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Assegni familiari e responsabilità penale per appropriazione indebita

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Tribunale , Avellino , 26/05/2023 , n. 588

L'assegno familiare corrisposto al genitore non affidatario, in forza di un rapporto di lavoro subordinato, è destinato alle esigenze del figlio minore convivente con il genitore affidatario e non può essere trattenuto o utilizzato per scopi personali dal genitore percettore. In assenza di un accordo specifico che ne preveda l'inclusione nel contributo di mantenimento, l'omessa corresponsione di tali somme al genitore affidatario integra gli estremi del reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), atteso che tali somme restano destinate alla soddisfazione dei bisogni del figlio.

Appropriazione indebita e abuso di relazione d’opera: indebita ritenzione di somme altrui in violazione di obblighi contrattuali (Giudice Elena di Tommaso)

Appropriazione indebita da parte di un amministratore condominiale: mancata restituzione di somme destinate a lavori straordinari (Giudice Raffaele Muzzica)

La certezza della prova è indispensabile per configurare il reato di appropriazione indebita

L'appropriazione indebita richiede il dolo specifico di profitto ingiusto e l'assenza di un diritto soggettivo all'uso della res.

Assegni familiari e responsabilità penale per appropriazione indebita

Appropriazione indebita e tempestività della querela (Giudice Raffaele Muzzica)

Appropriazione indebita e accesso abusivo: responsabilità penale e subordinazione della sospensione condizionale al risarcimento (Giudice Martino Aurigemma)

La piena cognizione della condotta illecita determina la decorrenza del termine per proporre querela in caso di appropriazione indebita

Appropriazione indebita: remissione tacita di querela e criteri di accertamento del dolo specifico

Ruolo formale dell'amministratore e responsabilità per appropriazione indebita

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
All'udienza del 01.07.2015 il G.M. presso il Tribunale di Avellino ha emesso la sentenza, con la quale, all'esito del giudizio ordinario, ha ritenuto l'imputato Tu.Gi. responsabile del reato di cui in rubrica e condannato, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi due di reclusione, oltre il pagamento delle spese processuali. Con pena sospesa.

Condannato al risarcimento dei danni in favore di Pe.An., liquidato all'attualità in Euro 5.000, oltre al ristoro delle spese processuali da questa sostenute, liquidate in Euro 1.260, oltre accessori alle condizioni di legge, da devolversi in favore dell'erario.

Avverso tale sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputato per i seguenti:

MOTIVI DI APPELLO

Con i quali chiede:

1) Assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato;

Alla odierna udienza, definita con trattazione scritta ai sensi dell'art. 23 D.L. 149 del 2020, la Parte Civile presentava conclusioni scritte, il P.G. con note scritte concludeva per la conferma, e la Difesa si riportava ai motivi di gravame.

All'esito del relativo giudizio, osserva questa Corte quanto segue:

Motivi della decisione
La sentenza impugnata va riformata per sopravvenuta prescrizione.

Va dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Tu.Gi. per prescrizione del reato ascritto.

Rilevato che il reato contestato è stato commesso fino al 01.04.2013, in assenza di cause di sospensione ed in presenza di atti interruttivi, deve ritenersi che al 01.10.2020 sia maturato il termine massimo di prescrizione pari ad anni 7 mesi 6, come desunto dal combinato disposto artt. 157 e 161 c.p.p..

I motivi di appello proposti vanno comunque esaminati agli effetti di cui all'art. 578 c.p.p..

Ritiene questa Corte di doverli disattendere, come d'altronde già implicitamente reso evidente dal fatto che si è pervenuti ad una declaratoria di prescrizione del reato e non ad una riforma nel merito della sentenza impugnata.

La vicenda storica accertata

Quanto al merito della decisione di condanna, va subito evidenziato che la Corte ritiene integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione poste a fondamento della stessa da parte del giudice di primo grado, ad esse riportandosi, laddove le censure formulate contro la decisione impugnata sostanzialmente non contengono elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal predetto giudice (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si integrano, costituendo un unicum inscindibile vedi tra le altre Sez. 3, Sentenza n. 13926 del 01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012) Rv. 252615, Sez. 5, Sentenza n. 40005 del 07/03/2014 Ud. (dep. 26/09/2014) Rv. 260303, Sez. 5, Sentenza n. 14022 del 12/01/2016 Ud. (dep. 07/04/2016) Rv. 266617, Cass. sez. III sent n. 27300 del 145/1776-2004 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti nuovi o contraddittori mal valutati".

In estrema sintesi il primo giudice sulla base della compiuta istruttoria ha accertato che:

- La p.o. Pe.An. riferiva di aver convissuto con Tu.Gi. fino all'anno 2010 e dalla loro relazione nasceva nel 2004 la figlia Al., attualmente convivente con la p.o.

- La Pe. riferiva che, di comune accordo con il Tu.Gi., aveva stabilito che quest'ultimo gli corrispondesse la somma di Euro 300 quale contributo al mantenimento per la figlia. Tale accordo veniva omologato dal Tribunale per i Minorenni di Napoli.

- Inoltre, la p.o. precisava che il Tu.Gi. percepiva in busta paga la somma di Euro 122,78 a titolo di assegno per i figli minori e che lo stesso, nonostante le reiterate richieste, anche per il tramite del legale di fiducia, aveva omesso di corrisponderle tale somma.

