Corte appello Napoli sez. VI, 11/09/2024, n.7320
Il reato di contraffazione di marchi (art. 474 c.p.) tutela la pubblica fede e non richiede l’inganno dell’acquirente per configurarsi, essendo un reato di pericolo. La consapevolezza dell’illecita provenienza dei beni, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione (art. 648 c.p.), può essere desunta da elementi indiziari, come la mancata giustificazione dell’imputato sulla provenienza dei beni.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza emessa a seguito di giudizio ordinario in data 27.02.2015, il Giudice Monocratico del Tribunale di Napoli dichiarava Ga.Do. colpevole dei reati ascritti in imputazione e lo condannava alla pena (sospesa) indicata in epigrafe ed al risarcimento del danno causato alla P.C., da liquidarsi in separata sede, ordinando altresì la confisca e la distruzione di quanto in sequestro Avverso la predetta sentenza di condanna presentava appello la Difesa reclamando:
1. l'assoluzione del proprio assistito quantomeno ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p. stante l'erronea applicazione della legge e la carenza di motivazione. Ed invero, il Giudice di prime cure, avrebbe ipervalutato elementi equivoci ed ambivalenti svalutando, per converso, quelli favorevoli. Assume, al riguardo, la Difesa come l'inganno necessario ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 474 c.p. sarebbe scongiurato da due elementi. Il primo, desumibile dalla sentenza di primo grado, ove è specificato che la falsità dei capi di abbigliamento si evincerebbe dalla modalità della vendita, svolto su una rudimentale bancarella, nonché dalla qualità difforme della merce rispetto a quella normalmente contraddistinta da marchi originali. Il secondo elemento risiede nella consapevolezza dell'acquirente di acquistare prodotti contraffatti, essendo la merce in vendita su di una bancarella sulla pubblica via e con prezzi notevolmente inferiori, configurando così la fattispecie del falso grossolano e del conseguente reato impossibile. La Difesa reclama altresì l'assoluzione dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 648 c.p. in ragione della mancanza di prova piena circa la conoscenza, da parte del predetto, dell'illecita provenienza della merce.
2. l'assoluzione dell'imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. essendo presenti nella fattispecie in disamina tutti gli elementi della tenuità del fatto desumibili, in base all'art. 133 c.p., dalle modalità della condotta, dal grado di colpevolezza e dall'entità del danno o del pericolo. Secondo la prospettazione difensiva, in merito all'elemento dell'offensività della condotta apparrebbe evidente il minimo danno arrecato al bene giuridico e l'inoffensività del fatto avendo il giudice di prime cure concesso sia le circostanze attenuanti generiche sia la circostanza speciale di cui all'art. 648 cpv. c.p.;
3. la rideterminazione del trattamento sanzionatorio da attestarsi al minimo edittale stante l'incensuratezza dell'imputato nonché la lieve entità del danno economico arrecato.
All'udienza camerale del 14 giugno 2024 (dopo un rinvio imposto per la riorganizzazione della sezione), la Corte, in composizione mutata, riunitasi in camera di consiglio con le modalità di cui all'art 23 comma 9 del D.L. 28.10.2020 n. 137, come richiamato dall'art. 23 comma 3 D. L. 9.11.2020 n. 149 in assenza di richiesta di trattazione orale, acquisiva le conclusioni scritte del PG e della PC e decideva il procedimento depositando il dispositivo che in questa sede si motiva, assegnando per il deposito il maggior termine indicato, tenuto conto dei numerosi e concomitanti procedimenti con imputati detenuti.
La sentenza impugnata va riformata con declaratoria di improcedibilità risultando entrambi i reati estinti per intervenuta prescrizione. Invero, essendo i reati contestati accertati in data 15.01.2013 e stante l'assenza di periodi di sospensione, deve ritenersi maturato in data 15.07.2020 il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, previsto a norma degli artt. 157 e ss. c.p. per il reato di cui al capo 1 ed in data 15.01.2023 il termine massimo dì prescrizione, pari ad anni 10, previsto per il reato di cui al capo 2.
Ciò premesso, va osservato che questa Corte è tenuta comunque ad esaminare il merito al fine di scrutinare la fondatezza delle confermate statuizioni civili in quanto è pacifico che "nel giudizio di impugnazione, in presenza dì una condanna ai risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell'art. 578 c.p.p., è tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell'azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o confermata dal giudice di appello". (Cass. Pen., Sez. IV, 14/09/2022, n. 46662).
I motivi di appello proposti vanno pertanto esaminati agli effetti di cui all'art. 578 c.p.p. F,d invero la Corte, ai fini delle statuizioni civili, ritiene integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione poste a fondamento della sentenza di condanna da parte del giudice di primo grado, ad esse riportandosi, laddove le censure formulate contro la decisione impugnata sostanzialmente non contengono elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal predetto giudice (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si integrano, costituendo un unicum inscindibile, vedi tra le altre Sez. 3, Sentenza n. 13926 del 01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012) Rv. 252615, Sez. 5, Sentenza n. 40005 dei 07/03/2014 Ud. (dep. 26/09/2014) Rv. 260303, Sez. 5, Sentenza n. 14022 del 12/01/2016 Ud. (dep. 07/04/2016) Rv. 266617, Cass. sez. III sent. n. 27300 del 14-5/1776-2004 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti nuovi o contraddittori mal valutati"). Ciò posto, va rigettata l'istanza assolutoria avanzata col primo motivo di gravame.
