Tribunale Napoli sez. VI, 01/02/2021, (ud. 04/01/2021, dep. 01/02/2021), n.18
Le dichiarazioni della persona offesa, pur non assistite da riscontri esterni, possono costituire fonte autonoma di prova per fondare una pronuncia di condanna, purché risultino intrinsecamente attendibili, coerenti e lineari, e abbiano superato un rigoroso vaglio critico da parte del giudice. L’attendibilità non può essere inficiata da discordanze su fatti marginali o da contraddizioni irrilevanti, purché il racconto risulti logico e credibile nel suo complesso.
Svolgimento del processo
L'imputato in epigrafe è stato tratto nelle forme ordinarie, innanzi al giudizio del Tribunale di Napoli - in composizione monocratica - per rispondere del reato ascrittogli giusta decreto del G.U.P. datato 29 novembre 2019.
Dopo alcuni rinvii, o per irregolare costituzione del rapporto processuale o per l'emergenza sanitaria, all'udienza del 5 ottobre 2020, una volta esaurite le questioni preliminari, il dibattimento era aperto e le parti avanzavano le rispettive richieste di mezzi di prova che il Giudice, valutatene la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione, ammetteva nei sensi e nei limiti di cui all'ordinanza resa a verbale acquisendo la documentazione prodotta dal P.M. e rinviando, per l'assenza dei testi, al 23 novembre successivo dove era esaminato il teste (...).
L'istruttoria dibattimentale si concludeva all'udienza odierna con l'esame dei testi (...), persona offesa, e (...) nonché con l'acquisizione, con l'accordo delle parti che rinunciavano all'escussione dei relativi testi, dell'intero fascicolo del P.M. sicché una volta raccolte le conclusioni delle pari nei sensi di cui in premessa, il Giudice si ritirava in Camera di Consiglio per la decisione.
Motivi della decisione
Rileva il Giudicante che, alla stregua delle risultanze processuali che hanno consentito di ricostruire la vicenda per cui è processo nei suoi esatti contorni e sviluppi, debba essere affermata la penale responsabilità dell'imputato con riferimento al delitto ascrittogli che è risultato integrato in tutti i suoi elementi ontologici e strutturali.
Va in primo luogo rilevato però che, come è agevolmente desumibile dagli atti, l'asserto accusatorio trova il suo punto di abbrivo e forse il suo traguardo nelle dichiarazioni rese anche in dibattimento da (...) - persona offesa - sicché si ripropone, in questa sede, l'annoso problema della valenza sostanziale e processuale da attribuire alle dichiarazioni accusatorie della vittima del reato per cui si procede.
Orbene è noto che per costante orientamento giurisprudenziale della S.C. - cfr. per tutte Cass. Pen. Sez. IV 21 giugno - 10 agosto 2005 n. 30422 e Sez. III 18/7/12 n. 253688 - la deposizione della persona offesa dal reato può essere assunta, anche da sola, a fondamento della pronuncia di colpevolezza dell'imputato a condizione però che essa abbia resistito, vittoriosamente, ad un rigoroso vaglio critico da parte del Giudice.
Siffatta penetrante disamina è evidentemente volta a neutralizzare il rischio - certamente concreto - di dichiarazioni "manipolate", dettate magari da un sentimento - unanimemente comprensibile ma giuridicamente inaccettabile - di rivalsa o vendetta nei confronti dell'imputato che tendano a "distorcere" strumentalmente la realtà dei fatti al fine di fornire una versione degli stessi interessata e fuorviante.
Ci si preoccupa, giustamente, di garantire che le dichiarazioni di accusa della vittima siano il più possibile genuine e "disinteressate" e quindi intrinsecamente attendibili, ma allorché sia provato tale loro carattere le dichiarazioni della persona offesa, pur se astrattamente non equiparabili a quelle del testimone estraneo, possono fondare autonomamente - senza cioè la necessità di riscontri esterni - una pronuncia di condanna.
Peraltro il disposto dell'art. 192 c.p.p. non prevede particolari parametri di valutazione di tali dichiarazioni, né subordina la loro rilevanza a condizioni specifiche per cui è da ritenersi che l'accusa della vittima sia, di per sé, una fonte di prova a tutti gli effetti.
Ciò chiarito deve subito sottolinearsi che l'inattendibilità intrinseca della persona offesa dichiarante non può farsi discendere, allorché rimpianto narrativo sia nel suo complesso logico e coerente, da eventuali discordanze o imprecisioni su fatti marginali della vicenda ed inoltre anche qualche contraddizione può non essere rilevante ai nostri fini perché una versione dei fatti, affatto identica e senza incertezze, che come un cuneo inarrestabile superi il lasso cronologico e tutte le fasi processuali ben può apparire sospetta, perché magari studiata e preparata "a tavolino".
Insomma, ben può essere ritenuta credibile ed attendibile la persona offesa che, pur con qualche comprensibile e giustificabile tentennamento, mantenga ferma la sua versione accusatoria nei punti essenziali della vicenda che l'hanno, suo malgrado, vista protagonista.
In quest'ottica valutativa non può trascurarsi il parametro della logica nel senso che, in presenza o sospetto di un intento calunnioso da parte della vittima, è ragionevole ritenere che la sua versione dei fatti non possa, in linea astratta, presentare punti deboli o facilmente attaccabili di tal ché anche una dichiarazione che sia, a prima vista, oggettivamente carente può essere indirettamente il riscontro dell'attendibilità complessiva di colui che l'ha resa.
