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Minaccia grave e infermità mentale: attenuanti e depenalizzazione dell’ingiuria (Giudice Cristiana Sirabella)

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Tribunale Napoli sez. I, 14/11/2017, (ud. 14/11/2017, dep. 14/11/2017), n.12161

La minaccia grave (art. 612, comma II, c.p.) si configura quando il comportamento intimidatorio determina nella vittima un fondato timore per la propria incolumità, indipendentemente dallo stato psichico dell’autore, purché quest’ultimo sia in grado di intendere e volere, anche in misura scemata. L’attenuante prevista dall’art. 89 c.p. si applica in caso di infermità mentale che riduca significativamente, senza escluderla, la capacità di intendere e volere. Di contro, l’art. 594 c.p. (ingiuria) è stato depenalizzato a seguito del D.lgs. n. 7/2016.

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La sentenza integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto di citazione a giudizio emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, depositato il 27.03.13, L.V. veniva tratto a giudizio innanzi a questo giudicante per rispondere dei reati ascritti nella rubrica del presente provvedimento.

All'udienza del 4.12.14, assente per rinuncia l'imputato detenuto per altra causa, il Difensore proponeva eccezioni preliminari che il Giudice, previa parere del PM, rigettava, rinviando il processo a causa dell'assenza dei testi di lista.

Dopo numerosi rinvii dovuti all'assenza del teste di lista ed all'omessa traduzione dell'imputato, all'udienza del 20.06.17, assente l'imputato detenuto per altra causa agli AADD, il Giudice, verificata l'assenza di ulteriori questioni preliminari, dichiarava aperto il dibattimento ed invitava le parti a formulare le rispettive richieste istruttorie; il PM chiedeva di provare i fatti in contestazione attraverso l'escussione dei testi di lista, e chiedeva l'acquisizione della denuncia querela sporta da R.C.; la Difesa chiedeva il controesame dei testi del PM e l'esame dell'imputato e depositava numerose perizie psichiatriche relative all'imputato chiedendo la nomina di un CTU per verificare la capacità processuale e giuridica dell'imputato.

Il Giudice, ammesse le prove, procedeva ad escutere la P.O., R.C. che rimetteva la querela; il processo, tuttavia, seguiva il suo corso essendo stato contestato il cpv dell'art. 612 c.p., trattandosi di reato perseguibile di ufficio.

A seguito della deposizione il Giudice rinviava il processo per il conferimento dell'incarico peritale così come richiesto dal Difensore.

All'udienza del 4.07.17 veniva conferito incarico peritale al dr. G.S., psichiatra al fine di poter accertare la capacità di stare in giudizio, la capacità giuridica e la pericolosità sociale dell'imputato.

Dopo alcuni rinvii dovuti alla richiesta di proroga del CTU nominato, all'udienza del 14.11.17, si procedeva all'escussione del perito, dr. S. che illustrava la relazione peritale depositata agli atti.

A seguito di tale attività il Giudice, previa declaratoria di utilizzabilità dei mezzi istruttori, invitava le parti a concludere e decideva come sentenza con contestuale motivazione letta in pubblica udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Alla luce delle risultanze dibattimentali risulta provata la penale responsabilità di L.V. in relazione al reato p. e p. dall'art. 612 II co c.p., ritenendo di contro, di dover mandare assolto il prevenuto dal reato p. e p. dall'art. 594 c.p. perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

In tal senso, il teste R.C. dichiarava di voler rimettere la querela sporta nei confronti dell'ex marito in considerazione della patologia psichiatrica da cui lo stesso risulta affetto (sindrome bipolare) precisando la propria intenzione di non voler alcun contatto con l'ex marito chiedendone anche l'allontanamento dalla città.

A seguito di tale affermazione la P.O. - con una deposizione chiara e coerente - riferiva di essere la moglie del L.V. dal quale si era separata da circa otto anni e dalla cui unione era nato il figlio, M.

