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Guida in stato di ebbrezza: nullità per mancato avviso al difensore nei prelievi ematici richiesti dalla polizia giudiziaria

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Tribunale Torino, 08/05/2024

In tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell'obbligo (derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 356 c.p.p e 114 disp. att. c.p.p.) di dare avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia al conducente da sottoporre a prelievo ematico presso una struttura sanitaria, finalizzato all'accertamento del tasso alcolemico esclusivamente su richiesta dalla polizia giudiziaria, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio.
Una della questioni fattuali da accertare è dunque relativa al fatto se gli accertamenti ematici sul guidatore (magari ferito a seguito di un incidente stradale) siano eseguiti anche per ragioni sanitarie: con l'ulteriore precisazione che l'avviso va dato anche nel caso in cui l'accertamento venga richiesto esclusivamente dalla polizia giudiziaria sul campione di sangue prelevato per esigenze diagnostiche di altro genere disposte dal personale medico e non comprensive della verifica specifica: mentre laddove l'esame del quantitativo di alcool o della presenza di tracce di stupefacenti nel sangue è destinato a fini di cura nessun previo avviso è richiesto mancando un rapporto di imprescindibilità fra l'effettuazione dell'analisi e il diritto di difesa.

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La sentenza integrale

I fatti nella loro essenziale dinamica risultano ragionevolmente chiari già in questa fase.

Sulla base dei rilievi della PG, dei primi accertamenti ematici del pronto soccorso, del filmato in atti (è stato recuperato, infatti, dai carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro un telefono cellulare in modalità di registrazione video che ha ripreso i momenti prima dell'incidente), di quanto verificato e valutato dal consulente del pubblico ministero (che ha depositato un'anticipazione scritta del proprio elaborato tecnico) si può affermare che il pomeriggio (intorno alle ore 16.00) del 17 aprile 2024 il cittadino tedesco omissis, alla guida di un'autovettura AUDI A5, percorrendo la strada provinciale a omissis - strada a doppio senso di marcia con un limite di velocità di 90 km/h- prima di intraprendere un tratto curvilineo, incrociava un'altra autovettura che giungeva dall'altro senso di marcia e procedendo ad una velocità non inferiore ai 150-160 km e trovandosi in grave stato di alterazione da abuso alcolico (con un tasso rilevato in sede di esame ematico di circa 1,70 g/l) deviava leggermente la propria traiettoria verso destra finendo con gli pneumatici destri all'esterno della carreggiata e perdendo il controllo del proprio veicolo. L'incidente autonomo così realizzatosi determinava la morte delle due donne sedute sui sedili posteriori (una di questa era la moglie dell'attuale indagato) e il ferimento di omissis: che era il passeggero anteriore e marito dell'altra donna deceduta.

Proprio dalla registrazione video effettuata dal cellulare di uno degli occupanti l'autovettura risultava che l'attuale ricorrente fosse alla guida della macchina, che omissis ballava e beveva un calice di vino rosso; che analogo calice in vetro era riposto presso il porta-bottiglie dell'auto sito in prossimità del cambio.

Va inoltre rimarcato che sul campo agricolo adiacente ad un'abitazione contro la quale l'auto collideva veniva rinvenuta una bottiglia di vino che verosimilmente veniva persa dagli occupanti qualche istante prima o durante il violentissimo sinistro. Peraltro, analoga marca di vino veniva recuperata nei pressi della piscina del B&B “omissis” sito in omissis presso il quale i quattro alloggiavano come turisti.

Insomma, omissis e gli altri occupanti l'autovettura da lui guidata - turisti in vacanza nelle langhe piemontesi: omissis in sede di s.i.t. rese poche ore dopo l'incidente riferiva di essere in viaggio di nozze con la moglie - erano verosimilmente in forte euforia alcolica e il primo, in forza di tale stato di grave alterazione, guidava ad altissima velocità in una strada extraurbana con un limite di 90 km/h, perdendo il controllo del mezzo e provocando un pluri-mortale sinistro.

Con riferimento al tasso alcolemico e alla conseguente aggravante di cui al II comma dell'art. 589 bis c.p. (ovvero l'avere guidato con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro) la difesa eccepisce, da un lato, la nullità dell'accertamento ematico in difetto di previo avviso all'interessato di farsi assistere durante il compimento dell'atto da un difensore e, dall'altro, del valore non probante di tale accertamento che ha valore solo provvisorio.

