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Appropriazione indebita aggravata: sulla procedibilità

Appropriazione indebita

Cassazione penale sez. II, 18/06/2019, n.28305

In tema di appropriazione indebita aggravata ex art. 61, comma 1, n. 11 c.p., la persistente costituzione di parte civile, coltivata - nella specie, senza opposizione da parte della difesa dell'imputata - anche successivamente all'introduzione della procedibilità a querela da parte del d.lg. 10 aprile 2018, n. 36, determina la piena sussistenza dell'istanza di punizione e, conseguentemente, della condizione di procedibilità.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 12 ottobre 2017 la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza in data 10 dicembre 2013 dal Tribunale di Messina, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.M. per essere il reato di appropriazione indebita aggravata alla stessa contestato estinto per prescrizione, mentre ha confermato nel resto la sentenza impugnata con la quale l'imputata era stata condannata al risarcimento dei danni (da liquidarsi nella competente sede) a favore della parte civile R.S.C.. In estrema sintesi si contestava alla M. di essersi appropriata di somme di denaro ammontanti a circa 14.000,00 Euro di cui una parte relativa alla riscossione degli arretrati della pensione di Ma.Ro. ed altra parte a lei consegnata dal R. affinchè la depositasse su di un libretto di risparmio da accendersi a favore di Ma.Nu. e di Ma.Ro. (zie del R.). 2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputata, deducendo: 2.1. Nullità della sentenza per violazione dell'art. 429 c.p.p., comma 4, in relazione al mancato rispetto dei termini dell'avviso di fissazione dell'udienza del 10 dicembre 2013 innanzi al Tribunale. Rileva al riguardo la difesa della ricorrente che detto avviso di fissazione dell'udienza emesso il 30 ottobre 2013 non fu correttamente notificato all'imputata. In sintesi: il procedimento penale de quo era stato in origine incardinato innanzi alla Sezione distaccata di Taormina del Tribunale di Messina ma, a seguito della soppressione del predetto Ufficio Giudiziario, in data 30 ottobre 2013, fu emesso decreto del Presidente del Tribunale di chiamata in prosecuzione del procedimento all'udienza del 10 dicembre 2013 innanzi al Tribunale di Messina (sede centrale). Detto decreto fu tuttavia notificato all'imputata in data 21 novembre 2013 a mezzo del servizio postale e, quindi, solo 19 giorni prima della data stabilita per l'udienza. All'udienza del 13 dicembre 2013 il difensore dell'imputata formulava eccezione al riguardo ma la stessa veniva respinta sul rilievo che trattavasi di udienza in prosecuzione. La Corte di appello, alla quale la questione era stata riproposta in sede di gravame, rigettava a sua volta l'eccezione con motivazione sostanzialmente analoga. Evidenzia, pertanto, la difesa della ricorrente, richiamando assunti della giurisprudenza di legittimità, il mancato rispetto dei termini di cui all'art. 429 c.p.p., comma 4, con violazione del diritto di difesa e, per l'effetto, la nullità della sentenza del Tribunale e di tutti gli atti conseguenti. 2.2. Vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Rileva, al riguardo, la difesa della ricorrente che i Giudici di merito avrebbero travisato le risultanze processuali. In particolare pur avendo la Corte di appello richiamato le motivazioni del Tribunale, in realtà avrebbero, poi, operato una differente ricostruzione dei fatti con particolare riguardo all'ammontare delle somme delle quali si sarebbe appropriata l'imputata (che sarebbero state ritenute ammontanti a quasi il doppio di quanto contestato nel capo di imputazione). La motivazione della sentenza impugnata sarebbe, poi, disancorata dai dati probatori emersi nel dibattimento nella parte in cui i Giudici hanno affermato che la sorte della destinazione delle somme è rimasta ignota e ciò nonostante che molteplici testi hanno riferito di aver ricevuto cospicui pagamenti tra l'anno 2007 e l'anno 2008 e che siano emerse ulteriori spese affrontate dalla M. nell'interesse delle persone offese, il tutto come rendicontato dalla difesa, il che vizierebbe l'intero ragionamento motivazionale alla luce dell'indicato travisamento probatorio. 3. Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 24 maggio 2019 la difesa della ricorrente ha presentato motivi nuovi ex art. 585 c.p.p., comma 4, deducendo: 3.1. Violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 120 c.p.. Rileva, al riguardo, la difesa della ricorrente che con riferimento alla contestazione di appropriazione indebita di 7.000,00 Euro ai danni della Ma., il reato, a seguito delle recenti riforme normative è divenuto oggi perseguibile a querela ed essendo la persona offesa deceduta prima ancora dell'inizio del dibattimento senza avere mai proposto querela, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per difetto della condizione di procedibilità. Quanto alla querela proposta, invece, dal R. egli non ne era in alcun modo legittimato, non essendo nè il proprietario del denaro, nè titolare di alcun rapporto giuridico che lo legasse allo stesso, con la conseguenza che anche in questo caso difetterebbe la presenza di una valida condizione di procedibilità. 