RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Caltanissetta, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia pronunciata dal Tribunale di Enna in data 31 ottobre 2019, in relazione ai contestati delitti di cui all'art. 61 c.p., nn. 2 e 11, artt. 646 e 517 c.p., riguardanti l'appropriazione indebita di bombole vuote, ricevute dalla società amministrata dal ricorrente e non restituite alla società proprietaria delle bombole, nonché la messa in vendita di gas propano liquido utilizzando bombole che non recavano l'origine della provenienza del gas ma riportavano i segni distintivi di altra società (appunto la Liquigas).
2. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 128 del 2006, artt. 7, 12,18, L. n. 689 del 1981, art. 9 e art. 15 c.p.; vizio di motivazione, per travisamento della prova, con conseguente manifesta illogicità. Rileva il ricorrente che la disciplina dell'attività di imbottigliamento dei contenitori di gas propano liquido costituisce lex specialis per le ipotesi di illegale riempimento di bombole di terzi, senza l'autorizzazione del legittimo proprietario, prevedendo l'applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria; la disciplina sanzionatoria amministrativa presuppone l'esercizio autorizzato dell'attività di imbottigliamento del gas propano liquido; il difetto di tale autorizzazione comporta, invece, l'illiceità penale della medesima condotta realizzata da soggetti privi del requisito abilitativo. La Corte territoriale, travisando il contenuto sia della documentazione acquisita, sia dei risultati dell'istruttoria, aveva affermato che la disciplina in esame non poteva trovare applicazione per difetto del requisito soggettivo, poiché l'imputato non risultava proprietario dell'attività di distribuzione e vendita, mentre sia il tenore dell'imputazione, sia gli atti redatti dagli investigatori, confermavano l'esistenza di regolare autorizzazione all'esercizio dell'attività di imbottigliamento del gas in capo al ricorrente. Ad avviso della difesa, l'attività illecita di illegale riempimento di bombole di terzi contiene gli elementi tipici dell'appropriazione indebita delle bombole, nonché della condotta di messa in commercio di quei contenitori con segni distintivi indebitamente utilizzati, sicché deve trovare applicazione la disposizione speciale.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'art. 47 c.p., art. 125 c.p.p., comma 3, art. 111 Cost., con conseguente nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, in ordine alla censura sollevata con il sesto motivo di appello; la Corte territoriale avrebbe omesso ogni forma di motivazione sul profilo della carenza dell'elemento psicologico soggettivo del reato in capo al ricorrente, non considerando la posizione soggettiva del G. (legale rappresentante di tutte le società del gruppo Regalgas che impiegano oltre 100 dipendenti e realizzano considerevoli fatturati, operando in oltre sei regioni del centro sud) e la possibilità che l'attività di riempimento sia avvenuta per mero errore, condizione che esclude la punibilità.
2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'art. 530 c.p.p., comma 2, e art. 533 c.p.p., nonché vizio di motivazione per illogicità interna. La Corte territoriale aveva omesso di fornire risposte allo specifico motivo di appello riguardante l'insufficienza della prova di accusa e la mancanza di prova certa a carico dell'imputato, alla luce dei dati obiettivi e documentali (riguardanti l'accertamento compiuto in data (Omissis)) che escludevano il trasporto di bombole piene di g.p.l. con finalità di commercializzazione (avendo documentato e provato la destinazione delle scambio di bombole vuote con altra ditta, prove a discarico che la Corte nissena avrebbe omesso di valutare).
2.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'art. 131 bis c.p., nonché vizio di motivazione per manifesta illogicità; l'episodio considerato nella sua esatta dimensione, attribuibile a iniziative o errori di dipendenti e responsabili dello stabilimento, non possiede alcuno dei caratteri di gravità se considerato dalla posizione soggettiva del ricorrente; né era adeguata la motivazione che rinviava ad una generica rilevanza dell'offesa, senza quantificare in alcun termine il pregiudizio subito dalla parte civile.
2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p., nonché vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della riduzione della pena inflitta.
3. La Corte ha proceduto all'esame del ricorso con le forme previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020, applicabili ai sensi del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, convertito, con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
I principi di diritto costantemente enunciati dalla giurisprudenza della Corte in materia di concorso apparente di norme impongono al giudice di merito l'applicazione del criterio di specialità previsto dall'art. 15 c.p., fondato "sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore" (Sez. Unite, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668), ossia mediante "la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle" (Sez. Unite, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864 - 0); il principio è stato ribadito dalle Sezioni Unite anche con specifico riguardo al tema del concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria, destinate apparentemente a regolare il medesimo fatto storico, ribadendo che anche in tale ipotesi deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale (rispetto all'altra) all'esito del confronto compiuto tra le rispettive fattispecie astratte (Sez. Unite n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722-01; successivamente Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, Robusti, Rv. 268501 - 0).
