RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Milano, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia, pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Monza in data 9 marzo 2021, nei confronti di A.A., in ordine al reato di appropriazione indebita aggravata di un'autovettura e di beni aziendali a lui affidati in ragione del rapporto di lavoro e non restituiti dopo l'interruzione del rapporto per l'intervenuto licenziamento.
2. Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all'art. 646 c.p., con specifico riguardo al profilo della dedotta assenza di consapevolezza dell'imputato circa il contenuto delle comunicazioni inviate con raccomandate, non ritirate dall' A., contenenti prima le contestazioni disciplinari, poi l'intimazione del licenziamento, con la contestuale richiesta di restituzione del veicolo e dei beni aziendali affidati.
La sentenza impugnata, a fronte del dato fattuale del mancato ritiro delle raccomandate e quindi dell'ignoranza del relativo contenuto, aveva svolto una ragionamento di tipo puramente presuntivo ancorando al dato della presenza nell'abitazione, per lo stato di malattia in cui si trovava l'imputato, la dimostrazione del consapevole atteggiamento diretto a non ricevere le missive del datore di lavoro, riguardanti contestazioni disciplinari di particolare gravità (per illecite movimentazioni di denaro) che non potevano essere ignorate dal ricorrente, da ciò discendendo il consapevole rifiuto di restituire i beni indicati nell'imputazione.
La decisione aveva, così, omesso di valutare le concrete condizioni che avevano impedito all'imputato di ricevere le missive e di ritirarle, tenuto conto dell'assenza di annotazioni sugli avvisi relativi al deposito presso gli uffici postali circa l'identità del mittente degli invii raccomandati.
Allo stesso modo, era stato interpretato in modo errato ed illogico l'intervento dell'avvocato del ricorrente nel prendere contatti con la controparte, ritenuto dimostrativo della consapevolezza circa la posizione di inadempienza rispetto agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, a fronte della dedotta volontà del dipendente di apprendere le ragioni per le quali non aveva ricevuto la retribuzione nel mese precedente rispetto all'intervento operato dal legale.
Ulteriore dato probatorio considerato in modo errato era quello della denuncia sporta, in tempi non sospetti (nel mese di febbraio del 2019), circa i reati di rapina ed estorsione subiti dal ricorrente (per i quali era stato emesso decreto di citazione a giudizio e pendeva processo a carico di soggetti individuati), in occasione dei quali gli venivano sottratti un'auto di sua proprietà e una borsa contenente beni informatici, beni che successivamente il denunciante aveva specificamente elencato.
2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche fondato sull'astratta (e non ancora dimostrata) responsabilità del ricorrente per le condotte di illecite movimentazioni di denaro, elemento utilizzato altresì in modo viziato per negare la concessione del beneficio ex art. 163 c.p..
2.2 Con il terzo motivo il ricorrente sollecita la proposizione dell'incidente di costituzionalità dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede un'ipotesi di incompatibilità quando, accertata la condizione di incompatibilità di uno dei componenti del Collegio giudicante, si proceda a sostituirlo unicamente nel processo in cui l'incompatibilità sia stata dedotta dalle parti o denunciata dal magistrato, consentendo che quel magistrato continui a far parte del Collegio che decide nella stessa udienza altri processi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo di ricorso e', nel suo complesso, infondato.
Va dato atto, infatti, che la motivazione della Corte d'appello, nella parte in cui si affida ad un percorso logico esclusivamente presuntivo per dimostrare la consapevolezza del ricorrente circa l'obbligo di restituzione dei beni aziendali, superando il dato fattuale del mancato ritiro delle comunicazioni inviate con la posta, è errata.
E' stato recentemente affermato dalla Corte che, con riguardo al delitto di appropriazione indebita, la conoscenza della volontà del creditore di rientrare nel possesso del bene, ove sia affidata alla comunicazione attraverso il mezzo dell'invio di intimazioni mediante il servizio postale, può dirsi realizzata esclusivamente solo ove sia data la prova - che grava sulla parte pubblica - della materiale ricezione del plico in cui sia contenuta la richiesta di restituzione (Sez. 2, n. 34911 del 13/5/2023, Mantineo, n. m., riguardante una fattispecie di autoveicolo concesso in leasing, in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto dimostrata la conoscenza da parte dell'imputato, che aveva omesso di ritirare la raccomandata con cui la società cessionaria dei diritti del contratto aveva richiesto la restituzione del veicolo, evidenziando che secondo le condizioni genarli che regolano l'invio delle raccomandate ordinarie, in difetto di consegna al destinatario è previsto unicamente il rilascio dell'avviso "che indica l'ufficio postale o il centro di distribuzione presso il quale resta in giacenza tutta la corrispondenza che non è possibile recapitare a domicilio" senza indicazione alcuna sul mittente dell'invio).
Per altro verso, la lettura congiunta delle decisioni di primo e secondo grado rende "innocuo" quell'errore, nella misura in cui la consapevolezza dell'imputato in ordine all'obbligo di restituzione dei beni aziendali viene ancorata al contenuto delle missive scambiate tra i legali delle parti (datore di lavoro e imputato) prima del ritrovamento della vettura, mediante il GPS installato sul veicolo, e dell'integrazione di una precedente denuncia di rapina ed estorsione, in cui si elencano per la prima volta i beni aziendali richiesti e mai restituiti; circostanza che, in modo logico, la Corte territoriale ha ritenuto anomala, ponendo in rilievo come secondo un parametro comune di diligenza, incombeva sul dipendente, una volta sottratti i beni aziendali, l'onere di comunicare con sollecitudine la circostanza al datore di lavoro (e non attendere, come avvenuto, il trascorrere del tempo sino all'epoca in cui giunsero le contestazioni disciplinari e, successivamente, il licenziamento intimato dal datore di lavoro).
Rispetto a questi argomenti, il ricorrente formula esclusivamente ricostruzioni in fatto alternative, peraltro non supportate da dati obiettivi, il che rende priva di fondamento la censura mossa alla decisione.
1.2. Il secondo motivo è in parte errato e inconferente, poiché già il primo giudice aveva concesso le circostanze attenuanti generiche, stimandole equivalenti; e il ricorrente non si duole di quel giudizio di bilanciamento.
Per altro aspetto, il motivo è manifestamente infondato poiché correttamente la Corte ha considerato, nella prospettiva del giudizio prognostico ex art. 163 c.p., anche il fatto storico della pendenza del procedimento per fatti commessi nel corso del rapporto di lavoro.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, poiché del tutto eccentrico sia rispetto alla funzione dell'istituto dell'incompatibilità, sia alla totale assenza di conseguenze negative circa l'imparzialità del giudice astenuto derivanti dalla partecipazione, in una medesima udienza, alle deliberazioni che riguardano processi in cui non sia emersa alcuna condizione di incompatibilità.
2. Dalle statuizioni che precedono consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Arval Service Lease Italia s.p.a., liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Arval Service Lease Italia s.p.a. che liquida in complessivi Euro 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2023