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Sostituzione di persona: dolo specifico e falso nome per la stipula di un contratto

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Tribunale Udine, 29/11/2023, n.2065

Il reato di sostituzione di persona ex art. 494 c.p. si configura quando l’autore attribuisce a sé un falso nome o qualità personali false, inducendo la controparte in errore e realizzando così un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale ingiusto. Per configurare il concorso nel reato, è sufficiente che il compartecipe fornisca un contributo, materiale o morale, che faciliti la commissione del reato, purché consapevole della finalità delittuosa. Il dolo consiste nella consapevolezza e volontà di cooperare alla realizzazione del comportamento ingannevole.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione emesso dal P.M., Hu.La. e Pe.Na. venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati ascritti in rubrica.

Il processo si celebrava in assenza di entrambi gli imputati, assistiti da difensore di fiducia, presente alle udienze, e ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

Dopo un rinvio per ragioni d'ufficio, l'udienza del 28.09.2022 veniva differita per il legittimo impedimento dell'imputata Pe..

All'udienza di data 11.11.2022 venivano ammesse le prove richieste dalle Parti e all'udienza del 24.02.2023 si sentivano quali testi Ba.Pi.e Sovr. Be.Gi.

Dopo un rinvio per l'assenza del teste residuo, all'udienza del 15.09.2023 si sentiva la persona offesa Ro., a chiarimenti su acquisizione concordata di atti.

Alla successiva udienza del 20.10.2023, dichiarata la chiusura dell'istruttoria dibattimentale, le Parti rappresentavano le rispettive conclusioni e all'odierna udienza, a seguito di un breve rinvio per repliche, il Giudice pronunciava sentenza dando lettura di separato dispositivo, confermato all'esito dell'interlocuzione prevista ex art. 545 bis c.p.p..

Le risultanze dibattimentali (v. querela Ro. e deposizione Ba.) consentono di ricostruire la vicenda come segue.

All'inizio del 2019 la persona offesa Ro., proprietaria di un capannone nella zona industriale di Martignacco, esponeva un cartello per la vendita dell'immobile indicando a fini di contatto l'utenza telefonica del marito Ba..

Pervenivano telefonate da un soggetto interessato allo svuotamento dello stabile con recupero dei materiali ferrosi e, pertanto, a marzo 2019 le parti organizzavano un incontro.

Nello specifico, in data 12.04.2019 la persona offesa Ro. incontrava un uomo che si presentava con il nome di Fl.Fa., accompagnato da una donna che indicava quale segretaria.

Ro. interloquiva sia con l'uomo che con la donna (cfr. deposizione teste p. 5) e in sua presenza l'uomo sottoscriveva a nome di Fl.Fa. il contratto di prestazione d'opera (v. doc. PM) qualificandosi come legale rappresentante della ditta Co. s.r.l., di cui forniva tutti i dati (indirizzo, Partita IVA e, con un messaggio successivo, il codice REA).

La società era nota ed esistente, attiva nel settore del commercio di rottami ferrosi.

Il contratto aveva ad oggetto lo smantellamento con vuotatura e smaltimento di tutte le suppellettili, compresa la muratura in cartongesso del reparto officina; il corrispettivo pattuito consisteva nel valore dei materiali recuperati (in querela la persona offesa indicava vecchi ricambi in rame e acciaio per macchine da caffè, varie macchine lavabicchieri e mobilio in inox, un muletto non funzionante, un compressore, profilati in ferro, una saldatrice a punti, ecc.).

Le parti, poi, concordavano che la scaffalatura pesante venisse portata via per ultima, precisandosi in querela che si trattava della scaffalatura porta pallet che, in quanto di maggior valore (pari a circa 10.000 Euro), doveva rimanere a garanzia per i lavori svolti.

Inizialmente pareva che il rottamatore rispettasse gli accordi, tant'è che la segretaria telefonava alla querelante per chiedere il permesso di smaltire il compressore (cosa che era già stata sancita).

Il giorno 17.05.2019 la querelante Ro., recatasi sul posto per una verifica sul prosieguo dei lavori, notava che il soppalco della zona ufficio/showroom, composto da acciaio rivestito da cartongesso, era stato parzialmente smontato.

A quel punto avvertiva Ba. che chiedeva agli operai cosa stessero facendo, e costoro si fermavano brevemente, inoltre telefonava a Fl. (che aveva in uso l'utenza n. (...)) spiegando che gli operai stavano smantellando un soppalco che non andava demolito, poiché struttura collaudata e quindi parte integrante dello stabile.

