top of page

Uso abusivo della connessione Internet e configurazione del reato di furto d’uso

furto-connessione-internet-reato-furto-d-uso

Tribunale , Potenza , 07/12/2023 , n. 1682

L'uso abusivo della connessione internet di un altro soggetto, mediante allacciamento non autorizzato alla rete telefonica, può integrare il reato di furto d'uso ai sensi dell'art. 626 c.p., purché sia dimostrata una lesione concreta alla funzionalità della connessione del legittimo titolare o un danno economicamente apprezzabile. Tuttavia, qualora concorrano aggravanti previste dall'art. 625 c.p., la fattispecie viene trattata come furto comune, con l'apparato sanzionatorio previsto dagli artt. 624 e 625 c.p.

Appropriazione indebita e abuso di relazione d’opera: indebita ritenzione di somme altrui in violazione di obblighi contrattuali (Giudice Elena di Tommaso)

Appropriazione indebita da parte di un amministratore condominiale: mancata restituzione di somme destinate a lavori straordinari (Giudice Raffaele Muzzica)

La certezza della prova è indispensabile per configurare il reato di appropriazione indebita

L'appropriazione indebita richiede il dolo specifico di profitto ingiusto e l'assenza di un diritto soggettivo all'uso della res.

Assegni familiari e responsabilità penale per appropriazione indebita

Appropriazione indebita e tempestività della querela (Giudice Raffaele Muzzica)

Appropriazione indebita e accesso abusivo: responsabilità penale e subordinazione della sospensione condizionale al risarcimento (Giudice Martino Aurigemma)

La piena cognizione della condotta illecita determina la decorrenza del termine per proporre querela in caso di appropriazione indebita

Appropriazione indebita: remissione tacita di querela e criteri di accertamento del dolo specifico

Ruolo formale dell'amministratore e responsabilità per appropriazione indebita

La sentenza integrale

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l'impugnata sentenza pronunciata all'esito del giudizio abbreviato, il Tribunale di Biella ha giudicato M.L.R. responsabile del delitto di furto tentato in concorso con F.P., per avere posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a impossessarsi dei beni presenti all'interno dell'esercizio commerciale “R.M.”, dopo essersi introdotti al suo interno infrangendone la vetrina (capo A), nonché del reato di furto aggravato, per avere utilizzato indebitamente il flusso telematico per navigare in Internet in danno di M.H., mediante un allaccio abusivo effettuato tramite la manomissione di un contatore telefonico (capo B), e lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione e 1.000,00 euro di multa.

1.1. Il Giudice di primo grado ha fondato il giudizio di penale responsabilità sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero, utilizzabili stante la scelta del rito speciale, in particolare della comunicazione di notizia di reato, della relazione degli ausiliari degli agenti di p.g. del 14 maggio 2015, delle annotazioni di p.g. e delle dichiarazioni parzialmente ammissive dell'imputato.

Sulla scorta di tali atti, il primo Giudice ha accertato, in relazione al capo A), che l'imputato si recava, assieme a F.P., presso l'esercizio commerciale “R.M.”, introducendosi all'interno dei relativi locali dopo averne infranto la vetrina al fine di sottrarre i beni contenuti all'interno, non riuscendo nell'intento in quanto gli operanti di polizia giudiziaria li sorprendevano, impedendo il compimento dell'azione furtiva.

In relazione al capo B), il Giudice di primo grado ha accertato che M.L.R., manomettendo la rete telefonica del vicino di casa M.H., si collegava abusivamente al WiFi facente capo a quest'ultimo, utilizzandone indebitamente il traffico telematico.

1.2. Nel determinare la pena inflitta a L.R., il Tribunale ha fissato la pena-base in mesi quindici di reclusione e 600,00 euro di multa per il capo B), ritenuto il più grave, che ha aumentato per la continuazione con il capo A) sino a mesi diciotto di reclusione e 900,00 euro di multa e, ulteriormente, aumentato per la recidiva sino a mesi trenta di reclusione e 1.500,00 euro di multa, che ha, infine, ridotto per la scelta del rito sino alla pena Finale di anni uno e mesi otto di reclusione e 1.000,00 euro di multa.