Ed invero, con riguardo alla illecita contraffazione dei numerosi capi recanti marchi diversi, appare necessario precisare come, secondo la costante e condivisibile giurisprudenza, l'inidoneità dei prodotti in sequestro ad ingannare un compratore di media attenzione, in relazione al prezzo di vendita ed alla scadente qualità della riproduzione, tale da non poter indurre in errore anche il più disattento degli acquirenti, non comporta l'inoffensività dell'azione per la grossolanità del falso, né esclude la sussistenza della fattispecie contestata, intesa principalmente a garantire la tutela penale dei marchi dalla contraffazione degli stessi; ritiene infatti detta giurisprudenza che la fattispecie di reato prevista dall'art. 474 c.p., sia volta a tutelare in via principale la pubblica fede, consistente nell'affidamento delia collettività nell'originalità dei marchi, segni distintivi dei prodotti industriali e delle opere dell'ingegno, che ne garantiscono la circolazione, e non la libera determinazione dell'acquirente, trattandosi di reato di pericolo del tutto indipendente dalla sussistenza di un inganno per il compratore e che pertanto non può parlarsi di reato impossibile per il solo fatto che l'asserita grossolanità della contraffazione e delle condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti vengano ingannati; di conseguenza il reato sussiste pienamente anche ove l'acquirente sia del tutto consapevole che trattasi di merce recante marchio contraffatto(cfr. Cass. V n. 40556 del 25/9/'08 ed ancora "integra il delitto di cui all'art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti con marchio contraffatto); né, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l'art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell'acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, dì un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno e nemmeno ricorre l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno" (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 20944 del 04/05/2012 Rv. 252836).
Pertanto, che le condizioni della merce siano state tali da non indurre in inganno il compratore e da non sviare la clientela rispetto al prodotto originario, sono circostanze che possono incidere sul trattamento sanzionatorio, onde contenerlo, ma non escludono la sussistenza del reato. Risulta dalla compiuta istruttoria che i prodotti detenuti dall'imputato riportavano marchi simili a quelli originali, riproducendone esattamente il logo. Pertanto, sussiste pacificamente il delitto di contraffazione contestato all'imputato.
Quanto al merito della decisione per il reato di ricettazione contestato al capo 2 e correttamente ricondotto dal Tribunale nella ipotesi di cui al cpv dell'art. 648 c.p., acclarata la sussistenza del reato presupposto, va subito evidenziato che questa Corte on può che confermare la motivazione sul punto del giudice di prime cure non emergendo elementi concreti per ritenere che l'imputato abbia provveduto personalmente alla illecita riproduzione dei diversi beni. Le modalità di ritrovamento del materiale e la mancanza di strumentazione idonea alla contraffazione inducono fondatamente a ritenere che il prevenuto abbia acquistato da altri la mercanzia in sequestro, peraltro rinvenuta al di fuori dei normali canali di commercializzazione.
Peraltro, deve evidenziarsi come la consapevolezza della provenienza illecita di una cosa, nell'ambito del delitto di ricettazione, possa essere desunta anche dalla mancanza di giustificazioni provenienti dall'imputato, cosa che è avvenuta nel presente processo, dove l'imputato non ha ritenuto di fornire chiarimenti in merito a fatti che gli vengono addebitati. Si vedano in proposito, Cassazione sez. IV sent. n. 47473 del 14-11/30-12-2005 la cui massima recita "la consapevolezza dell'agente in ordine alla provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento di fatto e da qualsiasi indizio giuridicamente apprezzabile, compreso il suo comportamento, elusivo della causale della ricezione".
Ne consegue, che va reietto il motivo di gravame assolutorio, in quanto impegnato a ripercorrere un tracciato già abbondantemente ed esaustivamente arato dalla motivazione della sentenza di primo grado, non essendo il giudice del gravame "tenuto a compiere un'analisi approfondita dì tutte le deduzioni delle parti ed a prendere in esame tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che anche attraverso una valutazione globale delle stesse egli spieghi adeguatamente le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dovendosi in tal caso ritenersi disattesa ogni singola doglianza che, anche se non espressamente confutata, sia logicamente incompatibile con la complessiva - da intendersi nel senso testé precisato - giustificazione della decisione (sez. 2, 10/11/2000, Gianfreda, rv. 218590).
L'intervenuta prescrizione del reato esonera questa Corte dall'esame del motivo sub 2 e di quello quoad penam, tenuto conto che la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 -bis cod. pen., sia perché diverse sono le conseguenze che scaturiscono dai due istituti, sia perché l'intervenuta prescrizione estingue il reato mentre l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. lascia inalterato l'illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (cfr. Cassazione penale, sez. III, 26 giugno 2015, n. 27055). Sulla scorta di quanto su esposto, pertanto, la sentenza impugnata va riformata con la declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell'imputato poiché i reati a lui ascritti risultano estinti per intervenuta prescrizione.
La sentenza va confermata nel resto, con specifico riguardo alle statuizioni di primo grado disposte in favore della Parte civile, che va sollevata anche dalle spese del presente grado, liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per assegnare per la stesura della motivazione il maggior termine indicato in dispositivo, ex art. 544 co III c.p.p., tenuto conto della necessaria previsione di termini più stringenti per i numerosi e concomitanti procedimenti con imputati detenuti.
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza emessa in data 27 febbraio 205 dal G.M. del Tribunale di Napoli, appellata da Ga.Do., dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine ai reati a lui ascritti in imputazione perché estinti per intervenuta prescrizione. Condanna l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile ne! presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 1.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge se dovute.
Conferma nel resto.
Motivazione riservata in novanta giorni.
Ai sensi dell'art. 23 comma 3 D.L. 9.11.2020 n. 149 pubblicato in G.U. del 9.11.2020, manda alla cancelleria per la comunicazione a mezzo PEC alle parti.
Così deciso in Napoli il 14 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria l'11 settembre 2024.