Partiamo dalla prima questione.

L'indirizzo interpretativo più recente e consolidato è nel senso che in tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell'obbligo (derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 356 c.p.p e 114 disp. att. c.p.p.) di dare avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia al conducente da sottoporre a prelievo ematico presso una struttura sanitaria, finalizzato all'accertamento del tasso alcolemico esclusivamente su richiesta dalla polizia giudiziaria, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio (in questo senso, fra le altre, Cass, 40550/2021; Cass. 44962/2021). Una della questioni fattuali da accertare è dunque relativa al fatto se gli accertamenti ematici sul guidatore (magari ferito a seguito di un incidente stradale) siano eseguiti anche per ragioni sanitarie: con l'ulteriore precisazione che l'avviso va dato anche nel caso in cui l'accertamento venga richiesto esclusivamente dalla polizia giudiziaria sul campione di sangue prelevato per esigenze diagnostiche di altro genere disposte dal personale medico e non comprensive della verifica specifica: mentre laddove l'esame del quantitativo di alcool o della presenza di tracce di stupefacenti nel sangue è destinato a fini di cura nessun previo avviso è richiesto mancando un rapporto di imprescindibilità fra l'effettuazione dell'analisi e il diritto di difesa (Cass. 8862/2020; Cass. 49371/2018).

Ora, dalla documentazione del pronto soccorso in atti risulta che l'accertamento ematico a carico di omissis (trattenuto in osservazione per TC cranio+massiccio+colonna cervicale) è stato disposto alle ore 18.30 del 17 aprile 2024 dal personale medico su richiesta dell'Autorità giudiziaria ottenendo il previo consenso scritto dell'interessato. Risulta inoltre delle ore 23.40 la comunicazione scritta (anche in lingua tedesca) dei diritti di cui all'art. 386 c.p.p., fra cui quello di nominare un difensore di fiducia.

Proprio per rispondere alle fondamentali imprescindibili esigenze di garanzie difensive dell'indagato senza giungere però a rigidi formalismi non giustificabili in sé e a maggior ragione nel contesto di una procedura d'urgenza che si verifica in ambito ospedaliero nei confronti di un soggetto ferito che impone dunque una certa flessibilità nelle forme, la giurisprudenza della Cassazione evidenzia comunque che la prova dell'avvenuto adempimento dell'obbligo di dare avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore può avvenire anche mediante deposizione testimoniale degli agenti operanti e/o comunque attraverso l'annotazione redatta dagli stessi anche in un secondo momento (in questo senso, Cass. 7677/2019).

E' dunque necessario approfondire sia l'aspetto se tali accertamenti ematici abbiano avuto anche un'autonoma finalità terapeutica e se comunque, prima degli stessi, sia stato avvisato anche solo oralmente e in modo sufficientemente comprensibile l'omissis della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia: diritto poi formalizzato poche ore dopo il prelievo nella summenzionata comunicazione scritta ex art. 386 c.p.p.. Qualora gli esiti di questi necessari approfondimenti fattuali consolidassero invece le premesse dell'eccezione difensiva in parola, va comunque rilevato che sul piano sintomatico emerge comunque come l'attuale ricorrente fosse inequivocabilmente in grave alterazione da alcool. I dati circostanziali sovra evidenziati e come emersi e il fatto che lo stesso appena ricoverato presentasse “alito alcolico” come indicato nella relazione sanitaria del pronto soccorso sono, infatti, significativi indizi di una grave alterazione da abuso di alcool: l'eventuale, futuro disconoscimento dell'aggravante di cui al comma II dell'art. 589 bis c.p. (nel caso appunto di una nullità degli accertamenti ematici per i motivi formali dedotti) dovrebbe quindi essere necessariamente “recuperata” nella valutazione della gravità concreta dell'omicidio stradale plurimo, secondo i fondamentali criteri di cui all'art. 133 comma 1 nn. 1 e 3 c.p., sotto il profilo delle modalità dell'azione e del grado della colpa.

Proprio la natura inevitabilmente provvisoria dell'imputazione cautelare si riverbera anche su un altro aspetto: dai primi accertamenti tecnici già evidenziati non è, infatti, da escludere comunque l'eventuale sussistenza dell'aggravante di cui al comma V n. 1 (ultima parte) dell'art. 589 bis c.p., ovvero una velocità di guida in strada extraurbana superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita.

