Svolgimento del processo
Con sentenza n. 868/19 del 3.6.2019, il Tribunale di Brindisi in composizione monocratica dichiarava Mo. Fe. Colpevole del reato di cui agli artt. 61 n. 11, 646 c.p. – perché, al fine di profitto, in qualità di proprietario e responsabile del cantiere nautico (omissis), sito in (omissis) si appropriava del natante (omissis) mod. (omissis) con motore fuoribordo marca (omissis) di proprietà di Ra. Gi., di cui aveva la disponibilità in qualità di mandatario incaricato per la vendita, nonché del prezzo dell'imbarcazione e del carrello per il rimorchio (v. modifica dell'imputazione all'udienza del 27.9.2018) – e lo condannava alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 600.00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso al Mo. con sentenza del GUP presso il Tribunale di Lecce in data 29.9.2015. Condannava altresì l'imputato al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile, liquidati equitativamente in Euro 15.000,00, oltre che alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza della stessa.
Con atto tempestivamente depositato, Mo. Fe., a mezzo del difensore, proponeva appello avverso la suindicata sentenza, censurando la pronuncia sulla base dei motivi che saranno sinteticamente esposti di seguito.
All'esito dell'udienza del 4.2.2022, tenutasi in camera di consiglio ex art. 23 bis d.l. n. 137/20, convertito con modificazioni dalla l. n. 176/20, sulle conclusioni delle parti rese ai sensi del comma 2 del citato art. 23 bis d.l. n. 137/20, la Corte emetteva dispositivo di sentenza allegato al verbale e comunicato alle parti.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di appello si chiede l'assoluzione dell'imputato dal reato contestato perché il fatto non costituisce reato o con altra formula di giustizia. Dall'istruzione dibattimentale sarebbe emerso che l'imputato non ha mai voluto appropriarsi dell'imbarcazione e del carrello stradale, né tantomeno del profitto della vendita della barca. Il teste Fr. Re. ha dichiarato, all'udienza del 27.9.2018, di aver acquistato dal Mo. nel mese di (omissis) l'imbarcazione, completa di motore (omissis), al prezzo di Euro 10.500,00 esibendo al Tribunale relativo contratto di acquisto, che veniva acquisito in copia dal medesimo Tribunale. Il teste dichiarava inoltre di aver versato il prezzo pattuito a mezzo due assegni bancari. Sulla scorta di detta testimonianza, resa da teste imparziale e attendibile, emerge che la vendita dell'imbarcazione del motore marino (omissis) è avvenuta sia prima della richiesta di restituzione della barca a (omissis), che della notifica di diffida alla restituzione della stessa, richiesta dalla persona offesa con atto del (omissis), notificato il (omissis), e della relativa querela del (omissis). Inoltre il teste Ci. Sa., in discordanza con le dichiarazioni dei testi Pe. e Ra., ha dichiarato che nel mese di (omissis), allorquando lo stesso Ci., Pe. e Ra. si recarono presso il cantiere nautico del Mo. al fine di ritirare la barca per conto della persona offesa, il Mo. ebbe a riferire che la barca era stata venduta e che in ogni caso si impegnava a versare il ricavato al Ra. entro i primi del mese di febbraio. Pe. e Ra. invece hanno riferito che il Mo. avrebbe detto che vi era una trattativa di vendita, però non ancora perfezionatasi. Tuttavia dette testimonianze convergono sul punto che il Mo. si impegnava, in ogni caso, a versare il dovuto entro i primi del mese di febbraio. La testimonianza della Ra. appare ininfluente, in quanto, nonostante la stessa abbia riferito di avere visto in più occasioni la barca del marito all'interno del cantiere nautico del Mo. in epoca successiva al (omissis), la circostanza non appare pienamente provata. Infatti la teste ha scattato delle foto del natante dall'esterno del cantiere e non ha provveduto ad avvicinarsi alla barca per rendersi effettivamente conto se si trattasse proprio del natante del marito o di altra simile. In ogni caso il teste Fr. ha riferito di avere stipulato con il Mo. svariati contratti annuali di rimessaggio dell'imbarcazione e al contempo ha precisato che il Mo. annualmente tirava la barca in secco per eseguire dette lavorazioni. Ancora, il fratello della persona offesa Ra. Fr. To. ha riferito che nell'agosto (omissis) il Mo. offri alla persona offesa il pagamento dell'imbarcazione mediante il versamento di 3.000 Euro per contanti e la consegna di due titoli post datati. Il teste ha riferito altresì che Ra. Gi. rifiutò tale tipo di pagamento, perché voleva che il pagamento fosse effettuato in un'unica soluzione. Dunque non vi è dubbio che la vendita dell'imbarcazione del motore (omissis) sia avvenuta prima della richiesta di restituzione della stessa. Allo stesso modo risulta provato che il Mo. nell'agosto del 2014 ebbe ad offrire alla persona offesa il pagamento (seppure in parte differito) della citata barca, comprensiva di motore. Quindi non vi sarebbe mai stata alcuna interversione del possesso dell'imbarcazione di cui vi era il mandato a vendere. Difetterebbe l'elemento soggettivo del reato contestato, in quanto la vendita dell'imbarcazione avvenne prima della richiesta della restituzione della stessa, il Mo. offri il pagamento del prezzo nell'agosto del (omissis) e la parte civile rifiutò il pagamento. Inoltre vi sarebbe la prova che il Mo. si impegnava al pagamento delle somme entro il mese di febbraio (omissis) e in ogni caso ha eseguito il pagamento del prezzo seppur parziale, offrendo la somma di 4.000 Euro a mezzo assegno circolare in favore della persona offesa.
