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Appropriazione indebita: il momento in cui la p.o. viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato

Appropriazione indebita

Tribunale Nola, 12/05/2022, n.1008

Il termine per la proposizione della querela decorre non dal momento della consumazione del reato bensì dal momento in cui la persona offesa ha raggiunto la piena cognizione di tutti gli elementi che consentono la valutazione dell'esistenza del reato. (Fattispecie di appropriazione indebita di somme depositate su un libretto postale, cointestato alla persona offesa ed all'imputato, delegato alla gestione, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva fatto decorrere il predetto termine dal momento in cui la persona offesa aveva acquisito la consapevolezza che le somme non le sarebbero state restituite secondo le scansioni pattuite e rimaste inadempiute e non dal momento in cui si era avveduta del prelevamento delle stesse.

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La sentenza integrale

Svolgimento del processo L'imputato Ma.Ci. veniva citato a giudizio, con decreto emesso dai PM sede il 31/7/2020, per rispondere all'udienza del 29/4/2021 del reato in rubrica contestato. In quell'udienza il Giudice disponeva procedersi in assenza dell'imputato, stante la regolarità della notifica nei confronti del Ma.Ci., assistito da un difensore di fiducia. Nulla opponendo le altre parti, la persona offesa si costituiva parte civile e, in assenza di questioni e eccezioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento, ammettendo i mezzi di prova richiesti dalle parti in quanto legittimi, non manifestamente superflui o irrilevanti. Trattandosi di prima udienza, il processo veniva rinviato per l'istruttoria al 7/10/2021. Si procedeva all'esame della persona offesa e le parti producevano documentazione. La difesa dell'imputato avanzava istanza ex art. 129 c.p.p. per difetto di valida querela e sua intempestività. Il Giudice, sentite le parti, si riservava sulla decisione al termine dell'istruttoria. Il PM effettuava la contestazione suppletiva ex art. 517 c.p.p. come indicato in epigrafe ed il Giudice, sentite le parti, disponeva ai sensi dell'art. 520 c.p.p. la notifica del verbale per estratto nei confronti dell'imputato. Il processo veniva rinviato per il prosieguo istruttorio all'udienza del 20/1/2022. All'udienza del 20/1/2022, il difensore regolarmente munito di procura speciale chiedeva di procedere al rito abbreviato; il Giudice, sentito le parti, letto il disposto dell'art. 517 c.p.p. come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 159 del 2015, ritenuta ammissibile l'istanza, acquisiva il fascicolo delle indagini, disponeva il mutamento del rito e ritenuto possibile decidere allo stato degli atti, dichiarava utilizzabili gli atti acquisiti. Su richiesta del difensore e previa sospensione dei termini di prescrizione il processo veniva rinviato per la sola discussione all'udienza odierna (tre mesi e ventidue giorni di sospensione della prescrizione). In questa sede il Giudice confermava l'ordinanza di mutamento del rito ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni. Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza con contestuale redazione dei motivi. Motivi della decisione Ritiene questo Giudice che, alla luce degli atti acquisiti, vada pronunciata sentenza di condanna nei confronti dell'imputato Ma.Ci. in ordine al reato ascritto. Giova sul punto evidenziare che gli elementi a carico di Ma.Ci. sono essenzialmente costituiti dagli atti contenuti nel fascicolo del PM ed utilizzabili in ragione della scelta del rito, ovvero la denuncia querela e le sommarie informazioni rese dalla persona offesa Vo.Id. quale legale rappresentante della Ne. s.a.s., dalle sommarie informazioni rese dai clienti, nonché dalle prove documentali in atti, ovvero dalle registrazioni confluite su supporto informatico e allegate alla querela ed il carteggio di email e comunicazioni intercorse tra i vari soggetti coinvolti, ovvero la Ne. s.a.s., alcuni clienti, e l'agenzia del Ma.Ci. Completano il quadro probatorio le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede dibattimentale, prima del mutamento del rito in giudizio abbreviato ("In tema di giudizio