RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Messina, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, ha confermato la responsabilità di A.S. per la fattispecie di furto di porte e infissi interni, della ringhiera in legno della scalinata interna, dei sanitari dei servizi igienici e del camino dell'appartamento già oggetto di provvedimento definitivo di confisca emesso a carico dello stesso A..
2. Avverso la sentenza d'appello A.S., tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1).
2.1. Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione per aver la Corte territoriale violato la regola di giudizio del "ragionevole dubbio" circa la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo all'imputato. Il giudice di merito, in particolare, non avrebbe vagliato l'ipotesi alternativa prospettata dalla difesa per la quale A.S., ricevuta la notifica dell'intimazione di rilascio dell'immobile in quanto oggetto di confisca definitiva, avrebbe asportato i beni di cui innanzi in quanto indotto in errore dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione dei beni confiscati. Quest'ultima, nel notificare all'attuale ricorrente l'intimazione di rilascio dell'immobile, libero e sgombro da persone o cosa, in forza dell'intervenuta confisca definitiva, non avrebbe difatti specificato di astenersi dall'asportare anche le porte e gli infissi interni, la ringhiera in legno della scalinata interna, i sanitari dei servizi igienici e il camino.
2.2. Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio motivazionale nell'aver il giudice di merito ritenuto integrato il furto e non l'appropriazione indebita nonostante l'imputato avesse all'epoca dei fatti il possesso dei beni.
2.3. Con il terzo motivo, infine, si deduce l'apparenza dell'apparato motivazionale sotteso alla ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche.
3. La sola Procura generale della Repubblica della Suprema Corte ha concluso nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo di ricorso, come emerge dal raffronto con i motivi d'appello, è fondato esclusivamente su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte territoriale (pag. 3 e s.), dovendosi quindi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710).
2.1. Laddove la censura timidamente mostra di lambire l'apparato argomentativo della sentenza impugnata essa si presenta inammissibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, in quanto deducente motivo diverso da quelli prospettabili in sede di legittimità in quanto costituito da doglianze in fatto, con la quali si prospetta anche erronee valutazioni del giudice di merito, non scandite dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584, e, tra le più recenti, Sez. 7, n. 9378 del 09/02/2022, Galperti, in motivazione; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, in ordine ai motivi d'appello ma sulla base di principi rilevanti anche al ricorso per cassazione).
2.2. A fronte della ricostruzione emergente dalle sentenza di merito, in ipotesi peraltro di c.d. "doppia conforme", argomentata in termini congrui, coerenti e non manifestamente illogici, posta alla base della ritenuta sussistenza tanto dell'elemento oggettivo quanto di quello soggettivo del reato, commesso dall'imputato quale soggetto destinatario dell'intimazione di rilascio, il ricorrente si limita difatti a prospettare una propria, peraltro ipotetica, ricostruzione alternativa, per la quale il prevenuto avrebbe asportato porte e infissi interni, la ringhiera in legno della scalinata interna, i sanitari dei servizi igienici e il camino dell'appartamento già oggetto di provvedimento definitivo di confisca emesso a suo carico per errore indotto dall'Autorità nell'intimargli il rilascio del bene libero.
2.3. La censura, comunque come detto prospettata in termini meramente ipotetici, dimentica peraltro che la regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" (art. 533 c.p.p., comma 1) rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione, differentemente da quanto avvenuto nella specie, si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non avendo la Suprema Corte alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 4, n. 30827 del 16/06/2022, Castello, in motivazione; Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D'Urso, Rv. 270108-01, nonché, con particolare riferimento ai limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione avverso sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245-01). In sede di legittimità , poi, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un'ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento a elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (ex plurimis, Sez. 4, n. 30827/2022, Castello, in motivazione; Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237-01).
3. Parimenti inammissibile, ancorché per manifesta infondatezza, è il secondo motivo di ricorso con cui si deducono violazione di legge e vizio motivazionale nell'aver il giudice di merito ritenuto integrato il furto e non l'appropriazione indebita nonostante l'imputato avesse all'epoca dei fatti il possesso dei beni.
3.1. Come di recente sintetizzato da Sez. 4, n. 23129 del 12/05/2022, Bertini, Rv. 283280, va ricordato che costituisce ius receptum il principio secondo cui il possesso in senso penalistico si configura quando vi sia una autonoma disponibilità della cosa al di fuori della altrui sfera di vigilanza o custodia. Quado invece sussiste un semplice rapporto materiale tale possesso non è ipotizzabile e si configura, quindi, il reato di furto (si veda anche Sez. 4, n. 8128 del 31/01/2019, Canzian, Rv. 275215).