2. In ordine all'imputazione afferente al carrello stradale, nel corso dell'istruttoria dibattimentale è emerso che i documenti in originale del carrello stradale erano detenuti dalla persona offesa e non erano mai stati consegnati al Mo.. In assenza degli stessi il carrello stradale è inutilizzabile, perché non può circolare e nemmeno essere assicurato, né tantomeno venduto. Il Mo. detiene ancora il carrello a titolo di custodia, che potrà essere ritirato dalla persona offesa su semplice richiesta. Da detta detenzione non ha ricevuto alcun profitto, essendo il bene sprovvisto di documenti e quindi inutilizzabile. Difetta quindi un elemento costitutivo del reato, cioè il profitto.
3. Con il terzo motivo si evidenzia l'assenza di responsabilità penale riguardo al capo d'imputazione relativo alle somme di denaro: La Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che il denaro può essere oggetto di interversione nel possesso e conseguente appropriazione indebita solo quando sia stato consegnato dal legittimo proprietario ad altri con specifica destinazione di scopo, che venga poi violata attraverso l'utilizzo personale da parte dell'agente. Nel caso in esame nulla di tutto questo è avvenuto, dal momento che il denaro non è stato consegnato dalla parte civile.
4. Con il quarto motivo si censura l'errata applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 11 c.p.: il Mo. ebbe a vendere l'imbarcazione prima della richiesta di restituzione della stessa. Si potrebbe ipotizzare l'aggravante contestata solo ed esclusivamente in riferimento al prezzo ricavato dalla vendita, che però non è stato consegnato dalla persona offesa, ma dal terzo acquirente.
5. Con il quinto motivo si chiede il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice avrebbe dovuto tenere in debito conto, a tali fini, la circostanza che il Mo. ha eseguito il versamento di 4.000 Euro a favore della persona offesa e si è più volte impegnato a versare le restanti somme.
6. Con il sesto motivo si chiede l'assoluzione per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Il giudice non ha riconosciuto la causa di esclusione della punibilità a causa dell'ingente danno e dei precedenti penali specifici dell'imputato. Da un lato l'entità certamente non rilevante del danno economico asseritamente cagionato alla persona offesa, dall'altro la natura della condotta, che ben potrebbe considerarsi di inadempimento contrattuale, suggeriscono l'adozione del chiesto beneficio.
7. Con l'ultimo motivo di gravame si lamenta l'errata quantificazione del danno liquidato in sentenza: esso è sproporzionato rispetto alla somma che sarebbe stata oggetto di appropriazione da parte dell'imputato, il quale infatti si sarebbe appropriato della somma di 6.000 Euro, dalla quale necessariamente andrebbe decurtato l'importo del costo del carrello stradale. A tutto voler concedere tale somma di 6.000 Euro, aumentata degli interessi legali maturati a far data dal 20 giugno 2014, arriverebbe a poco più di 6.100 Euro, cifra di gran lunga inferiore rispetto a quella riconosciuta alla parte civile. Il primo giudice ha riconosciuto a Ra. anche il danno morale, ma ciò non toglie che la valutazione sul quantum sia errata per eccesso. Nel caso di specie infatti trattasi di una modesta somma e di un danno marginale. La condotta del Mo. non ha causato al Ra. un pregiudizio più ingente
di quello meramente economico, pertanto la quantificazione del danno ammontante ad Euro 15.000,00 operata dal giudice è certamente incongrua, sproporzionata e non documentata rispetto al danno realmente patito dalla parte civile.
