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Appropriazione indebita: sul diritto di ritenzione esercitati sul bene altrui

Appropriazione indebita

Cassazione penale sez. II, 20/09/2019, n.46670

In tema di appropriazione indebita, il diritto di ritenzione esercitato sul bene altrui ha efficacia scriminante se il credito che si intende tutelare è liquido ed esigibile. (Fattispecie in cui l'imputato, in pendenza di una controversia civilistica, aveva trattenuto e non restituito macchinari acquistati in “leasing”).

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La sentenza integrale

PREMESSO IN FATTO Z.A. ricorre avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano del 10/12/2018 confermativa della sentenza del Tribunale di Milano del 7/5/2018 con la quale è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di cui all'art. 646 c.p. chiedendone l'annullamento per violazione di legge in relazione all'art. 129 c.p.p.. Ad avviso del ricorrente la querela proposta dalla società finanziaria in data 6/4/2012, sarebbe tardiva poichè la richiesta di restituzione dei beni era sta avanzata sin dal 30/12/2011. Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 646 c.p., per la mancanza dell'elemento soggettivo, Z. infatti avrebbe trattenuto ed utilizzato il Centro di lavoro Morbidelli, esercitando lo ius ritentionis a fronte di proprie rivendicazioni economiche. Il terzo motivo riguarda la violazione di legge: art. 61 c.p., n. 7, la Corte d'appello ha ritenuto integrata la circostanza aggravante comune, non considerando la capacità economica della Selmabipiemme ed il fatturato da questa prodotto, nonchè il ritrovamento di attrezzature circostanza che doveva condurre ad una sensibile riduzione dell'entità del danno cagionato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi generici e manifestamente infondati. Quanto alla tempestività della querela, non può accedersi alla tesi difensiva circa la decorrenza del termine di decadenza di tre mesi di cui all'art. 124 c.p., dalla data della comunicazione della risoluzione del contratto a Z. (27/12/2011) poichè, va ribadito, il termine di decorrenza per la proposizione della querela ha inizio, a norma dell'art. 124 c.p., non dalla data di commissione del reato, bensì da quella, anche diversa e successiva, della notizia del fatto che costituisce l'illecito penale e che nella specie, dato che Z. aveva fornito rassicurazioni a garanzia della restituzione dei macchinari avuti in leasing, può essere ravvisato nel momento in cui, a seguito del fallimento della società di Z., il curatore fallimentare accertò che i macchinari non erano presso la società del ricorrente. Per notizia del fatto, poi, deve intendersi non già il mero stato soggettivo di dubbio, ma la completa conoscenza di tutti gli elementi, che consentano la piena valutazione dell'esistenza certa del reato. (Sez. 2, n. 2863/1999, Rv. 212867; Sez. 2, n. 18860/2102, Rv. 252813; Sez.6, 3719/2015, Rv. 266954). Parimenti manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso, riguardante la carenza dell'elemento soggettivo del reato che per giurisprudenza consolidata di questa Corte, cui il Collegio intende conformarsi, consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sè o per altri una qualsiasi illegittima utilità, elemento ravvisato dai giudici di merito nella mancata restituzione del bene, nonostante le intimazioni della società di leasing. Non rileva per escludere la configurabilità del reato, l'esercizio di un ipotetico "ius ritentionis" posto che lo stesso si ravvisa in presenza di un credito certo liquido ed esigibile, elementi questi contraddetti dallo stesso ricorrente che ha ammesso l'esistenza di una controversia civilistica tra le parti (Sez. 2, n. 45992/2007, Rv. 238899; Sez. 2, n. 6080/2009, Rv. 243280). Manifestamente infondato anche il terzo motivo riguardante la configurabilità del danno di rilevante gravità in relazione alle condizioni economiche della società p.o. dovendosi in proposito richiamare l'orientamento espresso da questa Corte di legittimità secondo cui per valutare l'applicabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, può farsi riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima, che sono invece irrilevanti quando l'entità oggettiva del danno è tale da integrare di per sè un danno patrimoniale di rilevante gravità (trattandosi nella specie di un'appropriazione indebita del valore di almeno 90.000 Euro) (Sez. 2, n. 48734/2016, Rv. 268446; Sez. 2, n. 33432/2015, Rv. 264543). Per quanto complessivamente detto deve dichiararsi l'inammissibilità del ricorso con conseguente condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 20 settembre 2019. Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019
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