La R.C. riferiva che nel corso della vita matrimoniale si accorgeva della patologia psichiatrica di cui soffriva il L.V. tanto da portarlo inizialmente presso uno psichiatra che individuava una forma di morbo di Parkinson, oltre che da altri medici che individuavano svariate forme psicopatologiche quali depressione, schizofrenia, sino alla diagnosi di disturbo bipolare.

La denunciante precisava che nel corso del tempo la patologia psichiatrica era notevolmente peggiorata tanto che ella decideva di separarsi e di andare a vivere presso l'abitazione del figlio.

Ciò nonostante l'ex marito continuava ad importunarla chiamandola ripetutamente sulla propria utenza mobile tanto che la donna era costretta a cambiare il numero telefonico e che, anche in presenza di condomini del palazzo, spesso il L.V. si era rivolto a lei con frasi offensive dell'onore e minacciose; in particolare la R.C., che svolgeva lavori di pulizia condominiale, sporgeva denuncia in quanto l'ex coniuge, a seguito della sua decisone di lasciare la casa coniugale, l'aveva minacciata profferendo al suo indirizzo le parole (omissis).

Nonostante la remissione di querela, la teste precisava che seppure l'ex marito in passato non era stato un uomo violento, ella aveva ritenuto quella minaccia grave e fondata proprio a causa della patologia, in quel momento particolarmente grave, che affliggeva il L.V..

Dalla perizia psichiatrica del dr. S. e dalla escussione del sanitario emerge che L.V., allo stato, abbia la capacità di stare in giudizio e di difendersi utilmente; che, attualmente, abbia anche capacità di intendere e di volere in quanto il periziato, già conosciuto dal CTU da circa dieci anni avendo questi effettuato altre perizie nei suoi confronti, veniva trovato in una condizione particolarmente positiva, rilevando il dr. S. un "disturbo bipolare in attuale buon compenso clinico"; il CTU precisava, tuttavia, che all'epoca dei fatti, (novembre 2012) l'imputato "...si trovasse in uno stato di mente tale da scemare grandemente, senza però escluderla del tutto, la capacità di intendere e di volere: il quadro psicopatologico, cioè, era segnato - con elevata probabilità - da quei caratteri di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da incidere in maniera significativa, pur senza escluderla, sulla capacità di intendere e di volere..."; il sanitario, quanto alla pericolosità sociale rilevava che il L.V. avesse attualmente una pericolosità sociale attenuata, necessitando di terapia farmacologica e di monitoraggio medico ma precisando che il prevenuto risultava essere ben accudito dal fratello che si era preso in carico la sua persona vivendo con questi nella stessa abitazione.

Alla luce delle risultanze emerse dall'istruttoria dibattimentale si ritiene provata la penale responsabilità di L.V. in relazione al reato di minaccia grave in quanto risultano integrati gli elementi costitutivi dei reati a lui ascritti in rubrica.

Preliminarmente, osserva questo Giudice che la Suprema Corte ha statuito che "Ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, ben può tenersi conto delle dichiarazioni della persona offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale può essere, anche esclusivamente fondata l'affermazione di colpevolezza dell'imputato, purché la relativa valutazione sia adeguatamente motivata..." (Cass. Sez. IV n. 30422 del 21.06.05 Pres. D'Urso).

In tema di valutazione della deposizione resa dalla persona offesa, il Tribunale, aderendo all'orientamento prevalente della Suprema Corte, ritiene che, effettivamente, particolare rilievo può assumere la dichiarazione della vittima in ordine al fatto ascritto, ove si accerti la credibilità delle dichiarazioni della persona offesa; in tal senso, la persona offesa ha riferito i fatti in maniera precisa, atteso che il denunciante rendeva una deposizione organica e coerente, con quanto dichiarato in denuncia e mai contraddetta da altre emergenze processuali precisando che la volontà di remissione della querela era dovuta piuttosto alla necessità di chiudere qualsiasi tipo di rapporto con l'ex coniuge, che ella chiaramente temeva, precisando che il L.V. fosse attualmente detenuto (prima in carcere e poi agli arresti domiciliari) a causa di altre denunce sporte dalla figlia che intendeva proteggere la madre.

