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Qualificazione del fatto di lieve entità nella detenzione di sostanze stupefacenti per piccolo spaccio (Giudice Arnaldo Merola)

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Tribunale Nola, 23/05/2023, n.582

La detenzione di sostanze stupefacenti può essere qualificata come fatto di lieve entità ai sensi dell'art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90, quando la modesta quantità di sostanza e le modalità rudimentali della condotta denotano una minima offensività, pur non escludendo il carattere abituale o organizzato dell'attività di spaccio."

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in sede in data 29 settembre 2021, Br.Gi. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato in epigrafe indicato. All'udienza del 7 gennaio 2022, il giudice, accertata la regolare costituzione delle parti e disposto procedersi in assenza dell'imputato, ritualmente citato e non comparso, dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva i mezzi di prova orali e documentali richiesti dalle parti. All'esito, il processo veniva rinviato per l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale. All'udienza del 29 aprile 2022, il processo veniva rinviato, stante l'assenza del giudice titolare. All'udienza del 14 settembre 2022, il processo veniva rinviato, stante l'assenza dei testi. All'udienza del 2 dicembre 2022, si procedeva all'escussione del teste, Sovr. Mi.De.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.

All'udienza del 17 febbraio 2022, si procedeva all'escussione del teste, Ra.Al.. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo.

All'odierna udienza, si acquisiva ai sensi dell'art. 513 c.p.p. il verbale di interrogatorio reso dall'imputato in data 28 gennaio 2020. A quel punto, il giudice dichiarava la chiusura dell'istruttoria dibattimentale e l'utilizzabilità degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, dava la parola alle parti, che concludevano come in epigrafe trascritto, e all'esito pronunciava la presente sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza. In quel frangente il giudice non dava gli avvisi di cui all'art. 545-bis c.p.p., non ritenendo sussistenti, per le ragioni di cui si dirà in motivazione, le condizioni per sostituire la pena detentiva inflitta con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 l. 689/1981.

Motivi della decisione
Sulla scorta delle risultanze processuali, ritiene questo giudicante che vada senza dubbio affermata la responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90, così riqualificato il fatto a lui ascritto in rubrica.

Ed invero, dalla deposizione del Sovr. Mi.De. in servizio all'epoca dei fatti presso il Commissariato di P.S. di Acerra - della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, provenendo da pubblico ufficiale in ordine a circostanze apprese nel corso della propria attività di ufficio - e dalla documentazione ritualmente acquisita al fascicolo del dibattimento è emerso che in data 11 dicembre 2015, alle ore 16,00, gli operanti di p.g., all'altezza dell'incrocio tra Corso Italia e via Verdi del Comune di Acerra procedevano al controllo di un motociclo Leonardo tg. (…) Il conducente, immediatamente riconosciuto in Br.Gi. (odierno imputato) in quanto già noto ai militari per i suoi precedenti di polizia, consegnava spontaneamente della sostanza solida di colore marrone, risulta essere narcotico del tipo "hashish" del peso di 48,3 gr, che lo stesso teneva celata negli slip.

Successivamente, si procedeva all'accertamento tossicologico sulla sostanza rinvenuta, che risultava essere del peso netto di 47,61 gr, e si riscontrava la presenza di Delta 9 THC, con una percentuale del 10,5%, corrispondente a 5 gr, da cui potevano ricavarsi 200 dosi medie singole (cfr. relazione tecnica).

Ora, sulla base di tali risultanze processuali, ad avviso di questo giudice, risulta senza dubbio dimostrata la realizzazione da parte dell'imputato di una condotta integrante gli estremi del reato di cui all'art. 73 del D.P.R. 309/90, ovvero di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, riqualificabile come fatto di lieve entità di cui al comma 5 in ragione della quantità della sostanza rinvenuta, nonché per le circostanze ed i mezzi dell'azione. Come chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, per ritenere che la detenzione di sostanza stupefacente da parte di un soggetto abbia finalità di uso esclusivamente personale e, quindi, non sia penalmente rilevante, è necessario che il giudicante valuti globalmente tutti i parametri indicati nella disposizione normativa di cui all'art. 73, comma 1-bis, lett. a), D.P.R. n. 309 del 1990, non potendosi fermare al solo dato del superamento dei limiti massimi tabellarmente previsti (tra le varie, cfr. Cass. Sez. VI, 12 febbraio 2009 n. 12146; Cass. Sez. VI, 2 aprile 2008, n. 27330; Cass. Sez. III, 9 ottobre 2014, n. 46610). Se è vero, quindi, che il mero dato quantitativo non può valere ad invertire l'onere della prova a carico dell'imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, è altrettanto vero che rientra tra i compiti del giudicante quello di valutare congiuntamente tutti gli ulteriori parametri espressamente indicati nella predetta disposizione normativa (ovvero le modalità di presentazione della sostanza, il peso lordo complessivo, il confezionamento frazionato) e le altre circostanze dell'azione idonee a ritenere compatibile la detenzione con la finalità di spaccio.