abbreviato ammesso nel corso del dibattimento a seguito della contestazione di una nuova aggravante ex art. 517 cod. proc. pen. (Corte cost. n. 19 del 2015), il giudice deve valutare, ai fini della decisione, sia gli elementi di prova derivanti dagli atti di cui all'art. 442, comma 1-bis, cod. proc. pen., sia quelli acquisiti in dibattimento fino all'ammissione del rito, senza alcuna gerarchia precostituita e fornendo congrua motivazione circa la soluzione dell'antinomia nel caso in cui vi sia divergenza tra le stesse" (Sez. 5, Sentenza n. 21133 del 25/03/2019 Ud. (dep. 15/05/2019) Rv. 275315 - 01). La persona offesa, Vo.Id., legale rappresentante della società Ne., ha riferito di aver sporto una denuncia querela nei confronti di Ma.Ci. che nel 2018 collaborava lavorativamente con la sua azienda come procacciatore di contratti assicurativi. Nel verbale di sommarie informazioni, inoltre, la Vo. precisava di sapere che il Ma.Ci., insieme con il padre, era titolare di ben due agenzie di assicurazioni, la Gl. con sede in Cercola al Corso (...), e la As. con sede in Ercolano al Corso (...). Il Ma.Ci., durante un periodo di prova di circa tre mesi, si occupava di procacciare i clienti, consegnava in ufficio la documentazione e recava la polizza assicurativa al cliente, incamerando per conto dell'agenzia il premio. Durante questo periodo di prova il compenso del Ma.Ci. era costituito esclusivamente dal 6% di provvigione su ogni affare, senza alcun fisso mensile, che gli sarebbe stato corrisposto all'atto dell'assunzione, che la Vo., attesi i buoni risultati dell'imputato, era ben propensa a stipulare. Tra l'ottobre e il novembre 2018, tuttavia, il Ma.Ci. dopo aver consegnato delle polizze, non si presentò in ufficio, accampando dapprima dei motivi di salute, poi un presunto incidente d'auto. La Vo., a tal punto, si offrì di raggiungerlo a casa, per ottenere sia i premi già incassati - che andavano rimessi alle compagnie assicurative - sia i contratti ancora nella disponibilità del Ma.Ci.. L'imputato, tuttavia, rifiutò e continuò a temporeggiare. Insospettita, la Vo. verso la fine di novembre - più precisamente, come indicato nel verbale di sommarie informazioni, in data 12 novembre 2018 - contattò una decina di clienti che si erano interfacciati con il Ma.Ci., sincerandosi che ciascuno di loro aveva regolarmente versato il premio assicurativo nelle mani dell'imputato. Dopodiché, per tenere indenni gli incolpevoli clienti, la Vo. decideva di mettere a copertura le polizze già emesse, versando circa 7.597 Euro in favore della compagnia assicuratrice. A domanda del PM, la teste precisava di aver avuto un successivo confronto con il Ma.Ci. che, minacciandola ed offendendola, le aveva detto di non volerle dare il denaro, ormai da lui speso. In altre conversazioni - registrate in atti - il Ma.Ci. sembrava voler trattare sul quantum da restituire. A domanda del PM, la teste confermava di aver consegnato, all'atto dell'escussione a sommarie informazioni, un supporto USB su cui erano confluite le conversazioni intercorse con il Ma.Ci. e tra quest'ultimo e la figlia della persona offesa nel mese di ottobre. A domanda del difensore, la teste precisava che a metà novembre aveva interrotto i rapporti con il Ma.Ci., avendo appurato l'increscioso fatto verificatosi. Dal novembre 2018 al febbraio 2019 - data in cui la persona offesa si decideva a sporgere denuncia querela - la Vo. ha riferito di aver cercato, anche bonariamente, di risolvere la questione inducendo il Ma.Ci. ad adempiere, invano, il suo debito. Il contenuto della deposizione dibattimentale ha perfettamente ricalcato quanto riferito dalla persona offesa in sede di denuncia querela e delle successive sommarie informazioni, nel corso delle quali, peraltro, la Vo. corredava il suo narrato con ulteriori dettagli relativi ad ulteriori illegalità perpetrate dal Ma.Ci. nello svolgimento del suo incarico. Così ricostruite le dichiarazioni della persona offesa, nella valutazione delle stesse questo Giudice segue l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. V del 14 giugno-18 settembre 2000n. 9771, e da ultimo Cass. Sez. II 16 giugno -11 settembre 2003 n. 35443), che, ormai da tempo ed in modo consolidato, hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice deve adottare quando la prova sia rappresentata, anche in via esclusiva, dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato. Sul punto è necessario premettere che la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile, alla stregua di un qualunque testimone - tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 n. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile -, viene collocata, dalla giurisprudenza, in una posizione diversa rispetto a quella del testimone, e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà. Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno. Ne deriva che se in relazione alla deposizione resa dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimemente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dalla semplice dichiarazione del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità; con riferimento, invece, alla deposizione resa dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca della deposizione, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno la detta deposizione (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II del 19 Novembre 1998 n. 12000). Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché la sua deposizione possa essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporla ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali. Si tratta di un canone di valutazione, quello appena esposto, che presuppone che la persona offesa e soprattutto la parte civile si collochino, nel quadro delle prove dichiarative, tra la figura del testimone puro e semplice, che non ha interessi privati da far valere nell'ambito del processo e che è quindi, rispetto alle parti processuali in una posizione di estraneità, e la figura del testimone assistito (da sentire con le modalità di cui all'art. 197 bis c.p.p.) e dell'indagato da esaminare ai sensi dell'art. 210 c.p.p., i quali, per le posizioni rispettivamente ricoperte nel processo e per il coinvolgimento più o meno intenso nei fatti da esaminare, si collocano in una posizione estrema, con la conseguenza che se per gli uni (i testimoni semplici) è sufficiente soffermarsi sulla personalità del testimone e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, nei confronti degli altri (ossia i testimoni assistiti e gli indagati o imputati ex 210 c.p.p.) è necessario che le loro dichiarazioni siano riscontrate da altri elementi di prova, che ne confermino l'attendibilità. In conclusione, dunque, quando la fonte principale di prova sia, come nel caso in esame, la persona offesa, sarà in primo luogo necessario vagliare in modo rigoroso la credibilità del dichiarante e l'attendibilità intrinseca della dichiarazione e, inoltre, andranno verificati gli elementi di conforto cosiddetti estrinseci alla dichiarazione della persona offesa. Nel caso di specie, le dichiarazioni della persona offesa, oltre ad essere chiare e precise, in ragione dell'immediatezza dei fatti in cui sono state rese, stante l'utilizzabilità della denuncia querela e delle sommarie informazioni in ragione della scelta del rito, ed in ogni caso sprovviste di contraddizioni con quanto emerso in sede dibattimentale, sono connotate da un sufficiente grado di attendibilità estrinseca, nonostante l'avvenuta costituzione di parte civile. Più volte, infatti, nel corso del suo narrato la persona offesa ha chiarito di aver tentato in ogni modo di addivenire ad una soluzione bonaria con il Ma.Ci., reiteratamente sottrattosi ad ogni confronto. Le dichiarazioni della persona offesa, inoltre, sono precisamente riscontrate dalle prove documentali in atti che, senza soluzione di continuità, corroborano ogni elemento della versione fornita dalla persona offesa. Ed infatti, come riferito puntualmente dalla persona offesa, in data 14 novembre 2018 e 15 novembre 2018, la Vo. inoltrava all'indirizzo email (...) - della cui riconducibilità all'imputato non emerge dubbio alcuno - intimazioni a restituire il maltolto ma solo in data 29 novembre 2018 il Ma.Ci. rispondeva, in un italiano sgrammaticato, riferendo in modo confuso di aver consegnato il denaro all'incasso, essendo munito dei contrassegni in originale, e di non avere nulla da restituire. Ancora, dalla disamina delle registrazioni vocali prodotte dalla persona offesa e dalla stessa