2. Con sentenza del 19 aprile 2021, la Corte d'appello di Torino ha riformato in parte la sentenza di primo grado, riconoscendo all'imputato le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti e rideterminando la pena firmale in mesi dieci di reclusione e 120,00 euro di multa.

3. La Corte di cassazione, con sentenza del 5 ottobre 2022, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B) con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.

3.1. La Corte regolatrice ha così motivato l'annullamento con rinvio: «L.R. contesta la riconduzione al concetto di cosa mobile suscettibile di furto della banda internet, a cui egli ha potuto accedere mediante l'abusivo collegamento alla rete telefonica fissa di H.M., realizzato grazie ad una “treccia” connessa al box telefonico servente l'abitazione dell'ignaro utente. La Corte di appello ha risposto alla corrispondente censura contenuta nell'atto di appello sostenendo che quella necessaria per il collegamento ad internet è un'energia suscettibile di appropriazione, risposta che il ricorrente contesta sia per la sua assertività sia per il risultato interpretativo cui la Corte di merito è pervenuta. Il Collegio osserva che il tema agitato dal ricorrente, un riferimento esegetico di sicuro rilievo è costituito da Sezioni unite Vattani (Sez. un., n. 19054 del 16/4/2013, Rv. 255299) che, ancorché in relazione al reato di peculato e dall'utilizzo di un telefono, ha fornito delle coordinate esegetiche utili a comprendere quale bene possa essere oggetto di appropriazione. Secondo l'autorevole precedente, le energie riconducibili alla nozione di cui all'art. 624, comma 2, c.p. suscettibili di una condotta appropriativa sono solo quelle «che vengono captate dall'uomo, mediante l'apprestamento di mezzi idonei, in modo tale da essere impiegate a fini pratici, distribuite, scambiate, etc.: deve trattarsi, dunque, di una forza della natura misurabile in denaro». Quanto, in particolare, alle energie necessarie per l'attivazione della linea telefonica, il massimo Consesso ha stimato che esse non possono tecnicamente essere oggetto di appropriazione, in quanto non sono oggetto di previo possesso o disponibilità da parte dell'utente del telefono, siccome non preesistono all'uso dell'apparecchio, ma sono prodotte proprio dalla sua attivazione. Altro ostacolo all'assimilazione del flusso collegato alla linea telefonica ai beni suscettibili di appropriazione è dato dal fatto di “propagarsi” e di non essere atto all'immagazzinamento, funzionale a un impiego pratico misurabile in termini economici, sì da rispondere all'esplicito requisito di cui all'ultima parte del comma secondo dell'art. 624 c.p. Le Sezioni unite, inoltre, non hanno mancato di rilevare che il costo delle singole chiamate, anche nei contratti a consumo, non è il riflesso diretto delle onde elettromagnetiche attivate, bensì il frutto di una complessiva valutazione «del budget del sistema di comunicazione gestito, in base alla quale si determina, secondo i parametri del numero e della durata, il prezzo, economicamente congruo, della fruizione del servizio». Di conseguenza, quanto all'utilizzo della linea telefonica di ufficio da parte di un appartenente alla Pubblica Amministrazione, la Corte regolatrice ha sancito che trattasi non già di peculato dell'energia “telefonica”, ma – ove produca un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell'ufficio – di peculato d'uso dell'apparecchio telefonico. I principi di Sezioni unite Vattani sono stati ritenuti estensibili anche all'utilizzo della connessione internet di un cellulare di ufficio da parte del vicesindaco di un Comune per usi privati (Sez. VI, n. 50944 del 4/11/2014, Barassi, Rv. 261416). Ciò posto, coglie nel segno il ricorso quando si duole della risposta della Corte territoriale al tema agitato con l'appello, dal momento che, pur di fronte alla complessità della questione, i Giudici di appello si sono limitati ad una risposta apodittica, che non ha colto la problematicità del tema sotteso all'assimilazione attuata e non ha dato conto delle ragioni fattuali che li hanno condotti alla conclusione raggiunta. In altre parole, occorre domandarsi, sulla base delle caratteristiche tecniche del flusso telematico, se considerazioni analoghe a quelle svolte dalla giurisprudenza sopra evocata possano essere formulate nell'odierna regiudicanda a proposito della linea internet collegata all'utenza domestica della persona offesa, carpita con le modalità descritte. Alla luce di queste considerazioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio quanto alla posizione di L.R. ed in ordine al reato di cui al capo b) (per la fattispecie sub a) non vi è ricorso) affinché la Corte di appello valuti se l'utilizzo della connessione internet collegata alla linea telefonica carpita dall'imputato possa ricondursi alla nozione di energia di cui all'art. 624, comma 2, c.p. e se, dunque, essa possa essere oggetto di appropriazione. 2. Non appare convincente, di contro, la proposta di riqualificazione formulata dal Procuratore generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta, laddove ha ritenuto che il fatto potesse essere ricondotto al reato di cui all'art. 615-ter ovvero a quello di cui all'art. 617-quinquies c.p. L'art. 615-ter c.p., infatti, anche riguardato rispetto alla raccomandazione del Consiglio d'Europa del 1989 che ha costituito lo stimolo alla sua introduzione, non riguarda condotte come quella contestata. Secondo Sezioni unite Rocco (Sez. un., n. 17325 del 26/3/2015, Rv. 263020), infatti, la disposizione in discorso è stata introdotta per assicurare una protezione all'ambiente informatico o telematico che contiene dati personali che devono rimanere riservati e conservati al riparo da ingerenze ed intrusioni altrui e rappresenta un luogo inviolabile, delimitato da confini virtuali, paragonabile allo spazio privato dove si svolgono le attività domestiche. Per questo la fattispecie è stata inserita nella Sezione IV del Capo III del Titolo XII del Libro II del codice penale, dedicata ai delitti contro la inviolabilità del domicilio. Nel caso di specie non vi è stata alcuna intrusione che abbia violato il domicilio informatico dell'H., ma l'imputato ha solo approfittato, connettendosi mediante un collegamento fisico, alla rete internet della persona offesa. Neanche il fatto può essere ricondotto alla fattispecie di cui all'art. 617-quinquies c.p., che tutela la libertà e la segretezza delle comunicazioni, nel caso di specie non violate».