1. Il primo motivo di appello è infondato. Le considerazioni svolte dall'appellante, relative al momento della vendita, asseritamente precedente la richiesta di restituzione, appaiono irrilevanti. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, in violazione del mandato a vendere, trattenga per sé definitivamente le cose affidategli per la vendita (Cass., sez. 2, 21.3.2012, n. 11570, La.: fattispecie nella quale la Suprema Corte ha ritenuto sussistente anche la circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 11, c.p., osservando che il mandato a vendere una cosa mobile fa nascere un rapporto di prestazione d'opera tra le parti, ed il mandatario approfitta della particolare fiducia in lui riposta dal mandante per appropriarsi del bene affidatogli con maggiore facilità). La Corte regolatrice ha anche affermato che commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, dopo aver adempiuto il mandato a vendere, trattenga definitivamente la somma ricavata dalla vendita invece di rimetterla al mandante (Cass, sez. 2, 29.11.2011, n. 46586, Pg e p.c. in proc. Se. e altro). Nella motivazione della richiamata pronuncia si legge: "La Corte territoriale si è fatta sviare dal fatto che il mobile fu effettivamente (e legittimamente) venduto in adempimento del mandato. Ma la Corte non ha considerato che gli imputati, a seguito della vendita ricevettero, dall'acquirente del bene, denaro che, costituendo il tantundem del mobile venduto, non poteva che essere di proprietà della mandante. Di conseguenza, gli imputati, una volta adempiuto al mandato di vendere, avevano il preciso obbligo giuridico di rimettere il denaro ricavato dalla vendita alla H., secondo le modalità pattuite. Il non averlo fatto ed anzi, a seguito della richiesta della H., avere accampato, per mesi, le più diverse scuse per non restituirlo, costituisce un indice sicuro ed incontrovertibile della interversione del possesso ossia della volontà di trattenere definitivamente un bene (il denaro) che detenevano in virtù di un mandato e nell'interesse della proprietaria, e che, pertanto, una volta che il mandato era stato adempiuto, avrebbero dovuto rimettere alla legittima proprietaria che ne aveva fatto richiesta. Quanto al secondo argomento, è appena il caso di rilevare che il comportamento dilatorio e mendace tenuto nei confronti della H., va visto e valutato come un postfactum che, in quanto tale, non vale ad elidere gli effetti penali della condotta ormai consumata. In conclusione, alla stregua dei fatti così come pacificamente ricostruiti dalla stessa Corte territoriale, si può affermare che gli imputati si resero responsabili del reato di appropriazione indebita in quanto, invece che rimettere la somma ricavata dalla vendita del mobile alla
legittima proprietaria, la trattennero operando una classica ipotesi di interversione del possesso. Pertanto, il principio di diritto che si può enunciare è il seguente: "Commette il reato di appropriazione indebita il mandatario che, dopo avere adempiuto al mandato a vendere, trattiene definitivamente la somma ricavata dalla vendita senza rimetterla al mandante, in quanto la suddetta somma, rappresentando il tantundem del bene venduto, è di proprietà del mandante". Tanto premesso, il teste Fr. Re., della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare - e non ne dubita nemmeno l'appellante, che ha evidenziato come il teste abbia esibito al Tribunale il relativo contratto di acquisto - ha riferito di aver acquistato il natante (e il motore fuoribordo, ma non anche il carrello rimorchio) dal Mo. nel maggio del (omissis), versando al momento della stipula del contratto la somma di Euro 4.000,00 ed il mese successivo il residuo di Euro 6.500,00, per un prezzo totale di Euro 10.500,00, con regolare consegna della barca (cfr. p. 21 del verbale di udienza del 27.9.2018). Lo stesso appellante ammette di aver venduto il natante. Il Mo. avrebbe dunque dovuto consegnare, se non la barca, quantomeno il prezzo incassato (e la relativa contestazione, come si è visto, è stata ritualmente elevata). Il Mo., che pure aveva dato esecuzione al mandato a vendere sin dal maggio (omissis), incassando l'intero prezzo nel successivo mese di giugno, non ha, al contrario, restituito né il natante, né il relativo prezzo di vendita. Il pagamento parziale del prezzo non rileva, tanto meno rileva l'offerta di restituire il prezzo a rate. Il fatto stesso di aver ricusato di restituire l'intera somma a richiesta del legittimo proprietario della stessa, in luogo del natante, integra l'interversione del possesso, di tal che il reato deve ritenersi perfezionato in quel momento.
