Tribunale Nola, 19/12/2023, n.2264
Le dichiarazioni della persona offesa, supportate da elementi estrinseci e riscontri probatori oggettivi, possono costituire piena prova della responsabilità penale dell'imputato, anche in assenza di testimoni diretti, purché il loro contenuto sia sottoposto a un rigoroso esame critico, volto a valutarne l'attendibilità e la coerenza rispetto al quadro probatorio complessivo.
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione diretta a giudizio, il P.M. in sede ha esercitato l'azione penale nei confronti di RU.Fr. per i reati riportato nella contestazione che precede, disponendone la comparizione innanzi alla scrivente per l'udienza del 10.03.2022. All'udienza anzidetta si dava atto della regolarità delle notifiche nei confronti dell'imputato, che veniva dichiarato assente non essendo comparso, si constatava l'irregolarità della notifica nei confronti della p.o. e se ne disponeva la rinnovazione.
Il processo era rinviato all'udienza del 14.07.2022, ma in quella data non poteva essere trattato, nonostante la presenza dei testi, poiché difensore produceva un certificato medico attestante un legittimo impedimento dell'imputato a comparire e, nulla opponendo le parti, il processo veniva rinviato al 12.09.2022 con sospensione del termine di prescrizione (mesi 2 e giorni 8). essendo presenti i testi citati.
In quella data il difensore della persona offesa depositava atto di costituzione di parte civile, di cui si dava atto in assenza di eccezioni, poi la scrivente, in mancanza di questioni preliminari, dichiarava l'apertura del dibattimento e le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie, ammesse con ordinanza; di seguito veniva escussa la p.o., Ca.Ra., al cui esito venivano acquisite su accordo delle parti i verbali di SIT rese da Ri.Em., D.Lo., Tr.An., con revoca della relativa ordinanza ammissiva, avendo il P.M. rinunciato alla loro escussione, e il processo era rinviato al 27.03.2023 per il proseguo dell'istruttoria.
In quella data veniva acquisito il verbale delle sommarie informazioni rese dalla teste Si.Ma., in luogo della sua escussione, revocandosene l'ordinanza ammissiva, ed il processo era rinviato all'udienza del 18.09.2023 per esame imputato e teste della difesa, ma in quella data erano entrambi assenti e il processo era rinviato al 27.11.2023. In quella data veniva escussa la teste della difesa Na.P., previa attestazione da parte dell'avvocato dell'imputato dell'assenza di pendenza di procedimento penale, diletto o connesso nei suoi confronti, e il processo veniva rinviato al 18.12.23 per la sola discussione. All'udienza cosi fissata, veniva dichiarata la chiusura del dibattimento e l'utilizzabilità degli atti legittimamente acquisiti, le parti formulavano le rispettive conclusioni, la scrivente si ritirava in camera di consiglio per la decisione, al cui esito ha pronunciato la presente sentenza di condanna, resa pubblica mediante lettura del dispositivo alle parti presenti, per le motivazioni che seguono.
Motivi della decisione
Ritiene quest'organo giudicante che l'istruttoria espletata consenta di affermare senza incertezze la penale responsabilità dell'imputato per entrambi 1 reati a lui ascritti, dovendosi pertanto emettere nei suoi confronti una sentenza di condanna.
Il compendio probatorio acquisito nel corso dell'istruttoria dibattimentale è di natura sia dichiarativa, costituito dal reso narrativo dei testi escussi, sia documentale, una parte del quale assunto con il consenso della difesa, e dunque pienamente utilizzabile nel contenuto, altra parte quale documentazione, acquisibile de plano al fascicolo del dibattimento. Tuttavia, in assenza di testimoni diretti, terzi rispetto ai fatti, occorre evidenziare come la prova principale sia costituita dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, rispetto alle quali occorre richiamare la consolidata giurisprudenza formatasi sul punto, secondo la quale la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile, alla stregua di un qualunque testimone tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 nr. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile viene collocata in una posizione diversa rispetto a quella del testimone puro e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà. Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Ne deriva che se in relazione al contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimamente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del dichiarante e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dal semplice racconto del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità, con riferimento, invece, al contenuto della denuncia sporta dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca del narrato, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno il contenuto della denuncia (Cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1 del 19 novembre 1998 n. 12000).
Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché il suo racconto possa essere posto a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporlo ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.
