L'omicidio dopo la rapina: il secondo morso della bestia (La decisione delle Sezioni Unite)
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L'omicidio dopo la rapina: il secondo morso della bestia (La decisione delle Sezioni Unite)

Jakub Schikaneder - Murder in the House
Jakub Schikaneder - Murder in the House

Entrano di notte in una villetta nel cuore della notte, immaginando un furto rapido e una fuga senza conseguenze.

Ma la vittima si sveglia, si oppone, lotta. La fuga si inceppa.

Nella confusione, parte un colpo di pistola: la vita dell’uomo si spegne sul pavimento del suo salotto.

È qui che la qualificazione giuridica si complica.

Perché la rapina non si è consumata, e quella morte esplode come un evento ulteriore: inatteso? inevitabile? voluto?

È in questa dinamica — rapina che si interrompe, vittima che reagisce, colpo che uccide — che la Prima Sezione, il 24 giugno 2025, pone la domanda decisiva: l’omicidio è una tragica conseguenza dello scontro o è divenuto strumento per garantirsi la fuga?

La risposta non è solo teorica ma sposta il baricentro dell’intero processo.

Per l’imputato, quell’omicidio era frutto del caos: la paura, la colluttazione, il gesto incontrollato.

E infatti protesta, se l’aggravante fosse caduta subito, avrei avuto accesso al rito abbreviato, con una pena sensibilmente diversa.

Per l’Avvocato Generale invece la scena racconta altro. L’imputato entra armato, colpisce chi lo ostacola e poi scompare nel buio.

Allora l’omicidio non è un incidente ma costituisce la chiusura del piano criminoso, l’atto finale per cancellare testimoni e tracce.

Due letture che si escludono a vicenda e che trascinano con sé conseguenze radicalmente diverse.

Nella prima strada, la violenza resta un’escalation imprevista, e l’orizzonte punitivo si misura in anni di reclusione.

Nell’altra la morte diviene uno strumento consapevole per garantirsi la fuga, e allora l’ergastolo diventa la risposta naturale.

La Prima Sezione prende atto della frattura interpretativa e riconosce che questa volta non è sufficiente affidarsi al diritto vivente. Occorre una parola definitiva, capace di ristabilire la coerenza del sistema.


Gli uni — severi, chirurgici — affermano che quando la violenza esorbita, sfociando nelle lesioni gravi o nella morte, siamo davanti a due reati autonomi: la rapina, nuda; l’omicidio, feroce.

Ne consegue il riconoscimento del nesso teleologico, con l’apertura alla massima risposta sanzionatoria prevista dall’ordinamento.

Gli altri, più guardinghi, temono la duplicazione punitiva. L’impunità è già nel DNA della rapina impropria; se la si usa due volte — prima come elemento tipico, poi come aggravante — si rischia il bis in idem sostanziale.

Due visioni filosofiche, insomma.

Per i primi, la volontà omicida è un secondo morso della bestia; per i secondi, è lo stesso morso che affonda più a fondo.

Così la Corte di Cassazione rimette la questione alle Sezioni Unite.

La questione è stabilire quando la morte smette di essere un esito imprevisto della violenza e diventa strumento per garantirsi l’impunità.

Il 27 novembre 2025 arriva la risposta dalle Sezioni Unite: l’aggravante teleologica è configurabile.

Quel colpo di pistola non è un guasto casuale del piano delittuoso ma è l’atto che chiude la scena e tenta di cancellare ogni testimone, ogni traccia, ogni identità.

Le Sezioni Unite non risolvono soltanto un contrasto giurisprudenziale, definiscono l’essenza stessa della violenza nei reati predatori.

Dicono che chi entra armato in una casa e, pur di sparire nel buio, accetta di spegnere una vita, sceglie consapevolmente un’altra dimensione della colpa.

Non più l’avidità del patrimonio, ma la volontà di far tacere chi si oppone.

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