Va precisato che il reato non è prescritto. La persona offesa Ra. Gi. ha dichiarato, nella querela acquisita sull'accordo delle parti, che il mandato a vendere il natante, il motore fuoribordo e il carrello rimorchio fu conferito al Mo. nell'estate del (omissis). Sia alla fine del mese di agosto del (omissis) che alla fine del (omissis) (tra novembre e dicembre) il Ra. chiedeva notizie dell'eventuale vendita, senza ottenere risposte concrete e solo nel febbraio (omissis) chiedeva al Mo. la riconsegna del natante e di quanto di sua proprietà. A seguito della mancata restituzione, in data (omissis) notificava all'imputato atto di diffida e formale costituzione in mora. Orbene, secondo la giurisprudenza di legittimità il termine di prescrizione del delitto di appropriazione indebita, nel caso di mandato a vendere, comincia a decorrere dal momento in cui il mandatario rifiuta, senza alcuna giustificazione, di dar seguito alla richiesta del mandante di trasferimento del denaro ricevuto dal compratore, poiché è in questo momento che egli manifesta la volontà di detenere "uti dominus" il bene sul quale non ha più alcun diritto (Cass., sez. 2, 19.9.2018, n. 46744, Go. Gi.). Ne consegue che solo con la mancata restituzione seguita alla richiesta avanzata nel febbraio (omissis) (correttamente riferita dalla persona offesa, nonostante la richiesta formale sia di un mese successiva) può ritenersi consumato il reato.
2. Anche il motivo relativo al carrello rimorchio è infondato. Ed infatti, al dì là della circostanza che i documenti non sono mai stati consegnati al Mo., trattasi pur sempre di un bene avente un valore patrimoniale, che illegittimamente non è stato restituito a richiesta del proprietario. Il profitto appare insito nel valore patrimoniale del bene appreso dall'imputato.
3. Quanto all'appropriazione delle somme di denaro, si rinvia a quanto osservato sub 1. Devesi ribadire che il Mo., a richiesta del proprietario, dopo aver venduto il bene, avrebbe dovuto consegnare interamente il relativo prezzo.
4. Anche in relazione alla contestata aggravante, si è già richiamata la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale sussiste la circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 11, c.p., in quanto il mandato a vendere una cosa mobile fa nascere un rapporto di prestazione d'opera tra le parti, ed il mandatario approfitta della particolare fiducia in lui riposta dal mandante per appropriarsi del bene affidatogli con maggiore facilità (Cass., sez. 2, 21.3.2012, n. 11570, La.). Più in generate la Corte regolatrice ha affermato che l'abuso di relazioni di prestazioni d'opera, previsto come circostanza aggravante dall'art. 61, n. 11 c.p., è configurabile in presenza di rapporti giuridici, anche soltanto fondati sulla fiducia, che a qualunque titolo comportino un vero e proprio obbligo di "facere" (Cass., sez. 2, 30 1.2019, n. 13775, Gr. An.: fattispecie in tema di appropriazione indebita, rispetto alla quale è stata ritenuta la configurabilità dell'aggravante in esame nella condotta dell'imputato che, approfittando di una procura generale e speciale, rilasciata dalla convivente in virtù di un rapporto di mandato comportante obblighi di "facere", comprensivi dell'obbligo di rendiconto ex art. 1713 cod. civ., si era appropriato per intero dei corrispettivi della vendita del patrimonio immobiliare della persona offesa, depositati su un conto corrente cointestato, di cui il ricorrente poteva disporre in forza dei poteri rappresentativi e gestori conferitigli).
5. Nonostante il versamento della somma di Euro 4.000,00, l'imputato non appare meritevole delle circostanze attenuanti generiche, non solo perché ha omesso di versare la rilevante somma di Euro 6.500,00 e non ha restituito il carrello rimorchio, ma anche alla luce del precedente specifico da cui è gravato e dell'ulteriore condanna a suo carico per il delitto di bancarotta fraudolenta.
6. La somma non versata dal Mo. impedisce di ritenere il fatto di particolare tenuità, trattandosi di danno certamente non esiguo.
7. L'ultimo motivo di appello è fondato. Il danno patrimoniale subito dal Ra. ammonta a 6.500,00 Euro, cui si deve aggiungere il valore del carrello, nonché il danno morale. I danni possono dunque essere liquidati complessivamente in Euro 9.000,00.
Per il resto la sentenza impugnata merita conferma, con conseguente condanna dell'imputato alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore della parte civile, che, tenuto conto dell'esito del giudizio, dell'impegno profuso dal patrono e delle tabelle previste dal D.M. 55/2014, si liquidano come da dispositivo.
Il numero di procedimenti definiti nella medesima udienza ha reso opportuno indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza del Tribunale di Lecce in data 7.2.2019, appellata da Mo. Fe., riduce la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno ad Euro 9.000,00. Conferma nel resto e condanna l'imputato alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile, che liquida in Euro 1.500,00, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario nella misura del 15%.
Termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
Così deciso in Lecce, il 4 febbraio 2022
Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2022