Tribunale Nola, 25/01/2022, n.2119
La creazione e la commercializzazione di un marchio simile a un altro già registrato non integra automaticamente il reato di contraffazione, qualora l'autore abbia seguito una procedura regolare per la registrazione del nuovo marchio presso l'Ufficio Marchi e Brevetti e abbia agito in buona fede, senza l'intento di replicare o confondere il consumatore, come dimostrato dall'indicazione trasparente della provenienza sui prodotti.
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione emesso dal P.M. sede in data 18.4.2018, Ca. Ma. e Ma. Sa. venivano tratti a giudizio di questo Tribunale per rispondere del reato in epigrafe trascritto innanzi al got. Dott. Al. Li..
Alla prima udienza del 24.10.2018, dichiarata l'assenza di entrambi gli imputati, regolarmente citati e non comparsi, e ammessa la costituzione di parte civile, il processo veniva rinviato stante l'assenza dei testi. Dopo un rinvio disposto all'udienza del 9.5.2019 in quanto i difensori dichiaravano di aderire all'astensione proclamata dall'associazione di categoria, si giungeva in quella del 10.10.2019, nella quale, rigettata una richiesta di emissione di sentenza di n.d.p. ai sensi dell'art. 129 c.p.p. da parte del difensore del Ca. come da ordinanza dettata a verbale, il giudice dichiarava l'apertura del dibattimento e le parti formulavano le proprie richieste istruttorie che venivano ammesse. Si acquisivano verbale di perquisizione e sequestro, foto, diffide e risposte, visura camerale e si procedeva ad escutere i testi Tr. Da. e Do. Do. e all'esito il Pm dichiarava rinunciava all'escussione dei testi Bo. e Sc., che venivano, quindi, revocati dal giudice per superfluità. L'avv. Co. presentava nuova richiesta di emissione di una sentenza ex art. 129 c.p.p. sulla quale il giudice si riservava. Alla successiva udienza del 31.10.2019 veniva escusso il teste di p.c. Ma. Lu. Pi. e all'esito il difensore di p.c. dichiarava di rinunciare all'escussione del teste Si. Ri., che veniva revocato dal giudice. Il giudice, a scioglimento della riserva, rigettava la richiesta ex art. 129 c.p.p. e disponeva procedersi oltre. Il difensore di Ma. dichiarava di rinunciare all'escussione del proprio teste di lista e il giudice rinviava per esami imputati e testi della difesa di Ca.. Alla successiva udienza del 23.1.2020 veniva escusso il teste della difesa Am. Se. e si acquisiva documentazione.
Dopo il rinvio dell'udienza del 20.2.2020 per assenza del giudice e del 23.4.2020 in esecuzione della normativa emergenziale per contrastare l'epidemia da Covid-19, si giungeva in quella del 25.6.2020, che veniva ulteriormente rinviata per assenza testi.
L'udienza del 5.11.2020, celebrata da questo g.m., subentrato sul ruolo, veniva rinviata in accoglimento di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore mentre quella del 4.2.2021 in accoglimento di una congiunta richiesta delle parti.
All'udienza del 10.6.2021 si dava atto dell'avvenuta revoca della costituzione di parte civile, si acquisiva accordo transattivo intervenuto tra le parti e veniva escusso il consulente della difesa Ce. Sa..
L'udienza del 30.9.2021 veniva rinviata in quanto i difensori dichiaravano di aderire all'astensione proclamata dall'associazione di categoria.
Giunti all'udienza del 4.11.2021, dopo aver preliminarmente acquisito il consenso delle parti all'utilizzabilità di tutto il materiale probatorio per essere mutata la persona fisica del giudice, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti procedevano alla discussione, all'esito della quale formulavano le rispettive richieste riportate in epigrafe e il giudice pronunciava la seguente sentenza resa pubblica mediante lettura del dispositivo all'esito della camera di consiglio.
Motivi della decisione
Sulla scorta dell'istruttoria dibattimentale espletata e della corposa documentazione acquisita non può essere affermata la penale responsabilità degli imputati per il reato a loro ascritto dal quale vanno mandati assolti perché il fatto non sussiste.