In altri termini allorché la versione accusatoria presenti oggettive lacune o incongruenze che però siano spiegabili sotto il profilo della logica e del dato fattuale, l'attendibilità del dichiarante può essere affermata.
Se ciò è vero - e non si vede come sulla scorta dell'uniforme orientamento sia giurisprudenziale che dottrinale, possa essere negato - deve subito affermarsi che le dichiarazioni rese da (...) sono apparse nel loro complesso, credibili, coerenti e per di più sorrette anche da alcuni riscontri esterni.
In estrema sintesi - riservando la disamina più approfondita allorché dovrà valutarsi la configurabilità del delitto contestato - il (...) ha dichiarato di conoscere l'imputato perché figlio di un suo ex dipendente e di avergli fatto da testimone di nozze.
Ha aggiunto di non averlo più frequentato e/o visto per molto tempo fino a che, un giorno, l'imputato si presentò a casa sua asserendo di aver bisogno di aiuto economico che egli gli diede a più riprese consegnandogli piccole somme di volta in volta.
Successivamente il (...) incontrò la moglie del (...) a cui spiegò cosa stava succedendo chiedendole spiegazioni e venne così a sapere che da tempo i due si erano separati e che "(...)" aveva problemi di tossicodipendenza e di gioco.
Ciò fece sì che allorché il (...) chiese di nuovo soldi il (...) glieli rifiutò e da quel momento cominciò una serie di minacce poste in essere dall'imputato che più volte si presentò presso l'abitazione ella persona offesa pretendendo i soldi, minacciando di uccidere il (...) o ì suoi figli se non fosse stato accontentato fino all'episodio del 6 giugno 2014 quando lo minacciò addirittura con un coltello o un'arma del genere.
Il (...) ha aggiunto che le richieste dell'imputato e le sue minacce erano talmente frequenti e gravi da essere stato costretto ad installare una videocamera di sorveglianza ed anche ad allertare persone amiche per controllare i movimenti intorno alla casa quando era costretto ad allontanarsi per ragioni di lavoro.
Orbene siffatte dichiarazioni, in sé lineari e coerenti e non connotate da particolare rancore o malanimo nei confronti dell'imputato, ovvero da "amnesie tattiche" o, peggio, opportunistiche rimodulazioni in corso d'opera allorché potevano profilarsi delle contestazioni, non solo risultano affatto credibili ma anche sorrette da riscontri esterni.
Invero il teste (...) che gestiva un bar nei pressi dell'abitazione del (...), e della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare non essendo emersi dati neppure per ipotizzare un suo interesse al mendacio, ha riferito di aver più volte visto l'imputato - da lui conosciuto - che urlava e sbraitava contro il (...) minacciandolo. In atti vi è poi la richiesta di diffida avanzata dal (...) già in data 20 febbraio 2014 nonché la sua denuncia ed il referto medico che, in data 6 giugno 2014, attesta resistenza di uno stato d'ansia della persona offesa.
Non vi è dubbio quindi che i fatti si siano svolti proprio come descritti e denunciati dalla persona offesa tanto più che l'imputato non ha addotto alcun dato, neppure ipotetico o indiretto, in grado di contraddire la prospettazione accusatoria o, quantomeno, porre in dubbio l'attendibilità di quanto denunciato dalla persona offesa che, peraltro, ha escluso - senza trovare smentita alcuna - che vi potessero essere questioni pregresse relative al rapporto lavorativo intercorso con il padre dell'imputato.
Analogamente non possono sussistere dubbi circa la configurabilità del delitto contestato essendo incontestabile - alla luce degli atti - che il (...) abbia posto in essere contro il (...) condotte violente o meglio minacciose volte a costringerlo a consegnargli somme di denaro certamente non dovute e quindi, in sostanza, a garantirgli un profitto ingiusto con corrispondente danno per la persona che, peraltro, non ha neppure negato - a conferma della sua credibilità - di aver per lungo tempo accondisceso alle sue richieste che però erano fatte senza minacce o violenze.
(...) va pertanto condannato in relazione al delitto ascrittogli e nell'ottica del doveroso adeguamento della sanzione al fatto concreto - considerata la modesta entità delle somme indicate dalla persona offesa - possono essergli concesse le circostanze attenuanti generi che. Va poi esclusa la recidiva contestata non apparendo la condotta incriminata un sintomo di un aggravamento della pericolosità sociale dell'imputato. Applicati allora i criteri di cui all'art. 133 c.p. risulta equa la pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro novecento,00 di multa così ridotta ex art. 62 bis c.p. la p.b. di anni 2 di recl. ed Euro 1300,00 di multa. Ex lege segue la condanna dell'imputato al pagamento mentre i precedenti penali del (...) risultano ostativi alla concessione in suo favore del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il notevole carico di lavoro dell'udienza e complessivo infine ha determinato il ricorso ad un più ampio termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533,535 c.p.p. dichiara (...) responsabile del delitto ascrittogli esclusa la recidiva contestata e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 900,000 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Indica in giorni trenta il termine per il deposito delle motivazioni della sentenza.
Così deciso in Napoli il 4 gennaio 2021.
Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2021.