Tribunale Nola, 12/01/2023, n.1790
La vendita di prodotti con segni distintivi simili a marchi registrati, idonei a trarre in inganno il consumatore, integra il reato di cui all'art. 517 c.p. (vendita di prodotti con segni mendaci), anche se il marchio simile non è stato formalmente contraffatto o alterato. La responsabilità penale non può tuttavia essere estesa a chi, pur registrando un marchio simile, abbia agito in buona fede e non partecipato alla commercializzazione illecita.
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal PM in sede in data 28 gennaio 2019, Ia. Mi., D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e Ro. St. venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati in epigrafe indicati.
All'udienza del 14 giugno 2019, il giudice, accertata la regolare costituzione delie parti e disposto procedersi in assenza degli imputati, ritualmente citati e non comparsi, dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva i mezzi di prova orali e documentali richiesti dalle parti. All'esito, il processo veniva rinviato per l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale.
All'udienza dell'8 novembre 2019, si procedeva all'escussione dei testi, Di Ma. Di., Mo. Ga. e Bi. Ma. (di cui veniva acquisito anche il verbale di sommarie informazioni). All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.
All'udienza del 14 febbraio 2020, il processo veniva rinviato, stante l'assenza dei testi.
Rinviata d'ufficio l'udienza del 15 maggio 2020 per l'emergenza epidemiologica da COVID-19, alla successiva udienza del 23 ottobre 2020, il processo veniva rinviato, stante l'assenza dei testi.
All'udienza del 5 febbraio 2021, si procedeva all'escussione dei testi, Fi. Da. e Fr. Gi.. A quel punto, con il consenso delle parti si acquisivano la denuncia sporta da Bo. Ro. e i verbali di sommarie informazioni rese da quest'ultima e da Do. Mi., con rinuncia delle parti alla loro escussione. Il giudice, allora, revocava l'ordinanza ammissiva delle relative testimonianze e rinviava il processo in prosieguo.
All'udienza del 7 maggio 2021, si procedeva all'escussione del teste, To. Fa.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.
All'udienza dell'8 ottobre 2021, il processo veniva rinviato, stante l'assenza giustificata del residuo teste di lista del PM, Ta. Gi..
All'udienza del 14 gennaio 2022, il processo veniva rinviato, stante la mancata citazione del residuo teste di lista del PM, Ta. Gi., e l'assenza giustificata dei testi di lista dell'avv. Ba..
All'udienza del 25 marzo 2022, il processo veniva rinviato, stante l'assenza giustificata del residuo teste di lista del PM, Ta. Gi..
All'udienza del 20 maggio 2022, si procedeva all'escussione dei testi, Ta. Gi. e Gi. Gi.. All'esito il processo veniva rinviato in prosieguo.
All'udienza del 1° luglio 2022, si procedeva all'escussione del teste, Ia. An.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.
All'odierna udienza, il giudice, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, dava la parola alle parti, che concludevano come in epigrafe trascritto, e pronunciava la presente sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza.
Motivi della decisione
All'esito dell'istruttoria dibattimentale svolta, appare pienamente provata la responsabilità di D'A. An. (ci. 83), D'A. An. (ci. 59) e Ro. St. in ordine al reato di cui all'art. 517 c.p., così riqualificati i fatti a loro rispettivamente ascritti in rubrica; viceversa, Ia. Mi. va mandato assolto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.
Il presente procedimento trae origine dalla denuncia-querela sporta da Ta. Gi., in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della "Bl. S.p.a.", società avente sede in (omissis), alla via (omissis), n. (omissis), titolare, tra gli altri, del marchio "(omissis)" n. (omissis), depositato il 22 novembre 2011 e registrato il 6 giugno 2012, per contraddistinguere prodotti della classe 24, nell'ambito della quale sono compresi tessuti, articoli tessili, asciugamani, lenzuola e federe per guanciali. Ebbene, nelle settimane antecedenti la querela la predetta società era venuta a conoscenza della commercializzazione di biancheria recante il segno distintivo "(omissis)" oggetto della domanda di marchio n. (omissis), depositata il 4 marzo 2013 da Ia. Mi. (odierno imputato). Tale domanda, attesa la ritenuta contraffazione del marchio di cui era titolare la "Bl. S.p.a.", era all'epoca oggetto di una procedura di opposizione innanzi all'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), instaurata proprio dalla suddetta società.