Nel caso concreto, le modalità di presentazione della sostanza, nonché le altre circostanze dell'azione e in particolare le modalità di occultamento, il quantitativo non esiguo di sostanza rinvenuta e l'assenza di una dettagliata e coerente spiegazione in merito all'acquisto della stessa risultano tutti elementi che visti congiuntamente e non frazionatamente, sono idonei a ritenere provata la finalità di spaccio della suddetta detenzione.

Peraltro, nel caso di specie, per ritenere provata la finalità di cessione, sarebbe sufficiente anche

il solo dato quantitativo atteso che la giurisprudenza di legittimità evidenzia che "se la quantità dello stupefacente è notevolmente superiore al fabbisogno personale del detentore per un periodo di tempo circoscritto, il giudice può fondatamente ritenere, sulla base di questo unico elemento, che la detenzione non sia giustificata solamente dalla destinazione ad uso personale" (Cass. Sez. VI, 1 settembre 1994, n. 2678).

Tuttavia, ad avviso di questo giudice, il fatto così come ricostruito e contestato va ricondotto nella fattispecie di lieve entità di cui all'art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90 in ragione della modesta quantità di sostanza stupefacente sequestrata, oltre che dei mezzi e delle circostanze dell'azione, trattandosi con tutta evidenza di una rudimentale organizzazione di spaccio su piccola scala. Al riguardo va, infatti, evidenziato come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la lieve entità può essere riconosciuta solo nel caso di minima offensività della condotta, che deve essere deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo della sostanza, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione citata e relativi ai mezzi, alle modalità e alle circostanze dell'azione, con la conseguenza che, ove venga a mancare anche uno solo degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l'eventuale presenza degli altri e deve escludersi l'applicazione dell'ipotesi lieve (cfr. Cass. Sez. Un., 21 giugno 2000, n. 17; Cass. Sez. VI, 19 settembre 2013, n. 39977).

Pertanto, vero è che il solo dato quantitativo non è ritenuto sufficiente per la configurabilità della fattispecie di cui al comma 5 dell'art. 73 cit., in quanto a denotare la minima offensività devono contribuire anche gli altri parametri. Tuttavia, l'orientamento tradizionale secondo cui l'ipotesi lieve sarebbe incompatibile con l'attività di spaccio esercitata in modo continuativo, con professionalità o con organizzazione di mezzi anche rudimentali, è stato messo in discussione dalla giurisprudenza di legittimità più recente, che ha riletto l'ipotesi del fatto lieve in relazione alla previsione del reato associativo di cui all'art. 74, co. 6, D.P.R. 309/90. Ciò per dimostrare come "la struttura, l'organizzazione, la reiterazione e la professionalità delle condotte illecite non siano incompatibili con la configurabilità dell'ipotesi lieve, in quanto, se tali parametri, valutati singolarmente, dovessero escludere automaticamente l'ipotesi lieve, la fattispecie dell'associazione minore non potrebbe mai trovare applicazione. La conseguenza è che deve escludersi che qualsiasi forma e grado di organizzazione, struttura, professionalità, reiterazione giustifichi per sé l'esclusione dell'ipotesi lieve" (Cass. Sez. VI, 9 febbraio 2017, n. 28251).

Ne consegue, quindi, che il fatto lieve, cui si riferisce l'art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90, deve essere inteso alla luce del principio di proporzione, senza limitare il caso al fatto assolutamente minimale di detenzione e cessione di pochissime dosi, e la lieve entità non può essere esclusa per la sola ragione che si tratti di condotta non episodica, ma inserita in attività criminale organizzata o professionale, desumendo ciò proprio dal comma 6 dell'art. 74 D.P.R. 309/90, che prevede un'attenuante per l'ipotesi di associazione finalizzata alla commissione di fatti di detenzione e cessione di lieve entità, cioè riferiti al c.d. piccolo spaccio, ancorché organizzato (cfr. Cass. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 41090; Cass. Sez. VI, 29 aprile 2014, n. 21612). "Deve, pertanto, ammettersi che il piccolo spaccio può essere anche "organizzato" e gestito con modalità professionali, spettando al giudice l'apprezzamento in fatto del livello di offensività della condotta complessiva. In questo modo, la giurisprudenza individua una nozione realistica di piccolo spaccio cui si riferisce il comma 5 dell'art. 73 del D.P.R. 309/1990, destinando questa norma incriminatrice a colpire quelle attività di carattere abituale e anche professionale realizzate da figure secondarie nella catena della commercializzazione della droga - spesso tossicodipendenti o consumatori abituali - facendo riferimento anche alla redditività dell'attività di spaccio (Sez. 6, n. 41090 del 2013, cit.), così riconoscendo che la vendita al dettaglio di piccole quantità può giustificare sia la reiterazione delle condotte vietate, sia l'esigenza di un minimo di organizzazione. Peraltro, il mutamento di qualificazione giuridica dell'ipotesi lieve, da mera circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato, risponde alla logica di tenere ben distinte due realtà criminologicamente eterogenee, quelle del grande traffico e del piccolo spaccio, impedendo anche che il bilanciamento delle circostanze possa azzerare tale ontologica diversità" (Cass. Sez. VI, 9 febbraio 2017, n. 28251).