4. Il processo d'appello è stato celebrato con il rito cartolare.

Nella requisitoria scritta, il sostituto Procuratore Generale ha concluso chiedendo che la sentenza sia confermata e, in caso di difetto di querela, che sia dichiarato non doversi procedere in ordine al capo B).

La difesa ha concluso via PEC insistendo per l'accoglimento dei motivi e per la liquidazione del compenso per l'attività defensionale svolta a favore dell'assistito ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

4.1. All'esito della camera di consiglio, la Corte ha pronunciato il dispositivo in calce con cui, giudicando nei limiti del devoluto a seguito di annullamento della Corte di cassazione, in parziale riforma della sentenza appellata, ha ridotto la pena inflitta a R.M. L. per il reato continuato in mesi otto di reclusione ed euro 100,00 euro di multa.

5. Il presente giudizio di rinvio ha ad oggetto il solo capo B): in particolare, la Corte è chiamata ad accertare se la connessione abusiva alla rete WiFi di altri per navigare in Internet integri reato.

5.1. Come si è già dato atto sopra nel paragrafo 3.1, la Corte di legittimità ha motivato l'annullamento con rinvio della sentenza d'appello facendo richiamo espresso – ravvisando all'evidenza un'omogeneità fra le fattispecie prese in considerazioni – al principio di diritto affermato a Sezioni unite nella sentenza Vattani (Sez. un., n. 19054 del 16/4/2013, Rv. 255299). In tale arresto, il più ampio consesso della nomofilachia ha escluso la possibilità di ravvisare il reato di peculato, cioè una condotta appropriativa della cosa mobile altrui, con riguardo all'utilizzo della linea telefonica da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio. Il medesimo principio è stato ribadito dalla successiva giurisprudenza anche con riguardo all'utilizzo della connessione Internet (Sez. VI, n. 50944 del 4/11/2014, Rv. 26141601). In tali pronunce, la Corte suprema ha chiarito che l'impiego della linea telefonica come della connessione Internet altrui da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica non integra il peculato, ma può realizzare il peculato d'uso là dove produca un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell'ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante ove non presenti conseguenze economicamente e/o funzionalmente significative.