Ed invero, una prima segnalazione veniva fatta nel luglio del 2015 da tale Ti. di (omissis) alla "Sv. Do. S.p.a.", licenziataria dei marchi della "Bl. S.p.a.", in particolare nei settori dell'arredo tessile e delle spugne. La consumatrice lamentava di aver acquistato su "Canale (omissis)" completi di lenzuola "(omissis)", che la stessa, dopo aver ricevuto, constatava riportassero in realtà il segno distintivo "(omissis)".
Nel medesimo periodo (luglio-agosto 2015) venivano riferiti sempre dalla "Sv. Do. S.p.a." alcuni episodi relativi alla commercializzazione di prodotti di biancheria, riportanti il segno distintivo "(omissis)" da parte delle società "Tr. D S.r.l.s.", con sede in (omissis), alla via (omissis), n. (omissis), "In. Bi. Bi. S.a.s. di Bi. Do. e C." con sede in (omissis), alla via (omissis), n. (omissis), e "Id. Ho. S.r.l.s.", con sede in (omissis), alla via (omissis), n. (omissis). In particolare, il Ta. veniva informato del fatto che Mo. Ga., agente di vendita della "Sv. Do. S.p.a.", avesse acquistato presso l'"In. Bi. Bi. S.a.s. di Bi. Do. e C." una coppia di asciugamani riportante il segno distintivo "(omissis)".
Nell'autunno del 2015 venivano riferiti ulteriori episodi. Innanzitutto, la vendita da parte della società "Fa. Ma. S.r.l.s." di (omissis) di guanciali con segno distintivo "(omissis)", apposto sia sul prodotto che sull'etichettatura dello stesso, nella quale era riportata la dicitura "distribuito da 3. S.r.L.". In seguito, la commercializzazione di articoli da letto e da bagno, recanti sempre il segno distintivo "(omissis)", da parte del negozio "(omissis)" di (omissis), il cui titolare riferiva di aver acquistato tali prodotti dall'"In. Bi. Bi. S.a.s. di Bi. Do. e C." Ancora, la vendita di accessori per il taglio della pizza, sempre recanti il medesimo segno distintivo, distribuiti, come indicato dalla allegata brochure pubblicitaria dalla società "Tr. D S.r.L.". Infine, nel dicembre 2016, la commercializzazione presso il "Ce. Se. Ro. S.p.a." di asciugamani recanti il segno distintivo "(omissis)".
Il Ta., allora, atteso che i prodotti segnalati dalla "Sv. Do. S.p.a." recavano un segno distintivo che riproduceva integralmente il marchio "(omissis)" e che non vi erano rapporti commerciali in essere tra la "Bl. S.p.a." e le società che commercializzavano i predetti articoli, si determinava a sporgere denuncia-querela, ritenendo che fossero state poste in essere condotte idonee a ledere la pubblica fede, sub specie di fiducia dei consumatori nei mezzi simbolici di riconoscimento e distinzione della fonte di provenienza del prodotto, oltre che il proprio interesse individuale a contenuto economico-patrimoniale, correlato alla titolarità del marchio in questione e all'esclusività dei relativo sfruttamento.
Analoga denuncia veniva sporta da Bo. Ro., la quale lamentava di aver acquistato, tramite una televendita ("L'A. di An.") andata in onda su "(omissis)", al prezzo di 135,00 due completi di lenzuola "(omissis)", che la stessa, dopo aver ricevuto, constatava riportassero in realtà il segno distintivo "(omissis)". In sede di denuncia, la donna produceva, oltre alle fotografie dei prodotti acquistati, la lettera di vettura e rilasciata dal corriere e il foglio rinvenuto all'interno del parco, da cui risultava che il soggetto venditore fosse la "Sh. Tv S.a.s. di Ro. St." (odierna imputata), avente sede in (omissis), alla via (omissis), n. (omissis).
Interpellato sulla vicenda, Do. Mi., amministratore delegato della "Sv. Do. S.p.a.", azienda produttrice di biancheria per la casa e licenziataria del marchio "(omissis)" su tutto il territorio nazionale e all'estero, ha confermato di aver preso visione, sia direttamente che tramite la segnalazione dei suoi agenti di zona, Fi. Da. e Mo. Ga., dei prodotti riportanti il marchio "(omissis)". Sul punto, il Do. ha chiarito che si trattava di capi contraffatti in quanto:
- il disegno riprodotto in stampa non era utilizzato nelle produzioni di articoli a marchio "(omissis)" e non era autorizzato dal licenziante, come stabilito contrattualmente;
- la confezione non corrispondeva a quella utilizzata nella produzione di capi di biancheria a marchio "(omissis)";
- le immagini e i colori utilizzati nel packaging del prodotto non corrispondevano a quelli utilizzati e autorizzati dal licenziante nella produzione dei capi a marchio "(omissis)".