Ciò premesso, in applicazione dell'enunciato canone di valutazione, ritiene questo Tribunale che la persona offesa sia risultata assolutamente credibile e che le sue dichiarazioni, attendibili e confortate anche da elementi estrinseci, siano idonee a fondare un giudizio di certezza in ordine alla penale responsabilità dell'imputato. Questi i fatti. Il teste e persona offesa, Ca.An., riferiva che in data 7 febbraio 2021, intorno alle 11:30, si era recato nel cortile condominiale del palazzo in cui abitava con la famiglia per raccogliere dei limoni. Ad un tratto veniva raggiunto dal RU., un altro condomino, che si dirigeva verso di lui con aria molto aggressiva e che iniziava ad urlare immediatamente farsi minatorie, dicendogli che gli avrebbe dovuto dare una lezione. Il teste riferiva che l'uomo si avvicinava sempre di più , accostandosi come se volesse dargli una testata, generando in lui una preoccupazione sempre crescente, anche perché riferiva il teste - era senza mascherina e si era nel pieno della seconda ondata COVID. A quel punto gli chiedeva cosa volesse e il RU. gli rispondeva di averlo già avvisato altre volte del fatto che il figlio, un bimbo che all'epoca aveva due anni, continuava a fare rumori con i giocattoli (le costruzioni, le macchinine) e dava loro fastidio, abitando al piano sottostante. Subito dopo, senza che lui avesse avuto nemmeno il tempo di rispondere, l'imputato gli sferrava un forte pugno sull'occhio, tra la tempia e l'arcata sopraccigliare sinistra, provocandogli un taglio molto profondo, talmente violento che lui si accasciava a terra, completamente tramortito, portandosi le mani al volto, percependo che dal taglio aveva iniziato a scorrere il sangue, mentre il RU., avventandogli contro, lo scaraventava a terra, si metteva a cavalcioni sul suo petto ed iniziava a colpirlo con una serie di forti pugni al volto, mirando soprattutto agli occhi. Il teste riferiva di essere stato impossibilitato non solo a muoversi, in quanto aveva le braccia lungo i fianchi, che erano bloccate dalle gambe dell'aggressore, ma anche a difendersi, mentre l'imputato proseguiva nella sua azione violenta. Dopo svariati minuti il RU., non pago di quanto aveva già fatto, gli metteva le mani al collo e, iniziando a stringerle, gli urlava "adesso posso anche ucciderti" continuando a stringere, tanto che, continuava la vittima, in quel momento aveva iniziato a temere addirittura per la propria vita, pensando che l'uomo, in un raptus di follia, lo potesse veramente uccidere, sicché iniziava a dimenarsi, cercando di urlare e di chiedere aiuto. In quel momento la moglie dell'imputato, che nel frattempo era sopraggiunta sul luogo, guardandolo con aria compiaciuta e soddisfatta per l'opera compiuta da marito, gli aveva detto "adesso penso che hai capito, penso che hai capito la lezione, penso che adesso capisca anche tua moglie" dopo di che i due andavano via insieme, allontanandosi rapidamente a bordo della loro vettura. Su domande del P.M., il Ca. aggiungeva che assieme alla moglie era arrivato anche uno dei due figli, adottivi, della coppia e di non aver notato la presenza di altre persone, estranee ai fatti, nell'immediatezza. Il teste continuava riferendo che dopo l'aggressione lui era rimasto qualche minuto a terra tramortito, poi era riuscito ad alzarsi, a dirigersi verso il portone di casa, a bussare e a farsi aprire dalla moglie, venendo soccorso da lei nell'immediatezza e poi trasportato dal padre, che la moglie aveva chiamato e che era immediatamente accorso, abitando vicino a loro, nel vicino Ospedale di Nola.
Sollecitato dalle domande circa le motivazioni dell'aggressione, il Ca. dichiarava che qualche mese prima era accaduto che, una sera intorno alle 22:00, il RU. era salito a casa loro, aveva bussato in maniera molto insistente alla porta e , quando lui aveva aperto, gli aveva detto con aria tracotante che doveva educare meglio il figlio e che se non l'avesse fatto ci avrebbe pensato lui; riferiva ancora che il suo atteggiamento era stato tanto aggressivo e prepotente, che lui lo aveva messo alla porta. Aggiungeva che in altre occasioni, in precedenza, l'uomo aveva lamentato la circostanza che il bambino facesse dei rumori giocando, ma non c'erano mai stati scontri tra loro.
