Corte appello Perugia, 08/03/2024, n.84
Integra il delitto di sostituzione di persona ex art. 494 c.p. la condotta di chi, con artifizi o inganni, si attribuisce un falso stato o qualità personali al fine di carpire la fiducia della vittima per scopi illeciti. Tale reato si configura anche quando l'agente si presenta con un'identità fittizia e utilizza tale inganno per arrecare molestie, purché sia dimostrato che la falsa attribuzione abbia influito sulla volontà della vittima. Non è sufficiente la mera titolarità di utenze telefoniche per escludere la responsabilità se non emergono elementi concreti che dimostrino l'uso da parte di terzi.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 02/05/2022, il Tribunale di Perugia dichiarava Pa.An. colpevole dei reati di cui agli artt. 494 e 660 c.p., come trascritti alla rubrica e, applicato l'aumento di pena per la contestata recidiva, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di un anno di reclusione.
Secondo quanto ipotizzato nel capo d'imputazione, l'imputato, in violazione degli artt. 494 e 660 c.p., avrebbe arrecato molestia e disturbo a Pu.Ma. con il mezzo del telefono, in quanto, dopo essersi procurato il numero della persona offesa dalla madre di quest'ultima, presentandosi falsamente come il cugino Bi.Gi., le comunicava con diverse telefonate, effettuate tra il 19 ed il 21 marzo 2018, di avere un problema sessuale chiedendole di stimolarlo telefonicamente al fine di risolverlo.
Il Tribunale riteneva provata la responsabilità dell'imputato sulla base delle emergenze probatorie emerse in sede testimoniale e documentale. Dalla ricostruzione effettuata dalla persona offesa si evinceva che, tra il 29 ed il 31 marzo del 2018, la stessa riceveva diverse telefonate dal contenuto molesto e a sfondo sessuale effettuate da un uomo che, spacciatosi per suo cugino, le riferiva di avere problemi sessuali e di avere la necessità di essere stimolato sessualmente al telefono al fine di applicare una crema prescritta dal medico agli organi genitali dopo aver avuto una eiaculazione. Inoltre, la Pu., subito dopo la prima telefonata, era informata dalla propria madre Mi.Li. che quest'ultima era stata ingannata da uno sconosciuto che si era presentato al telefono come il cugino Bi.Gi. chiedendole il numero della figlia, pur non essendolo, in quanto, contattato telefonicamente, il vero Bi.Gi. negava di averla mai chiamata. Successivamente, nella stessa giornata e nelle due successive, lo sconosciuto continuava ad importunare la Pu. utilizzando anche diverse utenze, fino a che quest'ultima non si recava a sporgere la denuncia querela presso i Carabinieri che, all'esito dei relativi accertamenti effettuati sulle utenze telefoniche, identificavano l'autore delle telefonate con Pa.An., rilevando peraltro che l'uomo era un pluripregiudicato per condotte analoghe.
Da quanto sopra, il Tribunale traeva la prova di colpevolezza del Pa. e lo condannava alla pena finale di un anno di reclusione (pena base per il reato di cui all'art. 494 c.p.: sei mesi, aumentata per la recidiva a dieci mesi, aumentata ex art. 81 cpv. per il reato di cui all'art. 660 c.p. ad un anno).
2. Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputato censurandola per i seguenti motivi:
1 - mancata assoluzione ai sensi dell'art. 530 co. 1 c.p.p. per la mancanza dell'elemento soggettivo del reato:
2 - eccessività della pena inflitta.
3. Emesso il rituale decreto di citazione, il processo è stato chiamato dinanzi a questa Corte all'udienza del 9/02/2024 in cui è stato trattato in forma camerale (cartolare); sulle conclusioni scritte delle parti la Corte ha deciso come da separato dispositivo.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo l'appellante si duole del giudizio di responsabilità emesso nei confronti del proprio assistito, in quanto fondato su elementi incerti in ordine sia al contenuto delle telefonate e, pertanto, sul reale tenore delle stesse, che alla loro riconducibilità all'imputato, essendo stata soltanto accertata la titolarità in capo al Pa. delle relative utenze telefoniche, che tuttavia avrebbero potuto essere utilizzate anche da terze persone. Infine, l'appellante censura il fatto che il giudizio di colpevolezza si sarebbe fondato sulla circostanza che il Pa. era stato condannato per vicende analoghe.