L'altro si scusava, imputando l'accaduto a una incomprensione, assicurando che le parti smontate sarebbero state rimontate al più presto.

Il giorno 22.05.2019, tornata sul posto insieme al marito, la querelante notava che il soppalco e la scala erano stati trafugati, le pareti in cartongesso della zona ufficio/showroom erano state buttate giù con tutte le lampade, la parete dell'officina era ancora in piedi, il capannone appariva ricolmo di masserizie non asportate e mancavano le scaffalature pesanti che da contratto dovevano essere rimosse per ultime (v. foto doc. PM).

Nei giorni successivi Ro. e il marito tentavano più volte di contattare Fl., il cui telefono prima suonava a vuoto e poi risultava spento.

Contattata telefonicamente la Co. S.r.l., la persona offesa apprendeva che tale Fl. era sconosciuto.

Pertanto, in data 29.05.2019 la persona offesa sporgeva querela.

Acquisita la querela, per attività investigativa svolta in altri procedimenti gli operanti rilevavano che l'utenza telefonica fornita dalla persona offesa era in uso all'odierno imputato Hu.La.

In sede di individuazione fotografica la persona offesa Ro. riconosceva con certezza entrambi gli odierni imputati quali Fl. e la segretaria (v. doc. acquisiti su accordo).

Ba., nel corso dell'esame dibattimentale, come anche in sede di indagine, riconosceva con certezza l'odierno imputato, spiegando di non essere in grado di riconoscere la donna.

L'imputato versava alla persona offesa la somma di Euro 1.000,00 a titolo di ristoro, a fronte di un danno quantificato in Euro 30.000,00 dalla persona offesa.

Le risultanze dibattimentali consentono di pronunciarsi sentenza di condanna degli imputati quanto al reato sub A), mentre va pronunciata assoluzione quando al reato sub B) di cui non risulta pienamente provato l'elemento oggettivo, prima ancora che soggettivo.

Le prove raccolte attestano che l'odierno imputato Hu.La. si sia presentato sotto falso nome a Ro. e Ba., sottoscrivendo il contratto di prestazione d'opera con il nome di Fl.Fa., legale rappresentante della ditta Co. s.r.l., attiva nel settore del commercio di rottami ferrosi.

L'identificazione del responsabile può ritenersi provata in forza del duplice riconoscimento, effettuato con sicurezza sia da Ro. sia da Ba., non essendovi alcuna seria ragione per ipotizzare una finalità calunniatoria o uh errore da parte di entrambi.

Alla luce del riconoscimento reso da Ro., da ritenersi attendibile perché la querelante, a differenza del marito, ha ricordato di aver anche interloquito con la donna, può ritenersi parimenti certa l'identificazione della segretaria, "impersonata" dall'odierna imputata, peraltro moglie del coimputato Hu..

Pertanto, può ritenersi provato che il soggetto presentatosi come Fl. fosse proprio l'odierno imputato, che ha fornito un falso nome e si è attribuito false referenze al fine di stipulare il contratto di prestazione d'opera, fatto che integra pienamente il contestato delitto di cui all'art. 494 c.p.

In ciò il prevenuto è stato coadiuvato dall'odierna imputata che ha agevolato la commissione del reato presenziando all'incontro quale segretaria e interloquendo personalmente con la Ro. mentre l'altro si presentava con un nome falso e quale legale rappresentante della ditta Co., così da rendere il tutto maggiormente credibile.

Al riguardo, si deve rammentare che secondo la giurisprudenza "Per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato" (v. Cass. Sez. 5-, Sentenza n. 43569 del 21/06/2019 Ud. (dep. 24/10/2019 ) Rv. 276990 - 01).

Da un punto di vista soggettivo, poi, pare innegabile la sussistenza del dolo anche in capo alla donna, che era a conoscenza della reale identità del correo, atteso che "Nel concorso di persone nel reato l'elemento soggettivo si caratterizza nella consapevole rappresentazione e nella volontà della persona del partecipe di cooperare con altri soggetti alla comune realizzazione della condotta delittuosa" (Sez. 1, Sentenza n. 40248 del 26/09/2012 Ud. (dep. 12/10/2012) Rv. 254735 - 01).

Piuttosto, le prove non consentono di ipotizzare che la sostituzione di persona prima descritta fosse funzionale alla realizzazione del furto contestato sub B), avente ad oggetto una scala e i materiali edili che componevano un soppalco.