Con riferimento, quindi, alla subordinata contestazione difensiva nel merito sul valore dell'accertamento ematico agli atti, è agevole rilevare che, fermo restando il suo valore provvisorio e i già disposti approfondimenti tecnici, il dato quantitativo al momento emerso sensibilmente superiore alla soglia minima per la più grave fattispecie di guida in stato di ebrezza, il fatto che il prelievo ematico sia comunque avvenuto circa due ore dopo l'incidente, i dati circostanziali emersi e già sovra menzionati (l'euforia alcolica collettiva, la guida a velocità elevatissima) dimostrano in modo indiziariamente grave la più che plausibile sussistenza dell'aggravante di cui al comma II dell'art. 589 bis c.p. in relazione all'art. 186 comma II lett. c) c.d.s.

Insomma, fermo restando la necessità di tempestivi approfondimenti istruttori in merito ai presupposti fattuali implicati dall'eccezione difensiva del mancato avviso ex artt. 114 disp. att. c.p.p. e 356 c.p.p. come sovra delineati, la contestazione della parte pubblica in questa prima fase cautelare deve essere confermata.

Veniamo, quindi, alle esigenze cautelari.

Il fatto è gravissimo. Per il grado della colpa: guidare in una strada statale ad una velocità di circa 150/160 km/h e in stato di più che significativa alterazione psico/fisica da alcool continuando a bere per giunta (non si dimentichi che vi era un ulteriore calice di vino a disposizione del guidatore); per le conseguenze dannose che ne sono derivate (la morte delle due donne che sedevano posteriormente e il ferimento del passeggero lato anteriore); per il pericolo altissimo che tale condotta così sconsiderata ha determinato per gli altri utenti della strada.

Risulta dunque un giudizio di sicura, spiccata pericolosità sociale da parte dell'attuale ricorrente.

D'altra parte, va evidenziato che si tratta di soggetto incensurato (residente in Germania dove vive e lavora), che sta subendo un'importante “pena naturale” conseguenza all'aver cagionato la morte della propria moglie, che sta avendo un primo, prolungato e verosimilmente traumatico contatto con l'esperienza carceraria.

Nella valutazione complessiva della vicenda e di questi differenti, ambivalenti profili, la misura cautelare degli arresti domiciliari appare in questa fase adeguata e congrua.

Tenuto conto che il ricorrente è un turista cittadino tedesco che ha abitazione, lavoro (manager in un'azienda privata) e famiglia in Germania: il difensore chiede quindi in principalità una misura cautelare (eventualmente anche domiciliare) presso la propria abitazione tedesca.

Ecco qui porsi una complessa e discussa questione giuridica.

Si tratta, infatti, di interpretare l'ambito di applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009 sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle "misure alternative alla detenzione cautelare" e del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno a tale decisione: in particolare bisogna valutare se fra le “misure alternative” possa rientrare anche quella degli arresti domiciliari.

Sul tema si registra un contrasto in giurisprudenza che meriterebbe, considerata anche l'importanza della materia, l'intervento delle Sezioni Unite: secondo l'orientamento interpretativo maggioritario la misura cautelare degli arresti domiciliari può trovare esecuzione nello Stato membro dell'Unione europea di residenza dell'interessato, in quanto si tratta di misura che, imponendo l'obbligo di rimanere in un luogo determinato, rientra nelle ipotesi di cui all'art. 4, lett. c) del predetto decreto legislativo (in questo senso, fra le altre, Cass. n.37739/2021; Cass. n. 8864/2022).

L'indirizzo maggioritario fa leva su una interpretazione estensiva dell'espressione “ misure alternative alla detenzione cautelare” utilizzata dalla decisione quadro 2009/829/GAI, alla luce degli obiettivi da essa perseguiti, ed in particolare di quello espresso nel Considerando n. 5, secondo cui: « per quanto concerne la detenzione di persone sottoposte a procedimento penale, esiste il rischio di una disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo: la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe. In uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente». E' il principio di eguaglianza formale e sostanziale a venire in rilievo e quindi l'esigenza di evitare una discriminazione basata sulla residenza che si realizzerebbe, invece, ove si ritenesse che non sia mai possibile disporre la misura degli arresti domiciliari nei confronti del residente in uno Stato diverso dell'Unione, privo di indirizzo sul territorio italiano, trattandosi di "detenzione cautelare": la disponibilità di un indirizzo presso altro Stato dell'Unione, in cui l'interessato sia radicato, equivale quindi alla disponibilità di un indirizzo in Italia. Secondo l'orientamento minoritario, invece, la misura cautelare degli arresti domiciliari non rientra nell'ambito applicativo del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, in quanto tale decreto legislativo si riferisce esclusivamente alle misure cautelari non detentive (in questo senso Cass. 26010/2021; Cass. 2764/2023).