5.2. Orbene, reputa il Collegio che il principio di diritto testé ricordato possa essere mutuato anche nel caso in cui l'identica condotta di utilizzo abusivo della linea telefonica o della connessione Internet sia posta in essere da un comune cittadino.

In disparte della espressa, netta, indicazione espressa dalla Corte regolatrice nella sentenza rescindente circa l'estendibilità del principio anche in relazione all'utilizzo della connessione Internet posta in essere dal soggetto privo di qualifica pubblicistica (v. supra al punto 3.1), non può sfuggire come la lettera dell'art. 314, comma secondo, c.p. (che contempla appunto la figura del peculato d'uso) sia perfettamente sovrapponibile al disposto dell'art. 626, comma primo n. 1), c.p.: la prima disposizione recita «quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita» e la seconda disposizione stabilisce «se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita».

L'identità delle fattispecie prese in considerazione dalle due incriminazioni – che differiscono soltanto per la qualità del soggetto agente, munito di qualifica pubblicistica nel caso dell'art. 314, comma secondo, un quisque de populo, nel caso dell'art. 626, comma primo n. 1) – giustifica, rectius impone (e non soltanto ex art. 627 c.p.p.) l'applicazione anche nella seconda ipotesi del principio espresso nella sentenza delle Sezioni unite n. 19054/2013, Vattani.

Adattando, dunque, la regula iuris sancita in tale pronuncia al caso del soggetto privo di qualifica pubblicistica, la condotta di “chiunque” utilizzi il telefono o la connessione Internet di altri integra il reato di furto d'uso se produca un danno apprezzabile al patrimonio altrui ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell'utilizzo della res da parte del legittimo titolare, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante là dove non comporti conseguenze economicamente e funzionalmente significative.

5.2. Definita la regola applicabile, non è chi non veda come nell'ipotesi in oggetto sussistano certamente i presupposti per ravvisare il furto d'uso.

Come M.H. ha chiarito nella denuncia-querela, l'allaccio di L.R. con una “treccia” al proprio box telefonico e la conseguente abusiva navigazione in Internet non ha comportato maggiori costi per l'intestatario dell'utenza trattandosi di un contratto non a consumo, ma c.d. fiat (precisamente con “tariffa fissa di euro 36,00 mensile”, v. denuncia-querela di M.H.), di tal che non è ravvisabile un danno apprezzabile al patrimonio altrui.

Ciò nondimeno, come inequivocabilmente dato atto dal querelante, l'allaccio abusivo di L.R. ha cagionato al medesimo gravi difficoltà di connessione e notevoli disagi. Come H. ha denunciato: «sto avendo vari problemi con la rete ADSL (avente tariffa fissa di euro 36,00 mensile) collegata alla predetta utenza in quanto non riesco più a connettermi ad Internet e la cosa che mi inquieta di più è che sto ricevendo varie telefonate, circa una decina al giorno, da persone da me non conosciute e residenti in varie parti di Italia, che riferiscono di aver trovato sul loro telefono una chiamata alla quale non hanno potuto rispondere, proveniente da mio numero telefonico» (v. denuncia-querela di M.H.).

La condotta dell'appellante ha, dunque, certamente comportato una “lesione concreta alla funzionalità dell'utilizzo della res al legittimo titolare” integrante la fattispecie in parola.

5.3. Tanto premesso quanto all'integrazione dell'ipotesi del furto d'uso, non può non essere rilevato come, giusta l'espressa previsione del secondo comma dell'art. 626 c.p., non è configurabile il c.d. furto minore «se concorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1, 2, 3 e 4 dell'articolo precedente».