La vicenda trae origine dalla denuncia/querela sporta dalla società "(omissis) s.r.l.", operante nel settore della produzione di abbigliamento, calzature e accessori di alta gamma, sulla quale deponeva in dibattimento il dott. Do. Ro., l.r. della società, nonché socio fondatore del marchio (cfr. visura camerale in atti).
Egli, nello specifico, affermava che la società da lui rappresentata distribuisce i propri prodotti in tutto il mondo e che in Italia, ove si registra la maggiore entità di fatturato, vi sono due show room e la distribuzione avviene tramite agenzie su base regionale. Nel 2017 l'agente della Campania, St. No., gli aveva segnalato che una società napoletana, la "Se. Ra." di Sa. Ma., stava distribuendo prodotti a marchio Ph. Mo. pur non essendo autorizzata a farlo. Effettuata una ricerca tramite Facebook, si accertava che la società sponsorizzava svariati prodotti che presentavano il logo Ph. Mo. e il marchio a forma di scudo (cfr. foto in atti), entrambi regolarmente registrati dalla (omissis) s.r.l. sia in ambito delle calzature che dell'abbigliamento (cfr. registrazione dei marchi denominativi "Ph. Mo." del 21.3.2014 e "Ph. Mo. Pa." del 14.2.2012 e del marchio figurativo - scudo - del 27.2.2014 - 12.3.2014, in atti).
Tramite ulteriori accertamenti, si era poi riusciti a verificare che il distributore dei capi proposti in vendita dalla "Se. Ra." era la società "Ma. Br. s.r.l.s." riconducibile a Ca. Ma. e oggetto di cessione a favore di un cittadino extracomunitario, Si. Ri. in data 6.7.2017 (cfr. visura camerale in atti).
A quel punto i legali della (omissis) s.r.l. avevano mandato una lettera di diffida all'utilizzo del marchio e del logo alla Ma. Br. e alla Se. Ra. alla quale aveva risposto il Ma. affermando di non essere a conoscenza della circostanza che il marchio fosse registrato (cfr. lettera di diffida del 20.6.2017 e risposta, in atti). Il successivo tentativo di trovare un accordo tra le parti e quindi di far cessare la commercializzazione dei capi da parte della "Se. Ra." non era andato a buon fine (cfr. raccomandata inviata alla "Se. Ra."), e la società aveva continuato a vendere la merce. La (omissis) si era, quindi, determinata a sporgere denuncia per tale comportamento.
Sulla base della denuncia, era stato poi emesso un decreto di perquisizione e sequestro presso l'abitazione del Ca., attività effettuata il 5.9.2017 sulle quale riferiva in dibattimento il teste Tr. Da., all'epoca dei fatti comandante del nucleo mobile della Compagnia GDF di (omissis) (cfr. verbale di perquisizione e sequestro, con allegato fascicolo fotografico, in atti).
Egli, in particolare, riferiva che era stata conferita delega di procedere al sequestro di tutta la merce rinvenuta che presentasse il marchio Ph. Mo., in quanto ritenuto contraffatto: capi di abbigliamento di questo tipo erano stati rinvenuti presso l'abitazione del Ca., sita in (omissis), all'interno di un borsone che l'imputato aveva spontaneamente consegnato alle forze dell'ordine (si trattava di 21 felpe, 23 t-shirt, 2 giubbotti, 3 paia di pantaloni, n. 1 formulario per ordini riportante il marchio indicato dal quale si evincevano 4 cessioni di merce a favore della Se. Ra.). Ulteriore merce, e in particolare 67 scatole vuote riportanti il marchio indicato veniva rinvenuta in una stanza nella disponibilità di Ca. Mi., nonno dell'imputato, nonché nel veicolo
(omissis) tg (omissis) di proprietà del Ca. (n. 25 scatole contenenti 17 felpe e 34 t-shirt riportanti il marchio indicato, n. 2 work book, n. 15 formulari, tutto riportante il marchio indicato).