3.2. Violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) o c), in relazione all'art. 74 c.p.p.. Eccepisce, al riguardo, la difesa del ricorrente che, per le ragioni espresse al punto, precedente il R. non era legittimato alla costituzione di parte civile e ciò determinerebbe la nullità delle statuizioni civili contenute nella sentenza. 3.3. Vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'art. 546 c.p.p.. Rileva la difesa della ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe caratterizzata da un travisamento delle risultanze processuali avendo la Corte di appello raddoppiato l'ammontare delle somme oggetto della contestata appropriazione, così trascurando quanto emerso nel dibattimento di primo grado, mentre parte ricorrente nell'atto di appello aveva operato un corretto calcolo delle somme percepite dalla persona offesa e delle spese dalla stessa sostenute, il tutto confermato dalle dichiarazioni dei testi L.M. e R.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Correttamente, infatti, i Giudici di merito hanno ritenuto che l'art. 429 c.p.p., comma 4, non sia applicabile al caso in esame posto che la vocatio in judicium dell'imputata era già regolarmente avvenuta nel rispetto dei termini di legge e nel caso in esame trattavasi non di una rinnovazione della citazione a giudizio ma solo di una comunicazione alle parti del giorno e del luogo in cui il processo, già interamente istruito in una sede distaccata del Tribunale medio tempore soppressa ex D.Lgs. n. 155 del 2012, sarebbe proseguito. Ritiene l'odierno Collegio di concordare con quanto osservato dai Giudici del merito circa il fatto che il disposto dell'art. 429 c.p.p., comma 4 prevedendo un termine a comparire, trova il proprio fondamento nell'esigenza di consentire all'imputato di predisporre adeguatamente la propria difesa, esigenza che, chiaramente, non ricorre in un procedimento già iniziato. E' appena il caso di ricordare che questa Corte di legittimità in situazioni di avviso di differimento di udienza in sede di appello - ma i cui principi sono certamente estensibili al caso in esame - ha già avuto modo di chiarire che "il termine minimo di venti giorni che deve intercorrere tra la notifica dell'avviso al difensore ed il giudizio di appello va osservato solo con riguardo alla prima udienza, poichè per quelle successive, cui il procedimento venga eventualmente differito per impedimento delle parti, non è previsto alcun termine dilatorio essendo rimessa alla discrezionalità del giudice l'individuazione della data utile ad assicurare un congruo intervallo tra le udienze" (ex ceteris: Sez. 3, n. 40443 del 17/01/2018, Gaudino, Rv. 273813). Del tutto inconferente è invece il richiamo contenuto nel ricorso che in questa sede ci occupa ad un assunto giurisprudenziale di questa Corte di legittimità (Sez. 2, n. 18130 del 20/02/2001, Zito, Rv. 219496) che riguardava una situazione del tutto diversa relativa all'omesso formale avviso all'imputato (presente) della celebrazione della nuova udienza in diverso edificio e non certo la questione del rispetto del termine a comparire. 2. Non fondati sono, poi, il secondo motivo di ricorso ed il terzo dei motivi nuovi che appaiono meritevoli di trattazione congiunta stante la stretta relazione tra gli stessi. Va detto subito che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Legittimo è, innanzitutto, il richiamo per relationem alla decisione di primo grado e sul punto va ricordato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Già, infatti, il Tribunale aveva adeguatamente ricostruito il quadro probatorio evidenziando i riscontri alle dichiarazioni accusatorie del R., la modestia delle spese ordinarie delle Ma. e la sostanziale non confermata attendibilità dei testimoni che avevano reso dichiarazioni favorevoli alla difesa, difettando le dichiarazioni stesse relative alla prestazione di servizi od alla vendita di beni di documentazione probatoria o di pezze di appoggio giustificative. La Corte di appello - come detto anche attraverso i richiami alla sentenza di primo grado - ha dato adeguata risposta alle doglianze difensive sottolineando come i calcoli contenuti nell'atto di appello risultano viziati da inesattezze ed imprecisioni e la relativa motivazione, non è certo apparente, nè "manifestamente" illogica e tantomeno contraddittoria. Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. Infatti, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965). Resta solo da rilevare che l'unico reale contrasto tra la sentenza di primo grado e quella di appello è costituito dal fatto che a pag. 4 della sentenza impugnata la Corte di appello risulta avere indicato la somma consegnatagli dal R. in 13.800 Euro mentre in realtà secondo la ricostruzione operata da Tribunale (così come risultante anche dal capo di imputazione) il R. ebbe a consegnare all'imputata solo 7.000,00 Euro mentre i 13.800,00 Euro sarebbero costituiti dalla sommatoria tra quanto trattenuto dalla M. sulle somme spettanti alle Ma. a titolo pensionistico e quanto alla stessa consegnato in contanti dal R.. Trattasi, tuttavia, di questione inconferente in sede penale attesa la declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di appropriazione indebita contestato alla M. (reato ricorrente indipendentemente dall'esatta determinazione dell'esatto ammontare della somma della quale la stessa si sarebbe appropriata) e, a dir del vero, inconferente anche in sede civile atteso che l'imputata è stata dichiarata civilmente responsabile solo in relazione all'"an" mentre la determinazione del "quantum" del risarcimento del danno è stata rimessa al giudice civile innanzi al quale le parti ben potranno far valere le rispettive ragioni anche con riguardo alla quantificazione delle somme stesse. 3. Non fondati, sono, poi, i primi due motivi nuovi relativi alla procedibilità dell'azione penale con riguardo alla legittimazione del R. a presentare querela ed a costituirsi parte civile nel processo. Ferma restando, infatti, la legittima proposizione di motivi nuovi relativi alla questione di procedibilità del reato in origine contestato all'odierna ricorrente, ciò in quanto la riforma normativa dell'art. 646 c.p. che ha reso detto delitto procedibile solo a querela di parte (mentre in origine il reato in contestazione alla M. era procedibile d'ufficio per effetto della contestata e ritenuta circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11) è successiva sia alla sentenza della Corte di appello che alla scadenza del termine per proporre l'originario ricorso per cassazione, deve essere tuttavia essere evidenziato: a) che non risulta documentato dal difensore della ricorrente, che lo stesso si sia opposto alla costituzione della parte civile R. sostenendo che lo stesso non fosse persona offesa o comunque danneggiata dal reato in contestazione, o, ancora, che ne abbia chiesto in precedenza l'estromissione e che, a fronte di un eventuale rigetto di tali istanze, abbia dedotto la questione nell'atto di appello; b) che la costituzione di parte civile coltivata anche successivamente alla riforma che ha reso il reato di cui all'art. 646 c.p. procedibile a querela di parte determina la sussistenza della istanza di punizione dell'imputata che incide positivamente sulla condizione di procedibilità; c) che, di conseguenza, non può che essere confermata in questa sede la correttezza della condanna dell'imputata al risarcimento dei danni alla parte civile R. da quantificarsi nella competente sede civile. 4. Fondata è, invece, la questione relativa alla sopravvenuta improcedibilità dell'azione penale in relazione alla somma di 7.000,00 di proprietà di Ma.Ro. relativa agli arretrati della pensione della stessa ed oggetto di contestata appropriazione da parte della M.. Non risulta che la Ma. (unica legittimata in relazione a tale somma) abbia a suo tempo formulato querela nei confronti dell'imputata ed essendo la stessa deceduta detta querela non è più presentabile. Quanto detto impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla appropriazione indebita di tale somma perchè l'azione penale non poteva essere proseguita per sopravvenuta mancanza di querela essendo tale formula più favorevole all'imputata rispetto alla già dichiarata estinzione del reato per prescrizione. 5. Per le ragioni esposte il ricorso della M. deve, invece, essere rigettato nel resto. 6. Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile R.S.C., la cui liquidazione tenuto conto del grado di complessità della vicenda processuale, viene operata secondo l'importo in dispositivo meglio enunciato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'appropriazione indebita della somma di 7.000,00 Euro relativa agli arretrati della pensione di Ma.Ro., perchè l'azione penale non poteva essere proseguita per sopravvenuta mancanza di querela. Rigetta nel resto il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile R.S.C. che liquida in Euro 3510,00, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA ed IVA. Così deciso in Roma, il 18 giugno 2019. Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019
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