La lettura contestuale della norma penale (che punisce l'appropriazione di beni di cui l'agente abbia il possesso, ossia nella fattispecie in esame le numerose bombole per GPL vuote, di proprietà della società Liquigas s.p.a., che non venivano restituite alla società proprietaria) e della disposizione del D.Lgs. n. 128 del 2006, art. 12, che prevede l'illecito amministrativo (consistente nel riempimento non autorizzato di gas di petrolio liquefatti, da parte del titolare di impianto di imbottigliamento, eseguito utilizzando recipienti di terzi, in possesso dei requisiti di cui agli artt. 8 e 9 dello stesso decreto) fa risaltare con evidenza il difetto di coincidenza strutturale tra le fattispecie, trattandosi di condotte obiettivamente diverse: l'una sanziona l'appropriazione del bene - il contenitore, nella specie l'altra l'attività di utilizzazione di specifici beni - mediante l'immissione in contenitori, che ben potrebbero essere legittimamente detenuti, di gas senza che tale specifica attività sia stata autorizzata dal proprietario dei beni -. Ne' rispetto alle condotte così individuate può trovare applicazione il principio di specialità in alcuna delle possibili varianti, "per specificazione" o "per aggiunta" (Sez. Unite, n. 1963/2011, cit.), mancando il nucleo essenziale comune tra le due fattispecie astratte (in quanto, richiamando le peculiarità della fattispecie, l'imbottigliamento del gas propano liquido in bombole di proprietà di terzi non implica, di per sé, l'appropriazione indebita dei contenitori che, al contrario, la norma presuppone esser nella legittima disponibilità del gestore dell'impianto; per altro verso, l'eventuale imbottigliamento concerne un segmento di azione che si pone a valle rispetto alla condotta di appropriazione, senza alcuna interferenza necessaria).
Considerazioni analoghe e sovrapponibili riguardano il concorso tra la disposizione dell'art. 517 c.p. e la norma che prevede il ricordato illecito amministrativo atteso che la norma penale riguarda la condotta della messa in commercio di beni (le più volte rammentate bombole di gas imbottigliate presso gli stabilimenti riconducibili al ricorrente) dotati di sigilli anonimi, ma recanti sui contenitori i segni distintivi dell'altrui attività d'impresa (ossia, quelli che richiamavano la denominazione sociale della società proprietaria delle bombole), in modo da indurre in inganno il compratore sulla provenienza del prodotto.
Rispetto a tale elemento strutturale, la condotta di riempimento dei contenitori in difetto dell'autorizzazione del proprietario costituisce elemento del tutto autonomo ed indipendente e nessuna interferenza sussiste tra l'attività di riempimento delle bombole e la successiva commercializzazione, facendo ricorso a condotte l'omessa applicazione dei tappi e sigilli dei contenitori recanti l'indicazione del titolare dello stabilimento ove veniva imbottigliato il gas - in grado di indurre in errore sull'origine del prodotto (attestata esteriormente dalle sigle esistenti sulle bombole).
1.1. Il secondo ed il terzo motivo sono entrambi manifestamente infondati, oltre che generici nella formulazione.
L'ipotizzata condizione soggettiva di errore del ricorrente, circa il carattere illecito dell'appropriazione dei contenitori della Liquigas e della successiva commercializzazione del gas con le modalità decettive indicate, è affidata a mere asserzioni senza alcun aggancio probatorio che possa sostenere il difetto di dolo per l'attribuzione a responsabili dei singoli stabilimenti delle iniziative costituenti le condotte di reato contestate.