Gli accertamenti nel frattempo svolti dalla p.g. operante, su cui ha riferito il Mar. Di. Di Ma., consentivano di riscontrare quanto riferito dal titolare delia "Bl. S.p.a.". Ed invero, dalla documentazione acquisita presso i vari operatori commerciali coinvolti nella vicenda emergeva, innanzitutto, che Ia. Mi., in qualità di titolare del marchio in attesa di registrazione "(omissis)" (in virtù della domanda presentata all'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi), aveva concesso a partire dal 1° gennaio 2015 e per la durata di tre anni la licenza dello stesso alla "Da. Mo. S.r.l.". Successivamente, in data 26 gennaio 2015, a integrazione del predetto contratto, lo Ia. autorizzava la "Da. Mo. S.r.l." a concedere l'utilizzo del marchio anche alla "Tr. D S.r.l.", con espressa previsione di solidarietà per l'esatto adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti del licenziante. E così, quest'ultima, divenuta nel frattempo licenziataria del marchio in contestazione, in data 2 luglio 2015, autorizzava a sua volta la "In. Bi. Bi. S.a.s. di Bi. Do. e C." a commercializzare biancheria per la casa con il logo "(omissis)".
In merito, poi, agli episodi di commercializzazione che avevano riguardato quest'ultima azienda veniva escusso a sommarie informazioni Bi. Ma., uno dei soci della "In. Bi. Bi. S.a.s. di Bi. Do. e C.", il quale ammetteva di aver acquistato merce riportante il marchio in contestazione dalia "Da. Mo. S.r.l.", il cui titolare era tale D'A. An., detto "(omissis)", il quale aveva un deposito ad (omissis) nel quale stoccava merce da lui importata, che rivendeva a numerosi esercizi commerciali. Prima di effettuare il predetto acquisto, lo stesso, unitamente al fratello, Bi. Do. (amministratore della società), si era rivolto proprio al D'A. al fine di avere rassicurazioni sul fatto che il marchio "(omissis)" fosse stato registrato. Questi, in tale occasione, produceva documentazione comprovante la registrazione di detto marchio, assicurandoli che non si trattasse di merce contraffatta. I rapporti con il D'A. si erano, poi, interrotti allorquando quest'ultimo aveva tentato di registrare un marchio molto simile a quello di cui i Bi. erano titolari, ovvero "Bu. di me.". Venivano, poi, acquisite delle fatture che comprovavano l'acquisto di tale merce dalla "Da. Mo. S.r.l." (fatture n. 240 e 248 del 20 maggio 2015 e del 28 maggio 2015, del rispettivo importo di 1872,00 e 780,00 Euro) e la successiva rivendita della stessa in favore della ditta "Am." (fattura n. 15/001495 del 15 giugno 2015). Anche in ordine agli episodi di commercializzazione che avevano interessato la "Fa. Ma. S.r.l.s." e la "Id. Ho. S.r.l.s." l'acquisizione delle fatture esibite da queste ultime aziende consentiva di appurare che la merce in questione fosse stata fornita sempre dalla "Da. Mo. S.r.l".
La p.g. operante, allora, eseguiva degli accertamenti su tale società e aveva modo di appurare che la stessa avesse sede in (omissis), al corso (omissis), n. (omissis), e che l'amministratore unico all'epoca dei fatti fosse D'A. An., nato ad (omissis) il (omissis) (odierno imputato). Si procedeva, quindi, all'escussione a sommarie informazioni del consulente dell'azienda e in tale occasione si acquisiva il paritario dei clienti, che forniva riscontro agli acquisti effettuati dalla "In. Bi. Bi. S.a.s. di Bi. Do. e C". Ed invero, nel predetto partitario erano presenti due fatture identiche per importo e per data di emissione a quelle prodotte da quest'ultima ditta.
