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Minaccia: la Corte d'Appello di Napoli conferma la condanna per particolare tenuità del fatto

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Corte d'Appello di Napoli, 1 luglio 2024, n. 7316 - Presidente Picciotti, Consiglieri Mastrominico e De Simone

In tema di minaccia grave, segnaliamo la sentenza n. 7316/24 della Corte d'Appello di Napoli, che ha confermato la condanna dell’imputato per particolare tenuità del fatto.
L’imputato era stato accusato di aver minacciato di "spaccare la testa in due" alla vittima durante una lite, ma il Tribunale aveva ritenuto la condotta caratterizzata da lieve entità ai sensi dell’art. 131-bis c.p.
La Corte ha ritenuto infondati i motivi d'appello, confermando sia la condanna al risarcimento del danno che il pagamento delle spese processuali.

Minaccia: la Corte d'Appello di Napoli conferma la condanna per particolare tenuità del fatto

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 7903/23 emessa in data 21.6.23 dal Tribunale di Napoli-Sezione Distaccata di Ischia, Iu.Gi. veniva prosciolto dal reato a lui ascritto per particolare tenuità del fatto e condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio sostenute dalla medesima, quantificate in Euro 1.100,00 oltre spese generali, IVA e CPA come per legge e se dovute.

Il convincimento del giudice di prime cure in ordine al giudizio espresso nei confronti dell'odierno imputato fondava principalmente sulle risultanze probatorie acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale da cui emergeva quanto segue: in data 12.7.2017 tra lo Iu. ed il Sa. insorgeva una lite, nel corso della quale il primo profferiva nei confronti della vittima espressioni minacciose dal tenore "ti spacco la lesta in due parti, ti vengo a prendere fino a Ma. la prossima volta".

Avverso la sentenza ha interposto appello la Difesa dell'imputato chiedendo, anzitutto, la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 co. 4 c.p.p. per difetto di motivazione. In subordine, ha chiesto l'emissione di una sentenza di non doversi procedere per difetto di querela. Nel merito, ha chiesto l'assoluzione del proprio assistito con formula piena o, quantomeno, ai sensi del co. 2 dell'art. 530 c.p.p., attesa l'inidoneità delle frasi profferite dal Iu. ad integrare gli estremi della minaccia contestata. Infine, ha chiesto la revoca delle statuizioni civili.

L'odierna udienza si è svolta nelle modalità di cui all'art. 23 bis L. 176/2020.

Ciò premesso, l'appello è infondato e deve essere respinto.

Al riguardo, va preliminarmente osservato che, quanto al merito della decisione di condanna dell'imputato in ordine al reato contestato per il quale il predetto è stato ritenuto responsabile, questa Corte ritiene integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di prime cure, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, vedi tra le altre Cass. Sez. I, n. 46350/03 e Cass. Sez. Ili, n.27300/04 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti nuovi o contradditori o effettivamente mal valutati").

E, invero, le censure svolte nel gravame sono state sostanzialmente già esaminate e superate, nel senso della loro infondatezza, dal giudice a quo e, qualora siano dedotte questioni già esaminate e risolte, il giudice del gravame può motivare per relationem (Cass. pen., Sez. V, n. 3751/00). Tale motivazione è consentita con riferimento alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate contro quest'ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, poiché il giudice di appello non è tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici, dovendo al contrario procedere ad integrare la motivazione laddove la stessa sia mancante, in virtù del principio di piena devoluzione (Cass. Sez. V, n. 7572/99; Cass. Sez. VI, n. 10260/19).

Per tale motivo la Corte fa proprie, sul punto, le argomentazioni spese nella sentenza impugnata, che possono ritenersi in questa sede integralmente richiamate.

Ritiene solo di aggiungere questo Collegio, in via preliminare, che la sentenza di primo grado risulta esaustivamente motivata nella misura in cui, a pagina 3 del provvedimento summenzionato, vengono riportate in maniera dettagliata le emergenze probatorie su cui il giudice ha fondato il proprio convincimento, consistite nella ricostruzione della vicenda offerta dal Sa., p.o. dalla minaccia grave addebitata all'imputato, confermata da quanto riferito dalle testi Ta.Ri. e Bo.Al., escusse nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Da tale quadro probatorio, infatti, si apprendeva come in data 12.7.17 insorgeva una lite tra il Sa. ed il Iu. e, in quell'occasione, l'imputato profferiva all'indirizzo della p.o. espressioni minatorie, affermando che gli avrebbe spaccato la testa in due se non ci fosse stata la sua famiglia e che stava iniziando ad acquisire informazioni sul suo conto, ammonendolo, altresì, del fatto che la prossima volta sarebbe andato a prenderlo fino a Ma.