Tre sono gli argomenti principali a sostegno di questo indirizzo più restrittivo.

Il primo di carattere letterale. L'art. 4 del d.lgs. n. 36 del 2016, che delinea l'ambito applicativo del decreto, fa riferimento alla lettera c) “all'obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite”. Ebbene, secondo questa giurisprudenza della Cassazione il riferimento è chiaramente alla misura cautelare dell'obbligo di dimora che prevede proprio al comma IV dell'art. 283 c.p.p. anche l'eventuale prescrizione ulteriore di non uscire dalla propria abitazione in alcune ore del giorno e che ben si attaglia al concetto di luogo, mentre la misura cautelare degli arresti domiciliari ha come riferimento il concetto di abitazione.

Il secondo di carattere sistematico. L'art. 284 V comma equipara la misura cautelare degli arresti domiciliari alla misura cautelare custodiale.

Il terzo di ordine sistematico desunto dal complessivo assetto della disciplina della restrizione delle libertà personali in ambito comunitario, per come prevista nella normativa sul mandato di arresto europeo. In base alla l. 22 aprile 2005, n. 69, infatti, i rapporti di consegna, attivi e passivi, tra autorità giudiziarie europee si attuano mediante il ricorso al mandato di arresto europeo. In particolare, nel caso di procedura attiva di consegna richiesta dall'autorità italiana, l'art. 28 l. 22 aprile 2005, n. 69 stabilisce espressamente l'applicabilità del mandato di arresto europeo non solo nel caso in cui il giudice italiano abbia disposto la custodia in carcere, ma anche qualora la misura da eseguire sia quella degli arresti domiciliari. Ritenere che il d.lgs. n. 36 del 2016 si applichi anche agli arresti domiciliari determinerebbe dunque, secondo questo indirizzo, una palese incongruenza ed una sovrapposizione con la disciplina in tema di procedura attiva di consegna mediante mandato di arresto europeo: se all'esito dell'applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di un cittadino di uno Stato europeo residente all'estero fosse consentita l'esecuzione della misura nello Stato di residenza, non avrebbe ragione d'essere (si argomenta) l'espressa previsione, per tale ipotesi, della procedura attiva di consegna.

Ora, richiamate le principali argomentazioni a favore dell'una e dell'altro indirizzo, questo Tribunale ritiene soluzione complessivamente più fondata quella favorevole a ritenere che la disciplina concernente il reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare sia applicabile anche agli arresti domiciliari.

In primo luogo, va rilevato che il dato letterale della disposizione normativa dell'art. 4 lett. c) del d.lgs. n. 36 del 2016 non è inequivocabilmente nel senso di escludere dal suo ambito di applicazione la misura cautelare degli arresti domiciliari. Il concetto di “luogo” utilizzato è, infatti, volutamente amplio tanto da essere dalla legge utilizzato, non solo per gli obblighi non detentivi di cui all'art. 283 c.p.p. (divieto e obbligo di dimora), ma anche per la misura di cui all'art. 284 c.p.p. Viene infatti ivi previsto che con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta.

Pure il riferimento letterale all'obbligo di rimanere in un luogo determinato eventualmente in ore stabilite non è inequivocabilmente incompatibile con la misura cautelare domiciliare.