Va al proposito evidenziato che l'oggetto del contratto era generico e comprendeva lo smantellamento con vuotatura e smaltimento di tutte le suppellettili, compresa la muratura in cartongesso del reparto officina e la scaffalatura pesante.

Per le caratteristiche proprie è plausibile che il soppalco in questione (che non era un'opera d'arte o una struttura di particolare ed evidente valore perché, ad esempio, in rame) apparisse come uno dei beni da smantellare, non essendo neppure emerso che committente e prestatore avessero parlato di tale opera muraria prima della telefonata effettuata da Ba..

Va evidenziato che tale telefonata è avvenuta mentre gli operai stavano smantellando la struttura e il prevenuto ha imputato l'accaduto a una incomprensione, impegnandosi a restituire i materiali edili in questione.

Non è dato sapere se siano state date ulteriori indicazioni agli operai che, a dire di Ba., si erano fermati momentaneamente.

Inoltre, non è chiaro in quali condizioni il materiale sia stato consegnato all'imputato e se tale materiale avesse conservato caratteristiche che lo rendevano riconoscibile, così da poter essere identificato dal ricevente come componente del soppalco anziché della scaffalatura pesante o delle altre parti smantellate come da pattuizione.

Il successivo silenzio dell'imputato, che ha cessato ogni contatto fino all'invio di un assegno di 1.000 Euro a titolo di ristoro in favore della persona offesa Ro., trova spiegazione nell'interesse a eludere le contestazioni dovute all'inadempimento degli obblighi assunti da contratto, ben evidente dalle foto in atti, che attestano la mole di masserizie non smaltite.

Per tutto quanto detto, in tale contesto non si può escludere che la sottrazione debba inquadrarsi quale inadempimento civilistico.

Non potendosi ritenersi provata con il necessario grado di certezza processuale la dolosa sottrazione dei beni altrui descritta al capo B), gli imputati vanno mandati assolti dal reato.

Come detto, può pronunciarsi sentenza di condanna per il reato descritto sub A), con esclusione dell'aggravante contestata del nesso teleologico.

Al fine di valorizzare il versamento effettuato in favore della persona offesa si riconoscono in favore di entrambi le circostanze attenuanti generiche, che possono operare in regime di equivalenza alla recidiva aggravata rispettivamente contestata, applicabile poiché entrambi gli imputati hanno perseverato nel delinquere nonostante le numerose condanne già patite, anche recenti (nello specifico, a carico di entrambi risultano svariate sentenze di condanna per furto, l'ultima delle quali irrevocabile nel 2016 per Pe. e nel 2018 per Hu.), dimostrandone così l'inefficacia dissuasiva.

Il fatto pare meritevole di una pena non strettamente contenuta nei minimi edittali, considerato che gli imputati hanno fornito non solo un falso nome, ma anche false qualifiche professionali, conseguendo quale vantaggio la stipula del contratto di prestazione d'opera, poi malamente eseguito.

Ciò detto, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., si stima congrua per entrambi una pena finale pari a mesi 6 di reclusione determinata previo riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis c.p. in regime di equivalenza sulla recidiva ex art. 99 comma 4 c.p. rispettivamente contestata.

Segue, di diritto, la condanna di entrambi al pagamento delle spese processuali.

Non essendo riconoscibile il beneficio della sospensione condizionale della pena, successivamente alla lettura del dispositivo di condanna veniva reso l'avviso ex art. 545 bis c.p.p., in relazione al quale i Difensori rappresentavano di non disporre di procura speciale. Non potendosi ritenere utile in ottica rieducativa, in relazione alle concrete caratteristiche dell'accaduto, la conversione della sanzione nella pena pecuniaria sostitutiva, si dava conferma del dispositivo già letto.

Motivazione riservata in giorni 90 ex art. 544 comma 3 c.p.p.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533,535 c.p.p.

DICHIARA

Hu.La. e Pe.Na. colpevoli del reato ascritto sub A), esclusa la contestata aggravante, riconosciute in favore di entrambi le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza alla recidiva rispettivamente contestata,

li CONDANNA alla pena di mesi 6 di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali;

visto l'art. 530 c.p.p.

ASSOLVE

Gli imputati dal reato sub B) perché il fatto non sussiste;

Letto l'art. 544, comma 3, c.p.p.

ASSEGNA

il termine di giorni 90 per il deposito della sentenza.

Così deciso in Udine il 27 ottobre 2023.

Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2023.

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