Tutto quanto rinvenuto veniva sottoposto a sequestro e fotografato.
Ulteriore perquisizione veniva effettuata presso la sede legale della Ma. Br., in (omissis) alla via (omissis), nei confronti di Am. Se., dipendente della società, nel corso della quale veniva rinvenuta e sequestrata documentazione varia riconducibile al marchio in parola (ricevuta presentazione marchio, fatture di vendita, lettera di assunzione della Am., cessione della società a Si. Ri., visura societaria, n. 7 stampe/bozze recanti il marchio "Ph. Mo. Co." e "Ph. Mo. Co." nel pc, cfr. verbale di perquisizione e sequestro).
Anche in questo caso gli agenti avevano quindi proceduto a fotografare la merce e le foto erano state mostrate al Do., che aveva confermato l'avvenuta contraffazione del marchio, nel senso che quello registrato dalla (omissis) s.r.l. a suo avviso risultava riprodotto fedelmente sui capi sequestrati, con il rischio di creare confusione nella clientela (cfr. mail inviata dalla società Ve. alla (omissis) in data 10.7.2018 e dalla Br. il 24.7.2018 con segnalazione di sospetta contraffazione del marchio) in quanto il marchio riportato sulla merce commercializzata dal Ca. riportava il simbolo dello scudo al posto della O.
Nel corso della perquisizione effettuata presso la sede della "Se. Ra." alcunché veniva rinvenuto.
L'ufficiale Tr. aveva preso, inoltre, contezza della sussistenza di una richiesta di registrazione del marchio da parte della società Ma. Br. s.r.l.s (cfr. richiesta di presentazione del marchio d'impresa del 17.5.2017, in atti); il Do. precisava al riguardo che la (omissis) s.r.l. si era opposta alla registrazione, come risulta dall'atto di opposizione acquisito in atti.
L'avvocato Ma. Pi., teste della p.c. escusso in dibattimento che si occupa di tutela della proprietà intellettuale, marchi e brevetti e che aveva ricevuto un incarico dalla (omissis) s.r.l., dichiarava che la procedura di registrazione del marchio richiesta dalla Ma. Br., relativa al marchio "Ph. PL DE. Co." recante uno scudo posto tra le parole "PH." e "DE." all'interno del quale erano incise le lettere "PL" non era ancora terminata in quanto, essendo stata opposta dalla (omissis) s.r.l., l'Ufficio Marchi e Brevetti stava procedendo a verificare i requisiti di novità e di validità del marchio e se il marchio potesse indurre in confusione il cliente perché simile a quelli già registrati sia di tipo denominativo ("Ph. Mo." e "Ph. Mo. Pa.") che figurativo (scudo obliquo).
La teste chiariva che per stabilire se un marchio successivo può indurre in confusione il consumatore bisogna porre attenzione sul segno distintivo dominante, che salta all'attenzione del cliente, nel caso concreto costituito dalla scritta "PH. – DE." e dal simbolo dello scudo - dritto e non obliquo come quello registrato dalla P.M. - all'interno del quale sono incise le due lettere "PL" a caratteri molto piccoli e con lo stesso colore dello scudo. Precisava che né la scritta sottoposta "co.", né le lettere "PL" incise nello scudo potevano essere considerate decisive.
Chiariva, ancora, che il marchio registrato dalla (omissis) s.r.l. è riferito a prodotti di abbigliamento, calzature e cappelleria, ovvero tutta la classe merceologica n. 25, la stessa per la quale aveva chiesto la registrazione anche la Ma. Br..
La teste, infine, riferiva di aver effettuato diverse consulenze visionando beni oggetto di sequestro da parte della GDF per accertare la contraffazione o meno del marchio Ph. Mo.. Aveva, quindi, accertato varie volte che non si trattava di beni originali della (omissis), ma non poteva riferire con certezza sulla loro provenienza dalla Ma. Br., ovvero se si trattava di merce avente sempre la stessa origine. Chiariva, però, che in vari casi aveva rinvenuto la presenza dello scudo con all'interno la scritta "PL" identificativa dei capi prodotti dalla Ma. Br..