attribuite al Ma.Ci. - dato, questo, assolutamente pacifico e incontestato, come emerge dal tenore oggettivo delle affermazioni e dai puntuali e costanti riferimenti ai fatti di causa, che solo soggetti coinvolti avrebbero potuto fare - emerge con chiarezza il tono talvolta minaccioso, talvolta meramente strafottente del Ma.Ci. (che almeno in un'occasione si autoqualificava come "Ci."), talvolta meramente negatorio, nonostante espressa contestazione della Vo., che in uno dei messaggi vocali gli ricostruisce nel dettaglio l'intera vicenda (peraltro in termini assolutamente conformi a quelli dibattimentali). Infine, il carteggio di email tra la società della persona offesa ed i clienti, che chiedevano delucidazioni sul disguido e/o la restituzione di quanto pagato, dimostra ulteriormente l'attendibilità della denunciarne e la veridicità del suo narrato. infine, la già evidente attendibilità della persona offesa è ulteriormente conclamata dalle dichiarazioni rese dai numerosissimi clienti della Ne. che, in modo assolutamente collimante, escussi a sommarie informazioni (il cui contenuto qui deve intendersi integralmente richiamato e non riportato esclusivamente per economia testuale, stante il tenore conciso e essenziale del narrato), riferivano di aver versato il corrispettivo dei premi assicurativi nelle mani del Ma.Ci.. A fronte di tali elementi accusatori, l'imputato non ha reso dichiarazioni utilizzabili né dagli atti emerge una diversa ricostruzione della vicenda. Sulla scorta, dunque, degli elementi acquisiti ritiene questo Giudice che si sia raggiunta la prova certa della sussistenza del reato ascritto e della riferibilità della condotta criminosa di cui si discute all'imputato. Preliminarmente, risultano infondate le istanze ex art. 129 c.p.p. sollevate dalla difesa dell'imputato circa il presunto difetto di legittimazione attiva e di tardività della querela. In primo luogo, nonostante la contestazione suppletiva effettuata dal PM in udienza, il reato contestato al Ma.Ci. - da doversi intendere reato istantaneo ad effetti permanenti ("Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui Vagente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione" (Sez. 2, Sentenza n. 15735 del 14/02/2020 Ud. (dep. 25/05/2020) Rv. 279225 - 01) - continua ad essere procedibile a querela di parte, non essendo applicabile alcuna delle condizioni che, espressamente previste dall'art. 649 bis c.p., tramutano il regime di procedibilità del reato (non sussistono circostanze aggravanti ad effetto speciale e non può applicarsi ratione temporis ex art. 2 co. 4 c.p. il disposto introdotto dall'art. 1 co. 1 lett. v) della legge 3/2019-3/2019ovverosia il riferimento alla rilevante gravità del danno, debitamente contestata dal PM ex art. 517 c.p.). Ciò premesso, con riferimento all'eccezione relativa all'assenza di legittimazione della querelante, l'istruttoria dibattimentale ha inconfutabilmente dimostrato che il Ma.Ci. incamerava i premi assicurativi per conto della società per cui procacciava i clienti (impregiudicata ogni valutazione sui possibili profili di rilevanza penale della condotta decettiva del Ma.Ci. nei confronti di quest'ultimi, verificatosi in circostanze spaziali e temporali diverse dal fatto oggetto di causa nel presente procedimento). Ciò consente di ritenere, anzi, pienamente dimostrati gli elementi oggettivi del reato di appropriazione indebita nei confronti della società persona offesa. Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "Risponde del delitto di cui all'art. 646 cod. pen. il mandatario che, avendo la disponibilità di somme di denaro del mandante con espresso vincolo di destinazione, violando il rapporto fiduciario, le destini per scopi differenti da quelli predeterminati. (Fattispecie relativa ad una operazione di cartolarizzazione di provviste finanziarie di una società, di cui era stato deliberato l'accantonamento per il pagamento di oneri fiscali, mediante l'emissione di assegni bancari in favore del nuovo amministratore, da questi successivamente negoziati)" (Sez. 2, Sentenza n. 43634 del 23/09/2021 Ud. (dep. 26/11/2021) Rv. 282351 - 01). Né potrebbero ritenersi legittimati attivi (esclusivamente) i singoli clienti, secondo quanto prospettato dal difensore. Questi, infatti, ben