Tale apprezzamento è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità , consacrata dalle Sezioni Unite, per la quale il possesso, inteso nella peculiare accezione propria della sfera penalistica, è costituito da una detenzione qualificata, cioè da una autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne (Sez. U, n. 40354 del 18/7/2013, Sciuscio, Rv. 255975, in motivazione; conf. anche Sez. 4, n. 40053 del 15/09/2015, Rinaldis, in motivazione, in fattispecie ritenuta sussumibile nel reato di appropriazione indebita in quanto caratterizzata da condotta di apprensione del bene da parte del trasportatore operante non quale dipendente di altri bensì quale lavoratore autonomo e, quindi, da intendersi penalisticamente possessore).
In altri termini, il possesso penalistico implica una signoria di fatto che consente di fruire e disporre della cosa in modo indipendente, al di fuori della sfera di vigilanza e controllo di una persona che abbia su di essa un potere giuridico maggiore. Si tratta di un'autonomia che può essere definita in termini negativi dall'assenza di signoria di fatto del dominus e dell'altrui custodia o vigilanza. Entro tale ordine concettuale, come ripetuto dalla citata Sez. 4, n. 23129 del 2022, Bertini, si usano in una peculiare accezione penalistica i termini possesso e possessore.
Tale soluzione interpretativa, come ricordano le citate Sezioni Unite n. 40354 del 2013, consente di definire la linea di confine tra furto ed appropriazione indebita.
La detenzione qualificata non rende ipotizzabile la sottrazione da parte dello stesso detentore che, invece, ben può rendersi protagonista di atti di appropriazione indebita. Il possesso penalistico di cui si parla non è necessariamente caratterizzato da immediatezza a differenza di quello civilistico, che può configurarsi anche per mezzo di altra persona. Esso, peraltro, non implica necessariamente una relazione fisica con il bene. E' concepibile pure il possesso a distanza, quando vi sia possibilità di ripristinare ad libitum il contatto materiale, o anche solo virtuale, quando vi sia effettiva possibilità di signoreggiare la cosa.
3.2. Orbene, nella specie, in ragione della definitività del provvedimento di confisca e della conseguente intimazione di rilascio dell'immobile rivolta allo stesso imputato, A.S. non vantava una signoria di fatto che gli consentisse di fruire e disporre della cosa in modo indipendente, al di fuori della sfera di vigilanza e controllo di chi aveva invece su di essa un potere giuridico esercitando signoria sul bene anche in termini di custodia e vigilanza.
4. Infondato è infine il terzo motivo di ricorso.
4.1. In tema di circostanze attenuanti generiche, rileva evidenziare che il giudice d'appello non è tenuto a motivare in merito al loro diniego sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti all'attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (ex plurimis: Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate, in motivazione; Sez. 4, n. 15492 del 22/03/2022, Ferro, in motivazione; Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Avallonei, Rv. 281999-02; Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, Nargisio, Rv. 262249-01; Sez. 4, n. 86 del 27/09/1989, dep. 1990, Amarante, Rv. 182959-01; circa il difetto di specificità dei motivi d'appello quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, si veda, per tutte, Sez. U, n. 8825, del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822-01).
4.2. Sotto tale aspetto, quindi, la censura si mostra inammissibile, per difetto di specificità , laddove, peraltro in ipotesi di c.d. "doppia conforme", neanche prospetta che i motivi d'appello non abbiano riproposto, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, gli stessi elementi già sottoposti all'attenzione del giudice di primo grado e da quest'ultimo disattesi.
4.3. A quanto innanzi deve comunque aggiungersi la manifesta infondatezza della doglianza.
Deve premettersi che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto ma richiede elementi, di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego del riconoscimento delle stesse (Sez. 4, n. 20132 del 19/04/2022, Guccione, in motivazione; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590-01, nonché la conforme Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelinato, Rv. 195339-01). Il loro riconoscimento è difatti oggetto di un giudizio di fatto che presuppone l'emersione ovvero l'allegazione di elementi idonei a fondare l'invocata mitigazione sanzionatoria, la cui assenza ne legittima il diniego da parte del giudice di merito che, allo scopo di giustificarlo, non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti ovvero rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento agli elementi ritenuti decisivi o, in ogni caso, rilevanti allo scopo di dimostrare la negativa connotazione della personalità dell'agente (ex plurimis: Sez. 4, n. 20132/2022, Guccione, in motivazione; Sez. 3, n. 16677 del 02/03/2021, Ballarini, in motivazione; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 25989901).
Ne consegue, nella specie, la manifesta infondatezza del motivo di ricorso in esame circa la prospettata sussistenza dei vizi della sentenza impugnata, in termini di apparenza motivazionale. Sul punto, difatti, la Corte territoriale motiva peraltro non limitandosi, come ben avrebbe potuto in forza di quanto innanzi chiarito, a escludere la sussistenza di elementi di segno positivo ma valutando elementi si segno negativo, con particolare riferimento all'oggetto materiale della condotta predatoria in quanto ritenuto destinato a soddisfare esigenze pubbliche.
5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, ex art. 616 c.p.p., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2023