Ciò premesso alla luce di tali considerazioni, questo Giudicante ritiene raggiunta la prova della penale responsabilità di L.V. in relazione al reato p. e p. dall'art. 612 II co. c.p. in quanto risultano integrati gli elementi costitutivi del reato a lui ascritto; quanto all'elemento materiale, infatti, L.V., minacciava la ex moglie, R.C., dalla quale era ormai separato, di un male ingiusto profferendo al suo indirizzo le parole "io ti ammazzo, vengo a casa tua e ti butto giù dal balcone" profferendo all'indirizzo della donna frasi ingiuriose che ne offendevano l'onore ed il decoro; minaccia questa che, proprio per la fase acuta della patologia da cui l'imputato risultava affetto nel periodo di commissione del fatto, risultava grave e veniva percepita dalla P.O. come reale determinando nella donna un effettivo timore di verificazione dell'evento minacciato.

L'elemento soggettivo del reato contestato all'imputato è da individuarsi nel dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere detta condotta verosimilmente imputando alla ex coniuge l'abbandono del tetto coniugale.

Questo Giudice ritiene di poter riconoscere nei confronti di L.V. l'attenuante speciale p. e p. dall'art. 89 c.p. trattandosi di soggetto che, all'epoca dei fatti era affetto da un'infermità mentale tale da scemare grandemente la capacità di intendere o di volere, senza escluderla del tutto, rispetto al commesso reato.

Di contro, in considerazione dei numerosi precedenti penali da cui risulta gravato il L.V. non si ritiene di poter riconoscere in favore del prevenuto le circostanze attenuanti generiche.

Ciò premesso, valutati i criteri tutti di cui all'art. 133 cp questo Giudicante stima equo irrogare a L.V. la pena di mesi due di reclusione così determinata: pena base mesi tre di reclusione; ridotta per il riconoscimento dell'attenuante ex art. 89 c.p. alla pena di mesi due di reclusione.

Alla condanna segue per legge il pagamento delle spese processuali.

Non sussistono i presupposti per applicare in favore di L.V. il beneficio di cui all'art. 163 cp. Stante il certificato penale ostativo in tal senso.

Quanto alla misura di sicurezza conseguente alla pericolosità sociale questo Giudicante non ritiene di applicare a L.V. alcuna misura in considerazione delle dichiarazioni rese dal CTU, dr. S. che riferiva di una patologia con buon compenso clinico, caratterizzato da una pericolosità sociale molto attenuata, ed in considerazione del fatto che il prevenuto risulta ben assistito dal fratello che lo ha preso presso la propria abitazione ove l'imputato risulta detenuto agli arresti domiciliari (per altra causa).

Quanto al reato p. e p. ex art. 594 c.p.p. questo giudicante ritiene di dover mandare assolto L.V. dal reato ascritto perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

In tal senso, osserva il Giudicante che a seguito di legge delega n. 67/14 ed a seguito dell'entrata in vigore del D.lgs. n. 7/16, l'art. 594 c.p. - oggi ascritto all'imputato - risulta espressamente inserito nell'elenco dei reati depenalizzati non costituendo più ipotesi di reato fermo restando le restituzioni ed il risarcimento del danno, secondo le norme del codice civile.

Ne segue che, non essendo prevista più la fattispecie in contestazione come ipotesi di reato, occorre emettere nei confronti di L.V. una sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 cpp dichiara L.V. responsabile del reato p. e p. dall'art. 612 co. II c.p. e, riconosciuta l'attenuante ex art. 89 c.p., lo condanna alla pena di mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 530 c.p.p. assolve L.V. dal reato p. e p. dall'art. 594 c.p. perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

Napoli, 14 novembre 2017

Il Giudice Onorario Dott.ssa Cristiana Sirabella

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