In merito, invece, agli episodi di commercializzazione che avevano riguardato l'"Ar. Ca. S.a.s." e la "Ne. Fr. Fe. S.r.l.", che aveva pubblicizzato su una pagina del quotidiano "Il Ma." la vendita di prodotti recanti il marchio in questione, oltre a escutere a sommarie informazioni i rappresentanti legali, venivano acquisite delle fatture che comprovavano l'acquisto di tale merce dalia "Tr. D S.r.l.s." (fatture n. 46 e n. 85 del 15 marzo 2016 e del 13 aprile 2016, dell'importo rispettivo di 20.712,20 e di 900,00 Euro) e la successiva rivendita della stessa in favore del "Ce. Se. Ro. S.p.a." (fattura n. 911 del 2 maggio 2016 dell'importo complessivo di 18.183,45 Euro).
La p.g. operante, allora, eseguiva degli accertamenti sulla società fornitrice e aveva modo di appurare che la stessa avesse sede in (omissis), alla via (omissis), n. (omissis), e che l'amministratore unico all'epoca dei fatti fosse D'A. An., nato a (omissis) il (omissis) (odierno imputato). Si procedeva, quindi, all'escussione a sommarie informazioni de! consulente dell'azienda e in tale occasione si acquisiva il partitario dei clienti, che forniva riscontro agli acquisti effettuati dalla "Ar. Ca. S.a.s." e dalla "Ne. Fr. Fe. S.r.L.". Ed invero, nel predetto partitario erano presenti fatture identiche per importo e per data di emissione a quelle prodotte da queste ultime ditte.
Sentito in dibattimento, il legale rappresentante della "Ar. Ca, S.a.s.", To. Fa., ha confermato di aver acquistato nel marzo del 2016 prodotti (spugne e asciugamani) riportanti il marchio "(omissis)" dalla società "Tr. D. S.r.l.s." e di aver provveduto a rivendere parte di questi nel maggio del 2016 al "Ce. Se. Ro. S.p.a.". Successivamente, era stato contattato dal legale rappresentante della "Sv. Do. S.p.a.", licenziataria del marchio "(omissis)", ii quale diffidava la sua azienda dalla vendita di beni con il logo "(omissis)".
Analogamente, il legale rappresentante della "Ne. Fr. Fe. S.r.l.", Fr. Gi. ha confermato nel corso della sua escussione dibattimentale di essersi rifornito per diversi anni di biancheria dalla "Tr. D S.r.l.s.", interfacciandosi sempre con D'A. An., di aver acquistato dalla stessa nell'aprile del 2016 trecento pezzi di un set riportante il marchio "(omissis)" e di aver provveduto a pubblicizzare il predetto logo su una pagina del quotidiano "Il Ma." unitamente ad altri marchi da lui commercializzati.
La forte somiglianza tra i due marchi, idonea a trarre in inganno il consumatore finale, è stata confermata anche dagli agenti di zona della "Sv. Do. S.p.a.", Fi. Da. e Mo. Ga., che avevano avuto modo di visionare personalmente i prodotti a marchio "(omissis)", essendosi recati rispettivamente presso i punti vendita della "Id. Ho. S.r.l.s" e della "In. Bi. Bi. S.a.s. di Bi. Do. e C.", ove acquistavano i predetti capi.
Infine, sono stati escussi in dibattimento Gi. Gi. e Ia. An.. Il primo, che si si era occupato professionalmente della redazione del contratto di licenza di uso del marchio "(omissis)" tra lo Ia. e D'A. An., in qualità di titolare della Da. Mo. S.r.l.", ha spiegato che le parti erano al corrente del fatto che il predetto marchio, ancora in corso di registrazione, era stato colpito da opposizione da parte della "Bl. S.p.a.", tanto da dame atto nel contratto, ma erano giunte alla conclusione che tra i due marchi non vi potesse essere confusione e ciò sia per la diversa fonetica che per la differente grafica. Quando, poi, l'opposizione era stata accolta, io Ia. nel dicembre del 2015 aveva provveduto a comunicarlo alla "Da. Mo. S.r.l.", annullando il contratto e diffidandola dal commercializzare prodotti a marchio "(omissis)", come da missiva indirizzata per conoscenza anche alla Guardia di Finanza (cfr. documentazione, in atti).
Tali circostanze sono state confermate da Ia. An., padre dell'odierno imputato, il quale, in base alla sua esperienza professionale di agente di commercio, ha sostenuto che le differenze grafiche tra ii marchio "(omissis)" e quello "(omissis)" erano immediatamente percepibili e così evidenti da non poter trarre in inganno i consumatori, di media cultura e di alto livello economico, dei prodotti con il logo "(omissis)".