In primo luogo, perché l'avverbio “eventualmente” indica una mera possibilità che non caratterizza dunque ontologicamente la misura; in secondo luogo, perché effettivamente anche un soggetto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari può essere facoltizzato ad uscire dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora per esigenze lavorative e/o di vita (art. 284 IV comma c.p.p.) con la conseguenza che nelle restanti ore è tenuto a rimanere nel luogo di esecuzione degli arresti domiciliari. Con riferimento poi all'argomento sistematico legato all'equiparazione legale fra custodia cautelare in carcere e misura cautelare degli arresti domiciliari di cui al V comma dell'art. 284 c.p.p., lo stesso prova troppo. Tale equiparazione è stata espressamente stabilita dal legislatore con riferimento in particolare all'esecuzione latu sensu della misura custodiale “privata”, tanto che più che “equiparazione delle misure” dovrebbe più correttamente parlarsi di “equiparazione degli effetti” (l'espressione normativa è inequivoca in questo senso: “l'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare”): si pensi tipicamente alla disciplina sui termini di durata delle misure cautelari massimamente afflittive (appunto, custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari) di cui agli artt. 303 e ss c.p.p. e a quella sul c.d. “presofferto” di cui all'art. 657 c.p.; in altri casi tale equiparazione sul piano esecutivo in senso più strettamente procedurale non trova, però, riscontro nella disciplina normativa, come per i termini perentori previsti dall'art. 294 c.p.p. per l'interrogatorio di garanzia (cinque giorni per la misura cautelare custodiale; dieci giorni per la misura cautelare degli arresti domiciliari analogamente sul punto alle altre misure non detentive); in altri casi ancora, l'equiparazione è stata oggetto di un'autonoma previsione legale, come per il delitto di evasione di cui comma III dell'art. 385 c.p.p.. Insomma, da un'equiparazione a geometria variabile di questo tipo afferente al profilo esecutivo/afflittivo della misura detentiva privata dedurre una preclusione generale rispetto alla ben diversa questione della tipologia di misure cautelari coercitive da poter applicare sul territorio dell'Unione costituisce un'evidente forzatura interpretativa.

Quanto poi all'argomento sistematico relativo al fatto che il d.lgs. n. 36 del 2016 svolge una funzione complementare rispetto alla normativa sul mandato di arresto europeo con la conseguenza che l'eventuale legittimità della misura cautelare degli arresti domiciliari nello Stato di residenza nei confronti di un cittadino di uno Stato europeo residente all'estero farebbe perderebbe di ragion d'essere, per tale ipotesi, l'espressa previsione di cui all'art. 28 legge 69/2005 relativa alla procedura attiva di consegna, lo stesso a ben vedere è fondato nella premessa ma non nelle conclusioni che ne vengono tratte. L'indubbio rapporto di complementarietà fra la normativa in parola e l'istituto del MAE e la relativa procedura di consegna fra Stati membri non implica infatti che l'Autorità giudiziaria competente non possa trovarsi di fronte a opzioni concorrenti e che non sia congruo ed equo rimettere alla stessa la scelta fra le stesse in relazione proprio alle singole vicende cautelari oggetto del giudizio e alle peculiarità che lo caratterizzano. Vi possono, ed esempio, essere ragioni connesse al processo in corso (accertamenti/valutazioni tecniche che coinvolgono in prima persona l'indagato: ad esempio, una consulenza/perizia psichiatrica; una ricognizione personale) che inducono, in presenza di un domicilio sul territorio italiano nel quale eseguire gli arresti domiciliari, a ritenere necessaria la misura cautelare domiciliare sul nostro territorio ed eventualmente a ricorrere all'istituto del MAE. In difetto di ragioni di questo tipo (non a caso il considerando n. 10 prevede che, nel caso non sia necessaria la comparizione fisica dell'interessato in giudizio, gli Stati membri devono favorire la partecipazione a distanza con teleconferenze e videoconferenze) e tenuto comunque conto di eventuali gravi difficoltà personali dell'interessato sia nel senso di reperire un valido domicilio sul territorio italiano sia in relazione al proprio nucleo di vita (affettivo, lavorativo, esistenziale), l'Autorità giudiziaria può ritenere congrua la misura cautelare degli arresti domiciliari nello Stato di residenza dell'interessato ricorrente proprio sulla base della normativa in parola sull'applicazione fra gli Stati membri dell'Unione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.

Orbene, in difetto di argomenti letterali e sistematici preclusivi, bisogna premette che la soluzione ermeneutica volta a far rientrare nelle misure alternative alla detenzione cautelare la misura cautelare degli arresti domiciliari ai fini del reciproco riconoscimento fra gli Stati membri trova una sua prima legittimazione valoriale nel suo essere in bonam partem.

Sono poi i fondamentali principi di fondo che la sostengono e la animano a ritenere questa soluzione maggiormente solida e fondata.