L'uomo riconosceva poi le foto che gli venivano mostrate, che gli erano state scattate il giorno stesso o dopo qualche giorno dall'aggressione (non lo ricordava bene), che lo ritraevano con il viso gonfio e completamente tumefatto ed il P.M. produceva anche i referti medici (del 7 e del 21 febbraio 2021) che corroboravano il racconto della persona offesa, in quanto nel primo, redatto nell'immediatezza dei fatti quando era stato trasportato in ospedale dal padre, gli veniva diagnosticato un traumatismo di faccia e naso, contusioni in sedi multiple, ferite sul cuoio capelluto e ematoma orbitario, con una prognosi di 15 giorni e prescrizione di esame diagnostici per la verifica dell'assenza di lesioni più gravi di natura strutturale (t.a.c. di tutta la struttura ossea della parte superiore del corpo e soprattutto del cranio), mentre in quello successivo, del 21 febbraio, vi era una prognosi di altri 15 giorni e prescrizione di visite specialistiche, neurologica e oculistica ed era stato emesso a seguito dei malesseri (capogiri e senso di nausea) che lo avevamo indotto a ricorrere nuovamente alle cure mediche. Il teste aggiungeva che a seguito dell'aggressione gli era rimasta una cicatrice sul sopracciglio, in corrispondenza del taglio provocato dal primo pugno e dei punti di sutura, aggiungendo che oltre alle visite che gli erano state prescritte in ospedale, si era sottoposto anche a visite oculistiche in maniera autonoma, temendo per la propria vista, in quanto era stato ripetutamente colpito agli occhi.
Aggiungeva che dalla sera dell'aggressione lui non era più rientrato nella propria abitazione, avendo deciso nell'immediatezza di recarsi a casa dei propri genitori, e la moglie dalla propria famiglia assieme al bambino, non volendo che il piccolo lo vedesse ridotto in quello stato e si spaventasse, avendo poi deciso di vendere l'appartamento.
Il difensore di parte civile gli mostrava anche la fotografia delle sue mani, che risultavano essere prive di qualsiasi segno di lesione o escoriazione, che il Ca. riferiva essere stata scattata sempre subito dopo i fatti, in concomitanza con quelle che gli erano state mostrate in precedenza. Dichiarava, infine, sollecitato dalle domande del suo difensore, che quando si era recato in ospedale, gii avevano riferito che anche il RU. era presente, ma lui non lo aveva visto.
Su domande della difesa, riferiva che fino a quel momento i suoi rapporti con l'imputato erano stati sostanzialmente di cortesia e di mera forma, tranne che in occasione dell'episodio a cui aveva fatto cenno, in cui si erano alterati, e poi nelle rare occasioni in cui si discutevano di questioni condominiali, riferendo che lui era stato investito da tutti i condomini dell'onere di occuparsi delle cose comuni attività, precisava che lui svolgeva in maniera assolutamente gratuita e senza percepire alcun compenso in mancanza di un vero amministratore.
Dai verbali di sommarie informazioni acquisiti con il consenso della difesa, relativi alle escussioni di alcuni vicini, non è emerso nulla di significativo, poiché le persone interpellate nell'immediatezza dei fatti dai Ce intervenuti su segnalazione dei sanitari del P.S., alcuni vicini di casa (Tr.An., Lo.Ge. e Si.Ma.), dichiaravano tutti di non aver sentito nulla e di non essersi accorti di nulla. Sono quest'ultima teste aveva dichiarato che il giorno dell'aggressione, la figlia giocava sul balcone di casa ed improvvisamente si era messa a piangere, gridando di aver visto il sangue. A quel punto la donna si era affacciata e aveva visto una persona per terra, ma si era preoccupata solamente di calmare la figlia.
Anche di Ri.Em., moglie della persona offesa, veniva acquisito il verbale di sommarie informazioni rese nella circostanza e la teste confermava integralmente la versione fornita dal marito, ricostruendo la vicenda nei medesimi termini riferiti dal Ca., sebbene solo con riguardo al momento in cui lui aveva suonato al campanello di casa poiché, dichiarava, non aveva assistito all'aggressione subita dal marito.