Ne discende che, nel caso di specie, essendo stato il furto d'uso commesso – giusta contestazione ormai cristallizzata nel giudicato parziale – con violenza sulle cose con conseguente integrazione della circostanza aggravante contestata e ritenuta di cui all'art. 625, comma primo n. 2, c.p., risulta sussistente – de iure – il furto comune, con l'apparato sanzionatorio previsto dal combinato disposto degli artt. 624 e 625 c.p.

Nulla rileva la circostanza che detta aggravante sia bilanciata dalle circostanze attenuanti generiche applicate con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti (cioè all'aggravante della violenza e alla recidiva).

Al riguardo, basti ribadire l'insegnamento del Giudice di legittimità secondo cui la fattispecie incriminatrice del furto d'uso, come previsto dall'art. 626, comma secondo, c.p., è inapplicabile se concorre taluna delle circostanze aggravanti indicate nei numeri 1, 2, 3 e 4 dell'art. 625 c.p., e tale condizione ostativa ricorre anche allorquando tali circostanze siano state valutate come equivalenti alle concesse attenuanti, giacché tale statuizione rileva solo quoad poenam (Sez. IV, n. 1045 del 15/12/2006 - dep. 2007, Rv. 236019-01).

5.4. Tirando le fila delle considerazioni che precedono, tenuto conto dei parametri edittali previsti dagli artt. 624 e 625, comma primo n. 2, c.p., valutate le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto a tale aggravante e alla recidiva, reputa il Collegio che la ricostruzione della condotta in termini di mero furto d'uso (seppure sanzionato come furto comune in forza della sussistenza dell'aggravante) imponga un temperamento sanzionatorio, stante l'indubbio minor disvalore della condotta che non ha comportato “impossessamento” della res altrui ma solo l'impiego della strumentazione altrui, con una lesione significativa della funzionalità del servizio.

Ritenuto più grave – in considerazione del trattamento sanzionatorio comminato – il reato di cui al capo B), per le ragioni testé delineate quanto alla materialità della condotta (nella sostanza, un furto d'uso), valutata anche la capacità a delinquere dell'imputato (gravato da numerosi precedenti penali, anche specifici), la pena-base può essere fissata – in misura inferiore rispetto a quella indicata dalla Corte d'appello nella sentenza cassata – in mesi dieci e giorni quindici di reclusione e 135,00 euro di multa; su tale pena va applicato l'aumento per la continuazione con il capo A) sino ad anni uno di reclusione ed euro 150,00 di multa, pena da ridurre per il rito sino alla pena finale complessiva per il reato continuato di mesi otto di reclusione ed euro 100,00 di multa.

5.5. Non v'è materia per l'applicazione di una pena sostitutiva ai sensi dell'art. 545-bis c.p.p.

Per un verso, L. non ha comunicato – né personalmente né a mezzo di procuratore speciale – il proprio – imprescindibile – consenso alla sostituzione della sanzione detentiva già irrogata in primo grado (v. Sez. VI, n. 33027 del 10/5/2023, secondo cui affermato il principio che, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell'art. 95 del d.lgs. n. 150 del 2022, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito alla applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive di cui all'art. 20-bis c.p., è necessaria una richiesta in tal senso dell'imputato, da formulare non necessariamente con l'atto di gravame, ma che deve comunque intervenire al più tardi nel corso dell'udienza di discussione in appello).

Per altro verso, non ricorrono le condizioni per la sostituzione della sanzione alla luce dei parametri dell'art. 133 c.p., con particolare riguardo alla capacità a delinquere dell'imputato, gravato da numerosi precedenti penali che, nel dare evidenza del profondo radicamento della scelta delinquenziale e della completa insensibilità al richiamo al rispetto delle leggi e dei regolamenti, rendono manifesta la sua inaffidabilità all'adempimento alle prescrizioni relative alla eventuale pena sostitutiva. Alla luce di tali circostanze, l'applicazione di una pena detentiva si impone, d'altronde, anche nella prospettiva di dare attuazione alle funzioni rieducativa e special-preventiva della pena.

6. Tenuto conto del carico di lavoro dell'ufficio, fissa il termine per il deposito della sentenza al 20 marzo 2024.

bottom of page