Pertanto, contrariamente a quanto dedotto dall'appellante, il reato di minaccia grave risulta essersi perfezionato in tutti i suoi estremi, seppur connotato da particolare tenuità ex art. 131 bis c.p., se sol si consideri che lo Iu., nel corso di una lite, profferiva minacce all'indirizzo del suo rivale, prospettandogli un male ingiusto (consistente nel spaccargli la testa in due parti e di andarlo a prendere fino alla sua città d'origine), integrando in tal modo gli estremi sia dell'elemento oggettivo che soggettivo del reato per cui si procede. In tal senso, tra l'altro, si è espressa a più riprese la Suprema Corte asserendo che, in tema di minaccia, "per la sussistenza in concreto del reato di cui si discute, sia necessario dedurre l'attitudine a intimorire della condotta posta in essere dal soggetto attivo, come indicato dalla giurisprudenza di legittimità, dalla situazione contingente, vale a dire dal contesto in cui si inserisce la condotta in questione e, in particolare, quando essa consiste in espressioni verbali, dal momento in cui le frasi sono state profferite, avuto riguardo ai toni e alla cornice di riferimento, vale a dire a tutte le circostanze di fatto rilevanti" (Cass. pen., Sez. V, n. 278664/19) e ancora "con l'espressione minaccia grave, contenuta nel secondo comma dell'art. 612 cod. pen., il legislatore ha inteso dare rilievo al turbamento psichico che l'atto intimidatorio può cagionare nel soggetto passivo, demandando al prudente apprezzamento del Giudice la valutazione in ordine alla gravità della minaccia, anche sulla base del contesto in cui esse vengono pronunciate e della verosimiglianza della lesione del bene della vita insito nella intimidazione con la quale se ne prospetti, alla vittima, la soppressione" (Cass. pen., Sez. V, n. 8895/21), così come accaduto nella vicenda in esame in cui il tono minaccioso delle frasi rivolte al Sa., in uno con il contesto in cui le stesse sono state profferite - ovvero una lite, non lasciano residuare alcun dubbio circa la colpevolezza dell'imputato per le minacce addebitategli.

Né tantomeno risulta fondata la censura mossa dalla Difesa inerente all'improcedibilità del reato di minaccia per difetto di querela: invero, preme osservare come, poiché nel vigente ordinamento la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari, essa può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno, comunque, interpretati alla luce del favor querelae (ex multis v. Cass. pen, Sez. V, n. 2665/22). Pertanto, nel novero di tali atti può essere ricompresa a pieno titolo anche la costituzione di parte civile o, comunque, la semplice riserva della persona offesa di costituirsi parte civile ragion per cui, nel caso in esame, la mancanza di querela o, comunque, la sua mancata acquisizione agli atti, non inficia in alcun modo la procedibilità del presente giudizio stante la costituzione di parte civile della persona offesa- il Sa., per l'appunto - destinatario diretto della minaccia profferita dall'imputato per cui si procede. Ancora, vi è da aggiungere che il reato di minaccia ha subito una modifica del regime di procedibilità a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 36/18, attuativo della ed. Riforma Orlando, divenendo perseguibile a querela della persona anche in caso di minaccia grave, eccettuate soltanto le ipotesi in cui la minaccia sia fatta nelle modalità indicate nell'art. 339 c.p. ragion per cui, in tali casi, risulta ormai pacifico che la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d'ufficio posto che la volontà punitiva della persona offesa può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione.

Sulla scorta di quanto suesposto, pertanto, deriva il rigetto dei motivi di gravame, nonché la conferma della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado.

Dal rigetto dell'appello deriva la condanna dell'istante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nonché la conferma delle statuizioni civili.

P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p.,

conferma la sentenza n. 7903/23 emessa dal Tribunale di Napoli - Sezione Distaccata di Ischia in data 21.6.23, appellata dall'imputato Iu.Gi., che condanna alle spese del presente grado di giudizio.

Giorni 30 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Napoli il 14 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2024.

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