L'imputato rinunciava a fornire la propria versione, avvalendosi della facoltà di non rendere esame, mentre la teste Na.P., la moglie, faceva delle dichiarazioni totalmente configgenti con quelle rese dalla persona offesa. La donna, in particolare, dichiarava che quel giorno, era una domenica, mentre lei con il marito ed i figli si stavano recando a messa, vedevano che nel giardino condominiale, intento a raccogliere limoni, vi era il Ca., che alla loro vista, faceva cenno al marito di avvicinarsi e, nel momento in cui quest'ultimo si trovava alla sua portata di voce, gli diceva testualmente "Tu non devi avvicinarti più, né tu, né i mostri dei tuoi figli" aggiungendo che subito dopo c'era stata una concitazione, che andava aumentando. Su domanda della scrivente, aggiungeva che il marito non aveva risposto nulla al Ca. e che solo alla fine gli aveva chiesto "Che vuoi?", mentre l'uomo aggiungeva "Io sto a casa mia, faccio quello che mi pare, ti devo mettere dei marocchini in casa" e, su richiesta di precisazione rispetto a questa frase, insisteva dicendo che il Ca. avrebbe detto "Ti devo far mettere i marocchini in casa, devi vedere ancora che cosa ti deve succedere. I tuoi figli devono dormire, quelle scimmie delle tue figlie devono dormire e quindi devi vedere ancora che cosa ti deve succedere" spiegando che la frase era collegata al fatto che lei ed il marito avevano adottato due ragazzi di origine straniera (lituana in particolare) e dichiarando che subito dopo l'evento - riferibile circa al 2017-2018 (la teste non è stata chiara sul punto, ma affermava che il Ca. si era spostato da poco, quindi subito dopo il 2017, come emerso dal verbale di s.i.t. di Ri.Em.) i due coniugi avevano iniziato una serie di dispetti (ad esempio il tappeto sbattuto dal piano superiore sui panni dei bambini) nei loro confronti. Inoltre, aggiungeva, vi erano delle controversie a causa del comportamento poco chiaro del Ca. nella gestione degli affari condominiali, avendo lui assunto alcune iniziative nell'interesse comune senza prima consultare gli altri condomini. Sollecitata dalle domande delle parti, la teste riferiva che si trattava comunque di fatti molto anteriori rispetto all'evento per cui è processo, aggiungendo che dopo la nascita dei primo bambino dei Ca. erano costantemente disturbati dai rumori dei giochi che il bimbo faceva al piano superiore, dichiarando che i propri figli non riuscivano a dormire.
Tornando al giorno dei fatti e chieste spiegazioni sulla frase incomprensibile che avrebbe pronunciato il Ca. a lei a e al marito, la donna affermava che l'uomo aveva deciso di mettere l'abitazione in vendita molto prima dell'evento, e che in tal modo li voleva intimorire quando loro avanzavano le proprie rimostranze per i rumori prodotti dal figlio. In ogni caso, dopo aver pronunciato quella frase, il Ca. aveva spinto il marito a terra e all'improvviso era nata una colluttazione tra i due, negando che il RU. avesse messo per primo le mani addosso all'altro, e che questo era avvenuto solo successivamente, per difendersi dai colpi che gli stava infliggendo il contendente. La teste insisteva nel dite che i due uomini si erano messi reciprocamente le mani addosso e che se l'erano suonate a vicenda, dichiarando che il marito era stato colpito dal Ca. con pugni e schiaffi, soprattutto al viso, affermando di aver visto 1 segni solo successivamente, quando il marito si era tolto la mascherina (che secondo la teste indossava e che miracolosamente non si era mossa dal viso nonostante l'azione proditoria che a suo dire era stata condotta dal Ca.). Successivamente, riferiva, si erano recati in ospedale a Nola, dove gli era stato refertato una forte stato di agitazione e dove, nell'anamnesi del referto medico prodotto in atti, veniva riferito di un trauma alla testa e di un malessere generalizzato, riferendo di un'aggressione, ma non veniva diagnosticata alcuna lesione o abrasione al viso, ma al contrario evidenziandosi la presenza di abrasioni alle dita di entrambe le mani e non evidenziandosi altri traumi. Su specifica domanda del difensore di parte civile, la donna negava di aver visto il marito seduto a cavalcioni sul petto del Ca., di averlo visto percuotere sbattendogli la testa per terra, di aver visto del sangue, affermando di aver solamente cercato di fermarli. Orbene, tali essendo i fatti, non sussiste alcun dubbio sulla penale responsabilità dell'imputato per i fatti a lui contestati. La ricostruzione della vicenda è stata affidata alle dichiarazioni delle due parti, la persona offesa e la moglie dell'imputato, ed è emerso, ictu oculi, l'assoluta inconsistenza della resa dichiarativa di quest'ultima, da ritenersi addirittura connotata da falsa testimonianza.