potrebbero e avrebbero potuto esercitare il loro diritto di querela con riferimento alle potenziali truffe perpetrate dal Ma.Ci. ai loro danni, in quanto loro malgrado sprovvisti di una copertura assicurativa nonostante il pagamento del premio. Diverso e altro fatto, invece, è quello perpetrato ai danni della legale rappresentante della società mandante, destinataria dei premi assicurativi nella disponibilità qualificata del Ma.Ci. che, pertanto, se ne appropriava indebitamente. Orbene, nel caso di specie appare pienamente dimostrata l'intercorrenza di un contratto di prestazione d'opera tra le parti, la consegna avvenuta del contante da parte dei clienti e, a fronte della reiterata intimazione di restituzione del maltolto, la strenua opposizione e/o noncuranza del Ma.Ci.. Con essa, ordunque, appare pienamente provata l'interversione del possesso necessaria fondare la sussistenza del fatto di cui all'art. 646 c.p. Le modalità del fatto e le circostanze di tempo e luogo, nonché quanto affermato nelle email inoltrate dall'indirizzo dell'imputato e dai messaggi vocali a lui attribuiti, rappresentano indici inequivoci non solo del l'attribuibilità della condotta al Ma.Ci. ma altresì della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato da parte dell'imputato, pienamente consapevole della volontà di mutare il titolo della disponibilità del denaro oggetto del contratto, in contrasto con il volere del legittimo titolare. Con riferimento alla presunta tardività della querela sporta dalla persona offesa, deve osservarsi quanto segue. È pur vero che solo il 20/2/2019 la persona offesa presentava atto di denuncia querela all'Autorità giudiziaria. Dalla disamina delle sue dichiarazioni, sia procedimentali che dibattimentali, emerge che tra il 14 e il 15 novembre 2018 la Vo. aveva dei fondati motivi di sospettare di essere stata vittima di condotte illecite da parte dell'imputato, tanto da contestargli a mezzo mail i pagamenti sospesi. Tuttavia, è soltanto in data 29 novembre 2018 che la Vo., a seguito della risposta del Ma.Ci., che le faceva presente di non doverle restituire nulla, maturava definitivamente la piena conoscenza di tutti gli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita incluso, dunque, quello dell'interversio possessionis. Prima della risposta da parte dell'imputato, infatti, la Vo. poteva nutrire soltanto dei sospetti, a fronte dei quali una eventuale denuncia querela sarebbe potuta essere addirittura temeraria. Orbene, dovendosi ritenere integrata in data 29 novembre 2018 la piena consapevolezza da parte della persona offesa di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, è da quella data che deve decorrere il termine trimestrale per la presentazione della querela, da considerarsi, dunque, nel caso di specie, tempestiva ("Il termine per la proposizione della querela decorre non dal momento della consumazione del reato bensì dal momento in cui la persona offesa ha raggiunto la piena cognizione di tutti gli elementi che consentono la valutazione dell'esistenza del reato. (Fattispecie di appropriazione indebita di somme depositate su un libretto postale, cointestato alla persona offesa ed all'imputato, delegato alla gestione, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva fatto decorrere il predetto termine dal momento in cui la persona offesa aveva acquisito la consapevolezza che le somme non le sarebbero state restituite secondo le scansioni pattuite e rimaste inadempiute e non dal momento in cui si era avveduta del prelevamento delle stesse)" (Sez. 2, Sentenza n. 29619 del 28/05/2019 Ud. (dep. 08/07/2019) Rv. 276732 - 01) Ciò premesso in ordine alla sussistenza del fatto ed alla responsabilità penale dell'imputato, non sussistono gli estremi per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p., in ragione dell'elevato valore economico dell'ingiusto profitto maturato (quasi 8000 euro) e del comportamento successivo al fatto tenuto dal Ma.Ci., che non solo nulla ha restituito alla persona offesa né ha mostrato segni di resipiscenza, ma non ha esitato altresì ad aggredirla verbalmente a fronte delle sue richieste. Venendo alla commisurazione della pena, le medesime ragioni anzidette impediscono di ritenere sussistenti elementi sui quali fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nei confronti dell'imputato, autore di un fatto di non trascurabile entità, per nulla sanato dall'imputato nelle conseguenze pregiudizievoli che ha comportato. Né il Ma.Ci. ha tenuto un comportamento processuale attivo e collaborativo. L'istruttoria dibattimentale ha parimenti dimostrato sia la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p. - atteso che la commissione del reato da parte del Ma.Ci. ha trovato dirimente fondamento proprio nello svolgimento delle prestazioni lavorative per conto della Ne., in base ad un contratto di brokeraggio che, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, è perfettamente idoneo ad integrare l'aggravante in questione ("In tema di circostanze aggravanti comuni, la nozione di "abuso di relazioni di prestazione di opera" utilizzata dall'art. 61, comma primo, n. 11 cod. pen. ricomprende, oltre all'ipotesi del contratto di lavoro, tutti i rapporti giuridici che comportino l'obbligo di un "facere" e che, comunque, instaurino tra le parti un rapporto di fiducia che possa agevolare la commissione del fatto. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la sussistenza dell'aggravante in relazione a condotte appropriative di carburante commesse dal dipendente della ditta appaltatrice dei servizi di pulizia svolti in favore di un'azienda di trasporto pubblico ai cui locali aveva libero accesso)" (Conf.: 11. 2717 del 1996, Rv. 204105). (Sez. 6, Sentenza n. 11631 del 27/02/2020 Ud. (dep. 07/04/2020) Rv. 278720 - 01) - sia quella di cui all'art. 61 n. 7 c.p., atteso che non vi sono motivi per dubitare di quanto affermato dalla persona offesa, che in un brevissimo lasso temporale si è trovata costretta a sborsare circa 8.000 euro - cifra oggettivamente ingente, ancor di più per una piccola azienda a gestione familiare - per coprire le polizze stipulate dal Ma.Ci.. Tenuto conto di tutti i criteri indicati dall'art. 133 c.p., ed in particolare delle modalità dell'azione, dell'elevata entità del danno cagionato alla persona offesa, oltre che del dolo e della capacità a delinquere dell'imputato, per nulla resipiscente, ritiene questo Giudice di condannare l'imputato alla pena finale di anni uno di reclusione e 600,00 Euro di multa, così calcolata: - Pena base ex art. 646 c.p. nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dalla legge 9 gennaio 2019 n. 3: anni uno di reclusione e 600,00 Euro di multa; - Aumentata per le ritenute circostanze aggravanti alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 900,00 di multa (aumento di tre mesi di reclusione ed Euro 150,00 di multa); - Ridotta per il rito alla pena finale di cui sopra; Segue per legge, la condanna al pagamento delle spese processuali. Non sussistono i presupposti per il riconoscimento della pena sospesa nei confronti dell'imputato, già beneficiario dell'istituto in relazione ad una condanna per pena detentiva che, cumulata a quella inflitta in questa sede, supera la biennalità. Ai sensi dell'art. 538 ss. c.p.p., infatti, a seguito dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato Ma.Ci. deve emettersi sentenza di condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, nei confronti della costituita parte civile Ne. s.a.s., in persona del legale rappresentante, nonché al pagamento delle spese di giudizio da questa sopportate, che si liquidano in Euro 1600,00 oltre IVA, CPA e spese forfettarie come per legge. Non luogo a provvedere sull'eventuale provvisionale, non richiesta dalla parte civile. P.Q.M. Letti gli artt. 438, 533 e 535 c.p.p., dichiara Ma.Ci. colpevole del reato a lui ascritto e, applicata la riduzione per il rito, lo condanna alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 600,00 (seicento) di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 538 ss. c.p.p., condanna Ma.Ci. al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, nei confronti della costituita parte civile Ne. s.a.s., in persona del legale rappresentante, nonché al pagamento delle spese di giudizio da questa sopportate, che si liquidano in Euro 1600,00 oltre IVA, CPA e spese forfettarie come per legge. Motivi contestuali. Così deciso in Nola il 12 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2022.
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