Tanto premesso, sulla scorta dell'istruttoria espletata, ritiene questo giudice che sia pienamente provata la responsabilità di D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e Ro. St. in ordine al reato di cui all'art. 517 c.p., così riqualificati i fatti a loro rispettivamente ascritti.
In punto di diritto, giova ricordare che l'art. 473 c.p. incrimina diverse condotte, tra cui quella di falsificazione di marchi o segni distintivi dei prodotti industriali (co. 1), laddove per marchio debba intendersi un segno che ha la funzione di distinguere i prodotti e i servizi su cui è apposto da ogni altro prodotto della medesima specie.
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "l'art. 473 cod. pen. (contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali), si propone di tutelare la fede pubblica contro gli specifici attacchi insiti nella contraffazione o alterazione del marchio o di altri segni distintivi, mentre l'art. 517 stesso codice (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) tende ad assicurare l'onestà degli scambi commerciali contro il pericolo di frodi nella circolazione dei prodotti. La prima norma incriminatrice esige, dunque, la contraffazione (che consiste nella riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio o di un segno distintivo) o la alterazione (che ricorre quando la riproduzione è parziale, ma tale da potersi confondere col marchio originario o col segno distintivo). L'altra norma prescinde, invece, dalla falsità, rifacendosi alla mera, artificiosa equivocità dei contrassegni, marchi ed indicazioni illegittimamente usati, tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte dei consumatori comuni" (Cass., Sez. V, 26 giugno 1996, n. 7720). Se, quindi, per "contraffazione" deve intendersi la riproduzione integrale del marchio in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, per "alterazione" deve intendersi la modificazione del segno, ricomprendente anche la imitazione fraudolenta, cioè la riproduzione parziale tale da potersi confondere con il marchio originale o con il segno distintivo (cfr. Cass., Sez. V, 9 marzo 2005, n. 38068).
In entrambi i casi, quindi, è richiesta la creazione di una controfigura del marchio autentico: deve cioè sussistere tra i marchi una somiglianza di grado assai elevato. Nel caso della pedissequa riproduzione, tale somiglianza si risolve in una vera e propria identità. Nel caso, invece, della imitazione parziale o alterazione, la somiglianza assume rilevo qualora il marchio, seppur riportante anche elementi autonomi, richiami fortemente quello originale nei suoi elementi essenziali e caratterizzanti.
La contraffazione del marchio è, dunque, costruita come fattispecie di pericolo, calibrato su un bene giuridico astratto a contenuto pubblicistico (interesse collettivo): la pubblica fede, sub specie di fiducia dei consumatori nei mezzi simbolici di riconoscimento e distinzione della fonte di provenienza del prodotto. Da qui la necessità ai fini dell'integrazione del reato de quo dell'astratta attitudine del segno contraffatto ad essere ex ante confuso con il marchio originale. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che tale potenziale decettivo non deve essere calibrato sull'interazione con un dato acquirente o potenziale acquirente, caso per caso, ma che va valutato in astratto, con riferimento al comportamento ex ante attendibile di un "consumatore medio", con la conseguenza che è indifferente se il singolo compratore sia in grado di escludere, in un dato caso, la genuinità del prodotto (cfr. Cass., Sez. II, 13 dicembre 2018, n. 5238).
Ebbene, nel caso in esame, non pare possibile ritenere sussistente la contraffazione o quantomeno l'alterazione del marchio "(omissis)". Ciò in quanto ci si trova al cospetto di episodi di commercializzazione di un marchio, ovvero quello "(omissis)", all'epoca dei fatti in corso di registrazione, che si poneva come distinto e autonomo e con come una mera riproduzione, totale o parziale, di quello di cui è titolare la "Bl. S.p.a.". Tuttavia, il marchio in contestazione presenta da un punto di vista denominativo e grafico dei tratti distintivi che, come emergente dai rilievi fotografici dei capi per cui è processo acquisti agli atti e come confermato dagli agenti di zona, che si occupavano professionalmente della commercializzazione del differente marchio "(omissis)", idonei sia in astratto che in concreto (basti pensare all'episodio che ha coinvolto la Bo.) a ingenerare nel consumatore comune la possibilità di confusione con prodotti di quest'ultimo marchio.