In primo luogo, il principio di eguaglianza e di non discriminazione. A fronte di un giudizio cautelare che porta a ritenere adeguata e proporzionata una misura cautelare alternativa al carcere (ivi compresi gli arresti domiciliari), non è equo né coerente con i principi di uno “spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne” (considerando n. 5 della Decisione Quadro) applicare un trattamento cautelare significativamente più gravoso per un dato estrinseco e spesso del tutto incolpevole, come il turista che si trova per pochi giorni sul territorio nazionale e non ha quindi legami logistici e umani sullo stesso. In forte tensione con il principio di ragionevolezza si porrebbe a maggior ragione l'ipotesi in cui lo straniero residente all'estero venisse sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere in difetto di domicilio in Italia e per giunta per un fatto di reato rispetto al quale lo Stato di provenienza non consenta magari la misura cautelare massimamente afflittiva.

In secondo luogo, la soluzione estensiva è maggiormente coerente con i principi di libertà e di presunzione di innocenza (artt. 5 e 6 CEDU) che costituiscono e devono costituire l'humus giuridico/culturale dell'Unione Europea (richiamati dalla stessa Decisione Quadro nelle iniziali premesse di fondo).

Non si può infatti mai trascurare che le decisioni cautelari, che pur incidono sui diritti fondamentali di libertà dell'individuo, hanno una base cognitiva parziale e caratterizzata da un contraddittorio spesso differito e comunque imperfetto rispetto alla fase del giudizio vero e proprio.

Ne consegue un delicatissimo meccanismo di bilanciamento fra questi profili e l'esigenza concorrente di fronteggiare gli eventuali pericoli cautelari, fra cui quello di recidiva che sottende il parimenti fondamentale “diritto dei cittadini rispettosi della legge di vivere in sicurezza” (considerando n. 3 della Decisione Quadro). Meccanismo di contemperamento che si declina anche nelle basilari regole codicistiche di proporzionalità e di minor sacrificio necessario per cui “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate” (art. 275 comma III c.p.p.). Il principio dell'extrema ratio della misura cautelare custodiale ha, dunque, fondamenti codicistici che si richiamano ad un fascio di diritti e principi costituzionali e convenzionali.

Ebbene, nella misura in cui si inserisce appieno e coerentemente in queste luminose e virtuose direttrici di fondo la soluzione estensiva volta a consentire, valutata la singola vicenda cautelare oggetto di giudizio nelle sue peculiarità concrete sul piano soggettivo e oggettiva, l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari presso la residenza del cittadino di altro Stato dell'Unione va, dunque, adottata come diritto vivente.

Tornando al caso di specie, emerge sicuramente (come già evidenziato, proprio in relazione alla gravissima colpa che ha caratterizzato la condotta di reato da parte di omissis) un pericolo di recidiva rispetto a reati colposi di analoga natura. D'altra parte, come già rimarcato sovra, si tratta di soggetto incensurato (residente in Germania dove vive e lavora: peraltro, il suo documentato radicamento sul territorio tedesco e la sua presenza in Italia per occasionali motivi turistici porta ad escludere il pericolo cautelare di fuga ravvisato dal giudice cautelare di prime cure), che sta subendo un'importante “pena naturale” conseguenza all'aver cagionato la morte della propria moglie e che sta avendo un primo, prolungato contatto con l'esperienza carceraria.

Nella valutazione complessiva della vicenda e di questi differenti profili, la misura cautelare degli arresti domiciliari appare dunque in questa fase del procedimento proporzionalmente adeguata e, tenuto conto che il ricorrente è un turista cittadino tedesco che ha abitazione, lavoro e famiglia in Germania, si ritiene congruo applicargli la misura cautelare domiciliare nella sua abitazione di residenza in omissis (Germania).

PQM

Visto gli artt. 309 c.p.p. e gli artt. 1 e ss del D.lgs 36/2016, che ha dato attuazione alla decisione quadro 2009/829/GAI, sostituisce nei confronti di omissis (nato a omissis il 25 dicembre 1988) la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari in omissis (Germania), omissis, prescrivendo allo stesso di non uscire dalla suddetta abitazione senza l'autorizzazione del Giudice che procede; dispone che il pubblico ministero procedente ai sensi degli artt. 5 e ss del D.lgs 36/2016 curi l'esecuzione della presente ordinanza; dispone che la scarcerazione avvenga all'esito del riconoscimento della misura cautelare degli arresti domiciliari in territorio tedesco da parte dell'Autorità competente dello Stato di esecuzione.

Manda alla cancelleria per quanto di competenza e comunica con urgenza il presente dispositivo al pubblico ministero competente per l'esecuzione.

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