RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Rimini, con sentenza pronunciata in data 8 marzo 2018 nei confronti di K.T., imputato del delitto di appropriazione indebita delle somme ricevute a titolo di imposta di soggiorno, lo assolveva dall'imputazione ritenendo che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in quanto la condotta contestata integrava un illecito amministrativo sanzionato dal regolamento comunale di (OMISSIS).
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini; deducendo con unico motivo di ricorso la violazione della legge penale in relazione agli artt. 314 e 646 c.p., L. n. 689 del 1981, art. 9; il Tribunale aveva ritenuto che la previsione di una sanzione amministrativa per l'omesso versamento delle somme riscosse a titolo di imposta imponesse l'applicazione del principio di specialità L. n. 689 del 1981, ex art. 9, mentre il fatto previsto dalla legge penale non poteva dirsi identico a quello preso in considerazione dalle disposizione del regolamento comunale, ove erano previste le sanzioni per la sola condotta di omesso versamento delle imposte di soggiorno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Il ricorso è fondato.
Il Tribunale ha fatto applicazione del principio di specialità previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 9, senza operare la corretta comparazione tra la fattispecie penale contestata all'imputato e la condotta sanzionata, quale illecito amministrativo, dal regolamento comunale adottato dal Comune di (OMISSIS) nell'ipotesi di omesso versamento, all'amministrazione comunale, delle somme ricevute dagli operatori commerciali che esercitano attività alberghiere e ricettive.
Va, infatti, ricordato che nel caso di concorso tra fattispecie penali e violazioni di natura amministrativa, al pari delle ipotesi di concorso apparente di norme di cui all'art. 15 c.p. e dell'operare del principio di specialità, è necessario procedere al confronto tra le fattispecie tipiche astratte che appaiono destinate a regolare il medesimo fatto naturalisticamente inteso (Corte Cost. n. 97 del 3 aprile 1987); in altri termini, " occorre preliminarmente esaminare la struttura del reato e della violazione amministrativa del cui concorso si discute. Il problema del concorso apparente richiede infatti la previa verifica dell'esistenza di un'area, comune e sovrapponibile, tra le condotte descritte nelle norme concorrenti; diversamente, se le condotte tipiche fossero diverse, neppure si porrebbe il problema di cui ci stiamo occupando perchè si tratterebbe di una mera "interferenza" che può verificarsi, per esempio, nei casi in cui non si è in presenza di un medesimo fatto ma soltanto di una comune condotta" (in questi termini Sez. unite, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722).
La fattispecie contestata all'imputato, qualificata quale ipotesi di appropriazione indebita, è caratterizzata dalla condotta dell'agente che, avendo il possesso di beni mobili (nella specie denaro) di proprietà altrui, muti il titolo in forza del quale possiede quei beni, ponendo in essere atti che dimostrano l'esercizio dei poteri propri del proprietario (ad esempio, omettendo la restituzione delle cose possedute al proprietario che le richieda in restituzione);
l'ipotesi dell'illecito sanzionato in sede amministrativa concerne il solo dato dell'omesso versamento delle somme; senza alcun ulteriore elemento costitutivo dell'illecito.
E', pertanto, evidente che la fattispecie penale contestata si caratterizza per una condotta tipica che non è contenuta nella descrizione dell'illecito amministrativo (come confermato dalla previsione, nello stesso regolamento comunale, dell'applicabilità delle sanzioni penali per le condotte di appropriazione delle somme dovute, ciò che già esclude l'operare del principio di specialità mancando un'area comune in cui siano ricomprese entrambe le fattispecie).
1.2. La questione è stata risolta negli stessi termini da un recente arresto della Corte (Sez. 6 n. 53467 del 25/10/2017, Ranieri, non massimata) che va condiviso; con quella decisione si è rilevato, infatti, che "il principio di specialità non può trovare applicazione nel caso in esame in ragione della evidente considerazione che non resta realizzato il presupposto di applicazione della norma stessa, l'identità del fatto cioè, (...) la condotta oggi addebitata all'indagato non è quella del semplice omesso versamento di quanto riscosso a titolo di imposta di soggiorno ma quella, ben diversa e più grave, di effettiva appropriazione delle relative somme, che non trova alcuna sanzione, diretta o indiretta, nella normativa fiscale o amministrativa o nel Regolamento del Comune".
Per altro verso, la norma del regolamento comunale che prevede le sanzioni per le violazioni amministrative non può considerarsi disposizione "speciale" ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 9, quanto piuttosto disposizione di portata generale e residuale, essendo stata dettata con espresso richiamo ai poteri sanzionatori riconosciuti agli enti locali dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 7 bis, come tale recessiva in presenza di una "diversa disposizione di legge".
Inoltre, è pacifico che il sistema delle sanzioni amministrative, come delineato dal legislatore, non consente a fonti regolamentari di rendere penalmente irrilevanti fatti sanzionati da norme di rango superiore. Come prevede la L. n. 689 del 1981, art. 9, comma 2, nel concorso tra una norma penale e una norma regionale (o delle province autonome) è escluso che possa prevalere quest'ultima; e poichè la norma ora citata non fa riferimento ai comuni e agli altri enti locali diversi dalle regioni, che non possono emanare atti aventi valore di legge, è palese che rispetto alle disposizioni emesse da quegli enti non è possibile invocare il principio di specialità per dirimere il rapporto tra norme che prevedano sanzioni diverse (v. Sez. 6, n. 6130 del 13/11/2018, dep. 2019, Fiorio Belletti, non massimata).
1.3. Premessa, dunque, l'inapplicabilità del principio di specialità previsto - dalla L. n. 689 del 1981, art. 9; occorre individuare - le conseguenze che - scaturiscono dall'accoglimento del ricorso proposto dalla parte pubblica.
E' pacifico che l'attività di riscossione della imposta di soggiorno da parte del privato, regolata dalla legge nazionale e da regolamenti comunali, poichè si accompagna a precedenti condotte di accertamento del presupposto dell'imposta e a successive attività di registrazione dell'importo riscosso che richiedono "un bagaglio di nozioni tecniche, normative e di esperienza che esulano dall'esercizio di mansioni esclusivamente materiali o di ordine" - Sez. 6 del 19/11/2013 n. 6749, Garito, Rv 258995 -, integra lo svolgimento di un pubblico servizio anche in assenza di uno specifico e preventivo incarico da parte della p.a. (come già affermato da Sez. 6, n. 32058 del 17/05/2018, Locane Pantaleone, Rv. 273446).
Pertanto, la condotta così come descritta nell'imputazione, in ragione della qualifica soggettiva dell'agente, deve esser inquadrata nella fattispecie prevista dall'art. 314 c.p.; dunque, l'annullamento della sentenza impugnata comporta la necessità della restituzione degli atti all'ufficio del P.m. perchè proceda alla nuova formulazione dell'imputazione per svolgere il giudizio di primo grado.
P.Q.M.
Diversamente qualificato il fatto in violazione dell'art. 314 c.p., annulla la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini per l'ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019