- Il Tu.Gi. si giustificava indicando che tale somma era già compresa nel suo contributo per il mantenimento.

1. E motivi in punto di responsabilità, sono infondati e non meritano accoglimento.

1.1 La difesa chiede l'assoluzione del Tu.Gi. perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato.

La difesa deduce la assoluzione dell'odierno imputato dal reato ascritto tenuto conto dell'affidamento congiunto ad entrambi i genitori ed in considerazione della circostanza circa la non titolarità della Pe. all'ottenimento di tale assegno familiare dato che la stessa non è mai stata coniugata con il Tu.Gi.. Il motivo è infondato.

A norma di quanto disposto dall'art. 211, L. 19 maggio 1975 n. 151 si prevede infatti che "Il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge".

Occorre anzitutto rilevare che il principio affermato dalla norma in questione risulta essere applicabile anche nel caso di filiazione fuori dal matrimonio, a nulla rilevando il mancato rapporto di coniugio della Pe. con il Tu.Gi., tenuto conto della funzione della predetta somma, destinata alle esigenze della figlia minore.

La lettera della norma porta a ritenere che il coniuge affidatario dei figli, quando non possa percepire l'assegno in questione in virtù di un proprio rapporto di lavoro, ha diritto di percepirlo per il tramite di quello del genitore non affidatario. Si tratta di un principio affermato dalle Sez. Unite della Corte di Cassazione, coma da ultimo, dalla sentenza Cass. civ. Sez. lavoro, 11 maggio 2017, n. 11569. Pertanto, se a percepirli è il genitore con cui non convivono i figli, quest'ultimo dovrà provvedere al versamento dei medesimi all'altro genitore. Dunque, del tutto inconferenti le doglianze difensive circa l'affidamento congiunto della minore dal momento che tali assegni spettano al genitore collocatario, quindi al genitore cui sono affidati i figli, nel caso di specie alla Pe..

Altresì irrilevante la doglianza difensiva circa la mancata previsione di un accordo relativo alla corresponsione di tali assegni familiari nell'ambito del provvedimento con il quale il giudice fissava la quota dell'assegno di mantenimento. Sul punto la Suprema Corte afferma che: "Il coniuge affidatario del figlio minorenne ha diritto, ai sensi dell'art. 211 della legge 19 maggio 1975 n. 151, a percepire gli assegni familiari corrisposti per tale figlio all'altro coniuge in funzione di un rapporto di lavoro subordinato di cui quest'ultimo sia parte, indipendentemente dall'ammontare del contributo per il mantenimento del figlio fissato in sede di separazione consensuale omologata a carico del coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso negli accordi di separazione. Gli assegni familiari per il coniuge, consensualmente o giudizialmente separato invece, in mancanza di una previsione analoga al citato art. 211, spettano al lavoratore, cui sono corrisposti per consentirgli di far fronte al suo obbligo di mantenimento ex artt. 143 e 156 cod. civ., con la conseguenza che, se nulla al riguardo è stato pattuito dalle parti in sede di separazione consensuale (ovvero è stato stabilito dal giudice in quella giudiziale), deve ritenersi che nella fissazione del contributo per il mantenimento del coniuge si sia tenuto conto anche di questa particolare entrata" (Corte di Cassazione, sez. VI Civile 1, ordinanza n. 12770/13; depositata il 23 maggio). Conseguentemente, le parti possono concordemente stabilire che l'assegno familiare faccia parte del mantenimento.

Tuttavia, in mancanza del predetto accordo, per la legge, l'assegno familiare corrisposto per il minore non rientra nel contributo al mantenimento dello stesso. Pertanto, il mantenimento a favore della prole è dovuto per intero e non può essere decurtato del valore degli assegni familiari.

Dunque, alcun dubbio si pone circa la penale responsabilità del Tu.Gi. in ordine al reato di appropriazione indebita dal momento che così come chiaramente emerge dal compendio dibattimentale l'imputato ometteva di versare tali assegni familiari alla Pe., genitore convivente con la figlia minore, appropriandosi difatti delle predette somme, destinate alla figlia, ottenendone in tal modo un profitto. Infatti, non sussiste alcuna prova circa l'utilizzo di tali somme di denaro alle esigenze della figlia minore. Il quadro fattuale suesposto è sufficiente a configurare in capo all'odierno imputato gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di appropriazione indebita di cui all'art. 646 bis c.p..

Vanno, in conclusione, confermate le sole statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado.

Il complessivo carico di lavoro, e la necessaria previsione di termini più stringenti per Ì procedimenti con imputati detenuti, ha imposto prudenzialmente di indicare nel presente procedimento il termine di gg. 90 per il deposito della motivazione, non interamente fruito.

P.Q.M.
Visti gli artt. 605 c.p.p. e 23 D.L. 149/2020, in riforma della sentenza emessa in data 1.7.2015 dal G.M. del Tribunale di Avellino, appellata da Tu.Gi., dichiara non doversi procedere nei confronti dell'imputato per il reato ascritto perché estinto per sopravvenuta prescrizione.

Conferma nel resto.

Condanna l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile nel presente giudizio, che si liquidano complessivamente in Euro 950,00, oltre spese generali al 10%, IVA e CPA come per legge.

Indica in giorni novanta il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Napoli il 7 giugno 2023.

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2023.

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