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, non può non rilevarsi come dal materiale probatorio acquisito agli atti emerga che la contestata condotta di cessione si inserisca nell'ambito di un'attività di spaccio organizzata e non meramente occasionale, come desumibile dal radicamento dell'imputato nel contesto territoriale di riferimento e dall'esistenza di una nutrita clientela, composta da consumatori seriali che sanno di potersi rivolgere a lui in ogni momento per soddisfare le proprie necessità di approvvigionamento. Tuttavia, la modesta quantità di sostanza stupefacente e i modici incassi rinvenuti consentono di qualificare l'attività criminosa de qua come un'attività di "piccolo spaccio", connotata dalla vendita al dettaglio di piccole quantità di sostanze stupefacenti da parte di una figura secondaria nella catena di commercializzazione della droga, slegata da ambienti criminali organizzati, e conseguentemente di ricondurre il fatto contestato nella fattispecie di lieve entità di cui all'art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90.

Tanto premesso in ordine alla responsabilità del Br., occorre determinare il trattamento sanzionatorio da irrogare nei suoi confronti.

A parere di questo giudice, è da ritenersi ben contestata e sicuramente espressione di maggiore disvalore del fatto e pericolosità sociale del suo autore la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, attesi i precedenti anche specifici e recenti da cui lo stesso risultava gravato al momento della commissione del fatto.

Inoltre, in assenza di alcun comportamento positivamente valutabile tenuto dall'odierno imputato, egli non appare meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Giova in proposito ricordare che le circostanze attenuanti generiche sono state introdotte per consentire soltanto una migliore individualizzazione della pena al caso concreto e non devono trasformarsi in uno strumento improprio per mitigare il rigore delle sanzioni, tanto che è stato necessario un intervento del legislatore che ha imposto, per legge, dei limiti alla concessione delle stesse. Tali circostanze, invero, per la loro atipicità, possono soltanto consentire al giudice di valutare elementi di fatto particolarmente significativi, sia di natura oggettiva che soggettiva, capaci di far risaltare il valore positivo del fatto, elementi positivi che non sono assolutamente rilevabili nel presente processo.

Pertanto, valutati tutti gli elementi di cui agli art. 133 e 133-bis c.p. (in particolare, la quantità e qualità della sostanza stupefacente sequestrata e l'offensività in concreto della condotta), stimasi equo irrogare a Br.Gi. la pena finale di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, così determinata: pena base anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, aumentata per la contestata recidiva alla pena inflitta. Consegue per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

Non sussistono, alla luce delle risultanze del certificato del casellario giudiziale in atti e dei plurimi precedenti anche di natura specifica da cui risulta gravato il Br., i presupposti e le condizioni per la concessione all'imputato dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna (cfr. certificato del casellario giudiziale, in atti). Va, poi, evidenziato che il predetto elemento dell'abitualità nel reato e la personalità deviante e trasgressiva del Br., già qualificato recidivo reiterato e specifico, costituiscono, ai sensi dell'art. 53 l. 689/1981, fondati motivi ostativi alla sostituzione della pena detentiva inflitta nei confronti dell'imputato, peraltro autore di gravi reati già dopo la prima concessione della sospensione condizionale della pena e nuovamente ritornato a delinquere dopo l'espiazione delle pene a lui irrogate, dimostratosi, pertanto, incapace di assicurare l'adempimento delle prescrizioni connesse a un trattamento sanzionatorio diverso da quello tradizionale. Va, infine, ordinata la confisca, in quanto obbligatoria, e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro.

Alla luce dei carichi di lavoro, si fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Br.Gi. colpevole del reato di cui all'art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90, così riqualificato il fatto a lui contestato e, ritenuta la contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letti gli artt. 240 c.p. e 87 D.P.R. 309/1990 ordina la confisca e la distruzione dello stupefacente in sequestro.

Fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Nola il 24 marzo 2023.

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2023.

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