Mentre le affermazioni del Ca. sono apparse lineari, logiche, consequenziali, corroborate dai certificati medici e dal materiale fotografico versato in atti dal P.M., a suo tempo prodotto unitamente alla denuncia, che comprova e attesta il narrato della persona offesa in ordine alle modalità dell'aggressione in maniera obiettiva, le dichiarazioni delle teste della difesa sono apparse fin da subito inverosimili ed incoerenti, assolutamente non supportate da alcun elemento di riscontro ed inidonee a scalfire la fondatezza di quelle rese dalla persona offesa.
Giova poi aggiungere che il RU., subito dopo l'aggressione al chiaro scopo di prevenire una denuncia nei suoi confronti da parte del Ca. si era recato presso il nosocomio di Nola per farsi refertare presunte lesioni, non attestate nel certificato medico prodotto in atti, in cui si evidenzia solo uno stato di agitazione e, come uniche lesioni, le escoriazioni alle dita in entrambe le mani, compatibili solo con le modalità di aggressione riferite dal Ca. ed assolutamente incoerenti con quelle riferite dalla Na., che ha dichiarato che entrambi gli uomini si sono reciprocamente picchiati, anche al volto, non essendosi rinvenuta alcuna traccia su quello del RU., a differenza di quanto riscontrato sulla persona offesa. La documentazione medica prodotta dalla difesa all'udienza di discussione, è del pari assolutamente inidonea a supportare la tesi difensiva in quanto certificati medici asseritamente riferibili all'evento portano una data successiva a quella dei fatti per cui oggi si procede e non sono in alcun modo ancorabili obiettivamente alle asserite lesioni che il RU. avrebbe subito da parte del Ca.
Occorre altresì evidenziare che l'odierno imputato, successivamente, ha a propria volta denunciato quest'ultimo di lesioni, ma, sempre in data odierna, è stata prodotto dalle parti una richiesta di archiviazione da parte del P.M., nella quale si evidenzia l'inconferenza della documentazione medica allegata alla denuncia del RU. a supporto della stessa, non avendo lo stesso P.M. ravvisato elementi di fondatezza rispetto a questa ipotesi accusatoria.
Deve dunque concludersi per l'affermazione di colpevolezza del RU. per entrambi i reati a lui contestati, dovendosi emettere una sentenza di condanna nei suoi confronti. Venendo alla determinazione della pena, deve escludersi, innanzitutto, la possibilità del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche all'imputato, rispetto alle quali nessun elemento è emerso che sia positivamente valorizzabile in questa direzione. Ritenuti, poi, i reati contestati avvinti dal vincolo della continuazione e più grave quello di lesioni, alla luce della gravità delle lesioni cagionate alla persona offesa e facendo applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p. per la determinazione della pena, in particolare tenendo conto delle modalità della condotta, della gravità del danno cagionato alla persona offesa, dell'intensità del dolo, si stima equo irrogare la pena di anni due e mesi uno di reclusione, determinata applicando la pena di anni due di reclusione per il reato più grave (tale dovendosi ritenere quello di lesioni), poi aumentata alla pena inflitta per la continuazione con il secondo reato in contestazione; alla condanna consegue quella al pagamento delle spese processuali.
Concludono le determinazioni le statuizioni relative alla parte civile costituita, la quale ha subito un danno molto rilevante dalla condotta tenuta nei suoi confronti, dovendosi rimettere la parti innanzi al giudice civile per la sua compiuta determinazione. Si riconosce già in questa sede una provvisionale, esecutiva al momento del passaggio in giudicato della presente sentenza, di euro 3.000,00 a titolo di ristoro anticipato per i danni subiti. Quanto alle spese di giudizio sostenute dalla parte civile costituita, esse si liquidano complessivamente in euro 1.800,00, oltre spese forfettarie e accessori, attesa la non eccessiva complessità dell'attività dibattimentale svolta.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara RU.Fr. colpevole dei reati a lui ascritti e, ritenuti gli stessi avvinti dal vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni due e mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 74 e ss., 538 e 539 c.p.p., condanna RU.Fr. al risarcimento dei danni subiti dalla costituita parte civile Ca.Ra., rimettendo le parti dinanzi al giudice civile per la compiuta determinazione del danno;
condanna RU.Fr. al pagamento alla parte civile costituita Ca.Ra. della somma di euro 3.000,00 determinata in via provvisionale, esecutiva al momento del passaggio in giudicato della presente sentenza;
condanna RU.Fr. alla refusione delle spese di giudizio incontrate dalla parte civile costituita Ca.Ra., liquidate in complessivi euro 1.800,00 oltre IVA e CPA, se dovute come per legge.
Così deciso in Nola il 18 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2023.