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Appropriazione indebita: si configura interversio possesionis in caso di mancata restituzione allo scadere del noleggio di breve durata

Appropriazione indebita

Cassazione penale sez. II, 23/01/2019, n.6998

Nel caso di noleggio di breve durata, allo scadere del termine si configura un obbligo di restituzione tempestiva che, ove non adempiuto in assenza di giustificazioni, si configurata quale "interversio possessionis" ai sensi dell'art. 646 c.p., anche in assenza di una richiesta di restituzione del noleggiatore.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Ancona confermava la condanna degli imputati per il reato di appropriazione indebita correlata alla mancata restituzione di due autovetture noleggiate rispettivamente per un periodo di cinque e di dieci giorni. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del T. che deduceva: 2.1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla rilevazione degli elementi costitutivi del reato contestato: si deduceva che l'autovettura in relazione alla quale si contestava l'appropriazione, per espressa ammissione della persona offesa, non era mai stata chiesta in restituzione, il che impedirebbe di riconoscere il profilo soggettivo necessario per l'integrazione del reato; si deduceva inoltre che il fatto che il noleggio fosse stato pagato con un assegno falso, peraltro a firma del coimputato, integrasse un mero inadempimento civilistico, ma non fosse sufficiente per dimostrare l'interversio possessionis. 3. Ricorreva anche il difensore del D.C. che deduceva: 3.1. Violazione di legge: non sarebbe stato notificato il decreto di citazione per il giudizio di appello in relazione all'udienza del 14 dicembre 2017; 3.2. vizio di motivazione non sarebbe stata fornita adeguata risposta alle doglianze proposte con l'atto di appello sia in punto di accertamento della responsabilità, che in ordine al trattamento sanzionatorio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto nell'interesse del1sta è inammissibile. 1.1. Il ricorrente deduce la mancata dimostrazione della interversio possessionis rilevando l'assenza della diffida a restituire che di regola nei noleggi a lungo termine rappresenta la condizione per valutare il profilo psicologico del detentore del bene. Invero la valorizzazione della diffida emerge dalla giurisprudenza che ha affrontato il problema dell'appropriazione indebita nei leasing di lungo periodo in relazione ai quali si è affermato che il mero inadempimento dei canoni, cui consegue la risoluzione di diritto del contratto, non integra, di per sè, il reato di cui all'art. 646 c.p. che, invece, si perfeziona solo nel momento in cui il detentore manifesta la sua volontà di detenere il bene "uti dominus", non restituendo, senza alcuna giustificazione, il bene che gli viene richiesto e sul quale non ha più alcun diritto (Sez. 2, n. 25282 del 31/05/2016 - dep. 17/06/2016, Nunzella, Rv. 267072; Sez. 2, n. 13347 del 07/01/2011 - dep. 01/04/2011, P.G. in proc. Del Giudice, Rv. 250026). Nel caso di specie, tuttavia, si verte in un caso di "noleggio a breve termine" (segnatamente di 5 e 10 gg) che non prevede quel diritto alla disponibilità prolungata del bene che decade con la richiesta di restituzione. Nel caso del noleggio di breve durata, allo scadere del termine del noleggio, si configura un obbligo di restituzione tempestiva che, ove non adempiuto ed in assenza di giustificazioni in ordine alla mancata restituzione, consente di ritenere configurata l'interversio possessionis necessaria per integrare il reato di appropriazione indebita. La sentenza impugnata confermava l'accertamento di responsabilità in coerenza con tali indicazioni rilevando come la mancata restituzione delle due autovetture unitamente alla irreperibilità dei beni in occasione del tentativo di esecuzione del sequestro (nel settembre del 2010, laddove il breve noleggio risaliva al luglio dello stesso anno) erano elementi sufficienti per la conferma dell'accertamento di responsabilità contestato. Si tratta di una motivazione priva di vizi logici coerente con le emergenze processuali che non risulta incisa dalle doglianze difensive che si limitano a riproporre quelle già avanzate con l'atto di appello e ad invocare una rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove che non rientra nella cognizione del giudice di legittimità. 2. Anche il ricorso proposto nell'interesse del D.C. è inammissibile. 2.1. Con riguardo al primo motivo che denuncia il difetto di notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello è manifestamente infondato. Dalla analisi degli atti processuali emerge infatti che lo stesso è stato regolarmente notificato per la data del 16 novembre 2017 (foglio 23 del fascicolo processuale); peraltro, a conferma che la citazione era stata effettuata correttamente, emergeva che l'imputato aveva rinunciato a presenziare sia all'udienza del 16 novembre 2017 (foglio 34 del fascicolo processuale), che a quella di rinvio del 14 dicembre 2017 (foglio 50 del fascicolo). 2.2. Il secondo motivo di ricorso proposto nell'interesse del D.C. è inammissibile in quanto generico. Secondo l'orientamento della Corte di cassazione, che il collegio condivide, "per l'appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581, comma 1, lett. c) e art. 591, comma 1, lett. c) codice di rito comporta la inammissibilità dell'impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l'atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame" (Cass. Sez. 6 sent. 13261 del 6.2.2003, dep. 25.3.2003, rv 227195; Cass. sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Rv. 241477; Cass. sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037, Cass. sez, 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Cass. sez. un n. 8825 del 27/10/2016 Rv. 268822). Nel caso di specie il ricorrente si limitava a criticare in modo aspecifico il compendio motivazionale integrato emergente dalle due sentenze conformi di merito, senza individuare nè vizi logici manifesti, nè incongruenze tra le prove raccolte e quelle poste alla base della decisione: la motivazione con t.ta si sottrae pertanto ad ogni censura in questa sede. 3.Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 ciascuno a favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2019. Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2019
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