Ne consegue, pertanto, che la messa in vendita di prodotti riportanti il marchio "(omissis)" a parere di questo giudice, integra la fattispecie di cui all'art. 517 c.p., che, come detto, incrimina la commercializzazione di opere dell'ingegno in modo da creare una potenziale insidia nel meccanismo di scelta dei consumatori, provocando un'artificiosa equivocità dei segni distintivi circa l'origine, la provenienza e la qualità del prodotto. Ciò significa che ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 517 c.p. occorre, come accaduto nel caso di specie, che i marchi e i segni distintivi siano imitati in modo da creare confusione sul consumatore di media diligenza. Di tale reato, quindi, non possono che rispondere D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e Ro. St. in quanto non è neppure in contestazione tra le parti che gli stessi abbiano venduto all'ingrosso (è il caso della "Da. Mo. S.r.l." e della "Tr. D S.r.l.s") o al dettaglio (e il caso della "Sh. S.a.s. di Ro. St.) biancheria riportante il marchio "(omissis)", pur evidentemente consapevoli, per le ragioni viste, della natura ingannevole del logo utilizzato.
Né può applicarsi l'invocata causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., atteso che in considerazione delle modalità delle condotte, così come descritte, e della non esiguità del danno arrecato, non appare possibile considerare di particolare tenuità le offese arrecate ai beni-interessi tutelati.
Viceversa, non può ipotizzarsi una responsabilità, neppure a titolo di concorso, dello Ia., atteso che questi, da un lato, non ha operato, per quanto detto, alcuna contraffazione o alterazione del marchio "(omissis)" né ha contribuito dolosamente alla messa in vendita di prodotti idonei a provocare un'artificiosa equivocità dei segni distintivi circa l'origine, la provenienza e la qualità degli stessi. La sua buona fede in tal senso è provata dalla circostanza che lo stesso abbia, dapprima, presentato la domanda di registrazione del marchio "(omissis)", poi, messo al corrente la "Da. Mo. S.r.l.", pur confidando nel suo rigetto, della opposizione presentata dalla "Bl. S.p.a.", e, infine, una volta appreso che l'opposizione era stata accolta, provveduto a comunicarlo alla stessa "Da. Mo. S.r.l.", annullando il contratto e diffidandola dal commercializzare prodotti a marchio "(omissis)", come da missiva indirizzata per conoscenza anche alla Guardia di Finanza (cfr. documentazione, in atti).
Sotto tale profilo, in considerazione delle regole che sottendono alla formazione e all'onere della prova in sede penale, non può ritenersi raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio della sussistenza sul piano oggettivo delle condotte delittuose ascritte e/o ascrivibili allo Ia.. Gli elementi di valutazione che precedono postulano, quindi, ad avviso di questo giudicante la pronunzia di una sentenza assolutoria nei confronti del predetto imputato in ordine al reato di cui al capo a) della rubrica con la formula "perché il fatto non sussiste".
Tanto premesso in ordine alla responsabilità di D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e Ro. St., occorre stabilire il trattamento sanzionatorio da irrogare nei loro confronti.
A parere di questo giudice appaiono concedibili ai predetti imputati le circostanze attenuanti generiche in considerazione del comportamento collaborativo tenuto dagli stessi, con evidenti vantaggi in termini di economia processuale, della loro personalità e della necessità di meglio adeguare la pena al caso concreto.
Pertanto, valutati tutti gli elementi di cui agli artt. 133 e 133-bis c.p., stimasi equo irrogare a D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e Ro. St. la pena finale di mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa ciascuno, così determinata: pena base mesi sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla pena inflitta.
Consegue per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna degli imputati, D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e Ro. St., al pagamento in solido delle spese processuali.
Alla luce delle risultanze del certificato del casellario giudiziale, sussistono i presupposti e le condizioni per la concessione agli imputati, D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e Ro. St. dei benefìci della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, consentendolo l'entità della sanzione irrogata e l'assenza di precedenti penali rilevanti, il che permette la formulazione di un positivo giudizio prognostico in ordine alla loro futura astensione dalla commissione di reati (cfr. certificati del casellario giudiziale, in atti).
Alla luce dei carichi di lavoro, si fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara:
▪ D'A. An. (cl. 83) colpevole del reato di cui all'art. 517, così riqualificato il fatto a lui ascritto, e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa;
▪ D'A. An. (cl. 59) colpevole del reato di cui all'art. 517, così riqualificato il fatto a lui ascritto, e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa;
▪ Ro. St. colpevole del reato di cui all'art. 517, così riqualificato il fatto a lei ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.
Letto l'art. 530 c.p.p., assolve Ia. Mi. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. Concede a D'A. An. (cl. 83), D'A. An. (cl. 59) e a Ro. St. il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Nola, il 21 ottobre 2022
Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023