1.1. Il motivo è infondato.
Va innanzitutto rilevato che il motivo è erroneamente rubricato come diretto a censurare la sussistenza dell'elemento soggettivo risultando invece sostanzialmente rivolto a censurare la sussistenza dell'elemento oggettivo dei reati e la loro riconducibilità al Pa..
Ciò posto, non vi è dubbio che, alla luce delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sulla cui attendibilità non vi è motivo di dubitare avuto riguardo alla precisione e alla chiarezza del racconto e all'assenza di qualsiasi interesse a calunniare uno sconosciuto, che ricorra l'elemento oggettivo dei reati di sostituzione di persona, tenuto conto del fatto che l'interlocutore si presentava al telefono come un cugino della Pu., in realtà non essendolo, al fine di carpirne la fiducia e tentare un approccio sessuale, nonché di quello di molestie, stante il carattere biasimevole e petulante delle continue telefonate succedutesi per tre giornate di seguito, di cui è stato fornito pieno riscontro documentale attraverso l'acquisizione dei tabulati telefonici in atti, a cui la Pu. riusciva a porre fine soltanto rivolgendosi ai carabinieri.
Né vi sono dubbi in ordine alla individuazione dell'autore di tali telefonate nella persona di Pa.An., avuto riguardo alle dichiarazioni rese dal luogotenente Sc.Ni., in ordine agli accertamenti effettuati sulle utenze telefoniche ((…) e (…)), da cui provenivano le telefonate moleste, intestate entrambe al Pa.. Né quest'ultimo può genericamente dedurre l'eventualità che tali utenze fossero utilizzate da terzi soggetti, in mancanza di precise indicazioni in ordine alla concreta possibilità che le stesse si trovassero nella disponibilità di altri, di cui egli avrebbe in ogni caso l'onere di fornire gli elementi utili alla relativa identificazione. Né lo stesso Pa. ha mai denunciato il furto o lo smarrimento dei relativi telefoni.
Quanto poi alla circostanza relativa ai precedenti da cui il Pa. risulta gravato, per condotte analoghe (in particolare per il reato di molestie e disturbo alle persone), trattasi di una circostanza menzionata dal giudicante a dimostrazione della sua pericolosità ed al fine di giustificare l'aumento di pena per la recidiva, ma non certo a dimostrazione della sua colpevolezza, fondata, come si è detto, sugli inequivocabili accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria.
2. Con il secondo motivo l'appellante lamenta l'eccessività della pena inflitta e invoca il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. con la conseguente concessione del minimo della pena e dei benefici previsti dalla legge.
2.1. Il motivo è fondato.
Deve preliminarmente rilevarsi che, nel corso del giudizio di primo grado, il Pa. ha definito il procedimento, limitatamente alla contravvenzione di molestie, con il pagamento dell'oblazione, di cui vi è la ricevuta dell'avvenuto pagamento in atti.
Ne consegue che erroneamente il Pa. è stato condannato per tale titolo di reato che va, invece, dichiarato estinto per intervenuta oblazione, ai sensi dell'art. 531 c.p.p.
Inoltre, il Pa. appare meritevole delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata recidiva, in considerazione della modesta gravità dei fatti, che non giustifica una pena di entità pari a quella comminata.
In definitiva, la pena va ridotta a mesi cinque di reclusione, tenuto conto del limite edittale di cui all'art. 494 c.p. e dei criteri di dosimetria della pena previsti dall'art. 133 c.p..
3. La sentenza va quindi parzialmente riformata nel senso che va emessa la declaratoria di non doversi procedere per estinzione del reato di cui all'art. 660 c.p. e va ridotta la pena inflitta per il reato di cui all'art. 494 c.p., con conferma delle restanti statuizioni.
P.Q.M.
Visti gli artt. 605, 531 e 544 co. 3 c.p.p., in parziale riforma della sentenza emessa in data 02/05/2022 dal Tribunale di Perugia a carico di Pa.An., dallo stesso impugnata,
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti dell'appellante in ordine al reato di cui all'art. 660 c.p., perché estinto per oblazione, e - concesse al medesimo le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva -
RIDUCE
a mesi 5 di reclusione la pena irrogata all'appellante quanto al residuo delitto;
CONFERMA
nel resto la sentenza impugnata;
INDICA
in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Perugia il 9 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2024.