Allo stesso modo, la tesi della mancanza di prova della messa in commercio di bombole piene di g.p.l., che sarebbe smentita dalla documentazione e dalle prove testimoniali assunte a dibattimento, era stata già superata con motivazione puntuale e completa dalla sentenza di primo grado (fogli V-VIII), richiamata dalla Corte territoriale attraverso le fonti di prova rappresentate da servizi fotografici, deposizione dibattimentali dei testi di accusa e difesa, controlli documentali, che attestavano come nel periodo luglio 2015 - marzo 2016 dagli stabilimenti della ditta "Regalgas", amministrata dall'imputato, uscivano automezzi carichi di bombole piene (come confermato dai documenti fiscali - DAS - che accompagnavano i contenitori pieni, mentre ove fossero stati trasportati contenitori vuoti, come dedotto dalla difesa, sarebbero stati esibiti diversi documenti - DDT), parte delle quali erano di proprietà della società "Liquigas", munite di tappi e sigilli anonimi, in quanto non risultava impresso il marchio della società "Regalgas", sì da indurre in inganno gli acquirenti sulla provenienza del prodotto; quanto all'elemento soggettivo, le sentenze di merito avevano considerato la frequenza dei viaggi, frutto di prassi consolidata, sintomatica del dolo generico dei reati contestati in capo all'amministratore della società.
1.2. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha considerato gli aspetti peculiari delle condotte (escludendo l'episodicità dei fatti, apprezzandone la gravità e la potenzialità offensiva nei confronti della collettività considerata la diffusione dei prodotti e il loro consumo, considerando l'intensità del dolo e la misura del danno cagionato alla parte civile) ritenendo tali dati certamente ostativi al riconoscimento della causa di non punibilità, sicché alcun vizio della motivazione risulta sussistente.
1.3. Il quinto motivo di ricorso è del tutto generico, senza alcun confronto con la motivazione della Corte territoriale che ha specificato gli indici, tra quelli previsti dall'art. 133 c.p., che risultavano ostativi alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo altresì che per le modalità dei fatti, la natura delle condotte e l'intensità dell'elemento soggettivo, la misura della pena fosse adeguata quale risposta sanzionatoria; il ricorrente, infatti, lamenta esclusivamente l'omessa considerazione della potenziale responsabilità di altri soggetti, evocando in modo assertivo la necessità di una riduzione della misura della sanzione senza alcun richiamo a dati specifici a sostegno delle proprie affermazioni.
2. L'affermata sussistenza della condotta di appropriazione indebita, e la non manifesta infondatezza del ricorso, impone di rilevare, come correttamente evidenziato nelle conclusioni del P.G., che la consumazione del reato in esame, avente pacificamente natura istantanea, deve essere fissata - sulla scorta delle statuizioni contenute nelle sentenze di merito - alla fine dell'anno 2012, data in cui erano cessati i rapporti contrattuali tra la società "Regalgas" e la società "Liquigas", cui la prima avrebbe dovuto restituire le bombole in suo possesso.
L'affermazione trova fondamento nel contenuto dell'accertamento della sentenza di primo grado, non cointestato né dal P.M. né dalla parte civile (che non hanno impugnato quella decisione, sicché la devoluzione in questa sede della differente ricostruzione fattuale, offerta dalla parte civile, non può trovare accoglimento), in cui si è specificato che la condotta oggetto dell'imputazione si è realizzata attraverso la mancata restituzione delle bombole "dopo la cessazione dei rapporti commerciali (....) avvenuta nel dicembre dell'anno 2012" (foglio VII della sentenza del Tribunale di Enna).
Considerando, dunque, il termine massimo di prescrizione e i periodi di sospensione del corso della prescrizione rilevati nel giudizio di primo grado, per complessivi mesi 6 e giorni 19, quantomeno dalla data del 20 dicembre 2020 il reato risultava estinto, in data anteriore alla pronuncia in grado di appello.
3. Ai sensi dell'art. 578 c.p.p. va rilevato, sulla scorta delle considerazioni espresse in precedenza, come non risultino elementi di dubbio in ordine alla responsabilità dell'imputato per la condotta appropriativa attestata dagli esiti delle investigazioni e dalle prove documentali e testimoniali, che hanno dato conto della perdurante detenzione, in difetto di valido titolo, delle bombole della società "Liquigas" a distanza di anni dall'interruzione dei rapporti commerciali tra le due società.
4. Dalle statuizioni che precedono consegue, quanto al giudizio di penale responsabilità dell'imputato, l'annullamento della sentenza limitatamente al capo d'imputazione riguardante il delitto di cui all'art. 646 c.p., con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Caltanissetta per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Il rigetto del ricorso agli effetti civili comporta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, limitatamente al reato di cui al capo 1) (art. 646 c.p.) perché il reato è estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Liquigas s.p.a. che liquida in complessivi Euro 4000,00 oltre accessori di legge.
Rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di Caltanisetta.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2023