In dibattimento si è proceduto, altresì, ad escutere Se. Am., fidanzata del Ca. e dipendente della Ma. Br. s.r.l.s. dal 2017, all'interno della quale si occupava di amministrazione e vendite, la quale riferiva che la società aveva in una prima fase commercializzato prodotti con un proprio marchio e poi il Ca. aveva deciso di creare il marchio "Ph. PL DE. Co.", affidandosi per la gestione della procedura all'avv. Ce. che gli aveva confermato la legittimità del marchio. Pertanto, ricevuto un parere positivo dal suo legale, l'imputato aveva depositato la richiesta all'ufficio Brevetti e Marchi che aveva dato il consenso a iniziare la commercializzazione dei prodotti di abbigliamento.
In seguito alle vicende sopra descritte e in particolare alla perquisizione che aveva portato al sequestro della merce, la società aveva subito un importante danno di immagine nei confronti della clientela, anche per quanto attiene alla credibilità del primo marchio registrato dal Ca., Ma. Br., ragion per cui l'imputato si era determinato a cedere la società. L'imputato aveva poi costituito un'altra società, "Br. So. s.r.l." (cfr. visura camerale in atti), con la quale aveva acquistato il marchio "Ph. Pl De. Co." e commercializzato la merce, la quale al suo interno nel cartellino aveva sempre indicata la provenienza dalla "Ma. Br. s.r.l.".
L'Am. chiariva che i capi commercializzati con marchio "Ph. Pl De. Co." erano rivolti ad una clientela più semplice rispetto a quella del marchio di lusso Ph. Mo., che è anche decisamente più caro.
L'attività posta in essere in quella azienda, a detta della teste, prevedeva l'acquisto del prodotto finito da aziende neutre, al quale loro procedevano ad apporre il marchio.
Il difensore parte civile mostrava in visione alla teste degli screenshot del pc dell'azienda effettuate dagli agenti in sede di perquisizione e sequestro riportanti marchi diversi che richiamano sempre le parole "Ph." e lo scudo e che erano contenute in una cartella denominata "Ph. Mo. Pa.": rispetto a questo dato, la teste affermava che le schermate erano il risultato di uno studio che avevano condotto per capire quale fosse il problema di somiglianza con il marchio (omissis): avevano sovrapposto il marchio (omissis) con altri di propria creazione per escludere le somiglianze.
Tale studio era stato fatto in quanto il Ma., in qualità di agente di commercio della società Ma. Br., a cui avevano consegnato dei campionari di abbigliamento e che li aveva sponsorizzati sulla sua pagina FB, aveva ricevuto una mail dalla (omissis) che gli riferiva che stesse vendendo merce contraffatta, pertanto, aveva informato il Ca. di tale circostanza.
Circa il processo pendente innanzi all'ufficio brevetti e marchi, la teste riferiva che non era stato vietato l'utilizzo del marchio, in quanto la procedura non era stata definita.
Infine, si è proceduto ad escutere l'avv. Ce. Sa., il quale riferiva di aver assistito in diverse occasioni Ca. Ma. nella registrazione di marchi per capi di abbigliamento. Quanto nello specifico al marchio "Ph. Pl Del Col", l'avv. Ce. affermava di aver curato la richiesta di registrazione del marchio, dopo aver verificato l'inesistenza di marchi similari con il quale avrebbe potuto essere confuso. In particolare, non era stata rilevata la sussistenza di marchi contenenti la parola "Ph." e, quanto al simbolo dello scudo, lo stesso non poteva essere considerato un segno distintivo, mancando di quelle caratteristiche tali da rendere immediatamente comprensibile al consumatore la provenienza del prodotto.
Per quanto attiene all'avvenuto sequestro della merce, il teste chiariva di aver precedentemente riferito al Ca. che dopo la richiesta di registrazione del marchio era possibile utilizzarlo, ragion per cui l'imputato aveva iniziato a commercializzare dei capi di campionario per sondare il mercato.
