della condotta consentono con tutta evidenza di ritenere integrata l'idoneità offensiva della condotta della Ve., tanto da indurre la persona offesa, a distanza di anni ancora profondamente scossa dall'accaduto, a non frequentare più l'istituto scolastico.

Né sussistono dubbi in ordine alla coscienza e volontà della condotta minacciosa perpetrata dal l'imputata. Ed infatti, la Suprema Corte ha più volte affermato che il fine che anima l'autore del delitto di cui all'art. 612 c.p. non vale ad escluderne il dolo generico, sufficiente ad integrare la fattispecie e consistente nella cosciente e volontaria prospettazione di un male ingiusto nei confronti della persona offesa, qualsivoglia siano gli intenti del soggetto agente (Cass. Sez. 5, n. 50573 del 24/10/2013 - dep. 13/12/2013, Rv. 25776501). Nel caso in esame, la probabile volontà ritorsiva a tutela della figlia, in uno con l'inequivocabile tenore della frase pronunciata dalla Ve. ("da oggi non stai più bene a scuola") e di quelle del correo, collimano perfettamente con la cosciente e volontaria prospettazione di un male ingiusto nei confronti della Gr., permettendo di ritenere integrato altresì l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 612 c.p..

Né vi sono dubbi in ordine all'identificazione dell'imputata Ve.An. quale autrice del reato in contestazione: le dichiarazioni dei testi sono state convergenti ed inequivoche sul punto, atteso che tutti i dichiaranti conoscevano in precedenza la Ve.An. e non hanno avuto dubbi in ordine alla riconducibilità della sua condotta alla donna.

Non sussistono gli elementi per riconoscere la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto in favore dell'imputata.

L'atteggiamento sprezzante e tracotante della Ve.An., dei tutto priva del più elementare rispetto dei ruoli nei rapporti tra adulti e minori, il completo disinteresse per la presenza all'interno di un luogo abitualmente frequentato dagli stessi, sono tutte circostanze che rendono l'offesa nei confronti della Gr. nient'affatto tenue, ed anzi meritevole di un trattamento sanzionatorio particolarmente severo, del tutto incompatibile altresì con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. D'altronde, la gravità delle conseguenze dannose e pericolose del reato sulla vita della persona offesa, ragazzina minore d'età all'epoca dei fatti, ancora scossa dall'accaduto a distanza di anni, renderebbe del tutto illogico il riconoscimento del beneficio in favore dell'imputata, peraltro in udienza neppure resipiscente.

Venendo all'accertamento della sussistenza delle circostanze, deve invece ritenersi sussistente la circostanza aggravante di cui al combinato disposto degli aitt. 612 co. 2 e 339 c.p., essendo pacificamente emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale, non negato peraltro dalla difesa, che la Ve.An. ebbe a realizzare la condotta minatoria con una seconda persona, presente sul posto, ovvero il ragazzo rumeno di nome Cl., la cui identità, stando quanto sopra osservato, non può dirsi oltre ogni ragionevole dubbio riconducibile a quella del Ch.. Pertanto, alla luce dei criteri enunciati dall'art. 133 c.p. e, segnatamente, in considerazione della gravità del fatto, consistito in una minaccia apparentemente non grave per tenore testuale, ma invece connotata da indubbia gravità, attese le modalità dell'azione, perpetrata in concorso con altra persona, le condizioni della persona offesa, una ragazzina minorenne, le circostanze di spazio e tempo, essendosi verificato. Il fatto nel plesso scolastico, con pieno dispregio altresì dell'autorità scolastica, in presenza di altre persone, le conseguenze dannose o pericolose della condotta - la Gr. si mostrava ancora turbata per l'episodio, che l'aveva indotta ad abbandonare l'istituto scolastico - ed alla luce della pericolosità dell'imputata, incensurata, ma non resipiscente e dotata di una personalità tracotante e violenta, tale da minacciare in luogo pubblico una ragazza minore d'età, deve ritenersi pena finale congrua quella pari a mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Lo stato di incensuratezza dell'imputata, in uno con la gravità della sanzione inflitta e la necessità di corredare della giusta efficacia specialpreventiva il trattamento sanzionatorio, stante la gravità concreta del fatto, inducono a ritenere che Ve.An. si asterrà dal commettere nuovi delitti, potendosi pertanto concedere la sospensione condizionale della pena nei suoi confronti, ma le gravi modalità del fatto inducono questo Giudice a subordinare il beneficio allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, con contenuto da individuarsi a cura del Sindaco del comune di residenza della Ve.An., ovvero di un suo delegato. Entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza, Ve.An., per la durata di mesi tre e con frequenza di due volte a settimana, con monte orario di sei ore settimanali, sarà chiamata a svolgere presso il Comune di residenza tale lavoro di pubblica utilità.

P.Q.M.
Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve Ch.Cl. dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto.

Letti gli artt. 533-535 c.p.p., dichiara Ve.An. colpevole del reato ascritto e, ritenuta la contestata aggravante, la condanna alla pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Concede il beneficio della sospensione condizionale della pena nei confronti dell'imputata Ve.An., subordinata allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

Ordina, per l'effetto, che entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza, Ve.An., per la durata di mesi tre e con frequenza di due volte a settimana, con monte orario di sei ore settimanali, si rechi presso il Comune di residenza per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, da individuarsi a cura del Sindaco o di un suo delegato.

Motivi contestuali.

Così deciso in Nola il 5 maggio 2022.

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2022.

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