A questo punto, va dato atto della circostanza che a seguito del rigetto della richiesta di registrazione del marchio, avvenuta in data 29.9.2020 da parte dell'UIBM, la (omissis) s.r.l. e la Br. So. s.r.l.s. hanno raggiunto un accordo transattivo in data 11.5.2021 nel quale la Br. So. s.r.l.s. riconosce la validità e la rinomanza dei marchi e la loro esclusività in capo alla (omissis) s.r.l., dichiarando di aver cessato la produzione e la commercializzazione dei prodotti recanti il marchio oggetto di richiesta (cfr. doc. acquisita all'udienza del 10.6.2021, in atti).
Così ricostruita la sintesi dell'istruttoria dibattimentale, non si ritiene raggiunta la prova della penale responsabilità di Ca. Ma. e Ma. Sa. per i reati a loro ascritti, ovvero per aver contraffatto, fatto uso o comunque posto in vendita capi di abbigliamento e calzature con marchi contraffatti, riproducente il marchio "Ph. Mo. Pa.".
L'impianto probatorio ha consentito, infatti, di dimostrare che il Ca., titolare di una società di commercio all'ingrosso di abbigliamento ed accessori, nel 2017 aveva avviato una regolare pratica di registrazione del marchio "Ph. Pl Del Col" presso l'ufficio marchi e brevetti, rivolgendosi oltretutto ad un legale per farsi assistere nella procedura. Fino al momento in cui tale richiesta è stata rigettata, quindi solo nel 2021, egli aveva iniziato la produzione di un campionario di merce apponendovi il marchio citato e cedendola al Ma. affinché la sponsorizzasse.
Orbene, non si ritiene che tale comportamento integri gli estremi del contestato reato in capo ad alcuno dei due imputati.
Il Ca., infatti, lungi dal riprodurre fedelmente il noto marchio registrato "Ph. Mo. Pa.", aveva chiesto la registrazione di un marchio denominativo diverso, "Ph. Pl De. Co." e lo aveva fatto seguendo la corretta procedura prevista dalla legge. La circostanza, poi, che la raffigurazione di tale marchio risultava simile a quello registrato dalla (omissis) s.r.l., è stata oggetto di valutazione da parte dell'U.I.B.M. che è poi arrivata alla decisione di rigettare la richiesta, sulla base dell'opposizione presentata dalla (omissis), in quanto la situazione poteva generare confusione nel consumatore.
Ciò detto, è evidente che il comportamento del Ca., improntato ad ottenere il nulla osta all'utilizzo del marchio, non possa essere inteso come antigiuridico, non avendo egli voluto contraffare il marchio "Ph. Mo. Pa.", ma piuttosto crearne uno proprio rivolto, oltretutto, ad una clientela nettamente diversa. Basti riflettere sul fatto che i capi prodotti dalla (omissis) s.r.l. sono ritenuti di lusso e hanno un prezzo alto, a differenza di quelli prodotti dalla Ma. Br. - Br. So., destinati ad un pubblico meno esigente.
Inoltre, la circostanza che sui cartellini della merce posta sotto sequestro era indicata la provenienza dalla Ma. Br. s.r.l.s. fuga ogni ulteriore dubbio sulla buona fede dell'imputato, che intendeva creare
un proprio marchio di abbigliamento e che ha continuato a seguire la procedura di registrazione del marchio anche con la nuova società Br. So..
Ne deriva, di conseguenza, anche l'assoluzione del Ma., che aveva ricevuto e commercializzato capi con il marchio Ph. Pl De. Co. mentre era pendente la procedura di registrazione.
All'assoluzione degli imputati segue il dissequestro e la restituzione di quanto oggetto di sequestro.
La complessità dell'istruttoria e i carichi di lavoro rendono opportuno riservare il deposito dei motivi in un termine più lungo di quello ordinario.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 c.p.p. assolve CA. Ma. e MA. Sa. dai reati a loro ascritti perché il fatto non sussiste.
Ordina il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro.
Fissa in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Nola, il 4 novembre 2021
Depositata in Cancelleria 25 gennaio 2022